LA VERITA’ SULLA “PENALE” DA PAGARE IN CASO SI RINUNCI AL TAP
I MINISTERI NON HANNO POTUTO PRODURRE UN SOLO DOCUMENTO CHE ATTESTI LA PENALE SBANDIERATA DA DI MAIO… IL MINISTERO DEGLI INTERNI SMENTISCE SALVINI QUANDO DICE CHE RISPARMIEREMO IL 10% SULLE BOLLETTE GRAZIE AL TAP… E NON ESISTE L’ANALISI COSTI-BENEFICI IMPOSTA DALLE NORME EUROPEE
Il Movimento No Tap, le associazioni, i cittadini e le amministrazioni locali continuano a richiedere, senza successo, ai ministeri competenti la documentazione che dovrebbe certificare le penali a carico dello Stato, in caso di rinuncia la progetto Tap. Ecco tutte le omissioni del governo Conte.
Ad agosto il Movimento No Tap, assieme ad associazioni e cittadini del territorio salentino promuoveva, per tramite dell’avvocato Michele Carducci, una istanza di accesso civico generalizzato (Foia) a tutti i ministeri competenti del governo Conte, chiedendo l’accesso ai dati e ai documenti in possesso delle amministrazioni medesime in merito agli eventuali “costi di abbandono” in caso di recesso italiano dal progetto del Trans Adriatic Pipeline (Tap).
L’istanza veniva formulata in seguito alla diffusione di diverse stime — «da 40 a 70 miliardi» — da parte della stampa nazionale, e di generiche notizie sulla esistenza di «clausole penali» a favore della società multinazionale Tap, titolare della realizzazione dell’opera, e di conseguenti «contenziosi contrattuali» con il governo italiano.
Attraverso la Foia, il Movimento No Tap, le associazioni e i cittadini richiedevano, inoltre, la documentazione sull’analisi costi-benefici prevista dall’Unione europea, inclusiva dei costi climatici riferiti agli obiettivi di Parigi sul contenimento di emissioni di CO2, declinata con l’analisi costi-benefici della sicurezza ambientale di lungo periodo, come previsto dall’Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa)
Con un altro atto si chiedeva al ministero dell’Interno se avesse elaborato studi e conteggi a sostegno delle reiterate dichiarazioni del ministro Matteo Salvini sulla riduzione del 10 per cento del costo dell’energia grazie alla costruzione del Tap.
A settembre cominciarono ad arrivare le prime risposte, o meglio non risposte dai ministri per il Sud, dell’Ambiente e dell’Interno.
Il ministro per il Sud, Barbara Lezzi, ha dichiarato che «in riferimento alla sua […] sono a comunicarle che la documentazione richiesta non è detenuta presso gli uffici del ministro per il Sud.»
Il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, invece, specificata che «relativamente alle richieste sopra riportate, si comunica che questo ufficio non è a conoscenza delle fonti da cui hanno originato le richiamate notizie di stampa e nè ha agli atti dei procedimenti di competenza alcuna documentazione afferente alle richieste sopra riportate.»
Il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, sottolineava «che questa amministrazione non detiene alcuna documentazione o informazione pertinente alle sopra menzionate dichiarazioni [di Matteo Salvini, ndr], che sono state formulate e riportate in un contesto di comunicazione di carattere generale riguardante le politiche del governo.»
In seguito, ma solo dopo l’invio di un’informativa all’Autorità interna anticorruzione per la mancata risposta, è pervenuta anche la versione del ministero dello Sviluppo economico, che ha dovuto riconoscere che sui “costi di abbandono” non si dispone di atti, ma solo di probabili dichiarazioni verbali rese da esponenti azeri a rappresentanti politici italiani oppure di mere deduzioni.
In pratica, analisi costi di abbandono inesistenti, analisi costi-benefici inesistenti, ministeri che cadono dalle nuvole alla richiesta di documentazione, ministri che esternano a vanvera senza nessuno studio che sorregga le loro dichiarazioni.
Il 17 ottobre 2018 , nel corso della convocazione a Palazzo Chigi di Marco Potì, sindaco di Melendugno si è consumato un ulteriore atto di questa farsa.
Ancora una volta al primo cittadino non è stata consegnata alcuna documentazione su eventuali penali per l’abbandono dell’opera.
Ancora una volta gli esponenti del governo Conte hanno diffuso su tutti i media cifre sui costi di abbandono non supportate da nessuna valutazione.
A ricostruire la vicenda è l’avvocato Michele Carducci, ordinario di Diritto costituzionale comparato presso l’Università del Salento.
Michele Carducci — difensore di Movimento e cittadini No Tap — sostiene che «la storia dell’analisi costi-benefici su Tap non ha fine e ora sembra tramutarsi in una farsa.
Durante l’estate, tutti i ministeri interpellati con il sistema del cosiddetto Foia (accesso civico generalizzato) sono stati costretti ad ammettere l’assenza di documenti e conteggi sugli effettivi benefici di Tap (in termini economici, climatici, ambientali, di risparmio) e sui costi di abbandono dell’opera (in termini di titoli legali di legittimazione verso lo Stato italiano).
Persino il ministero dello Sviluppo economico, recalcitrante sino all’informativa all’autorità interna anticorruzione, ha dovuto riconoscere che non si dispone di atti, ma solo di probabili dichiarazioni verbali rese da esponenti azeri a rappresentanti politici italiani oppure di mere deduzioni.
Il vicepresidente Salvini è stato addirittura smentito dal suo Ministero sui presunti risparmi della bolletta del gas.
Poi, il 15 ottobre, il sindaco del Comune di Melendugno, nella provincia di Lecce, dove dovrebbe approdare il gasdotto Tap, è stato urgentemente convocato a Palazzo Chigi insieme ai parlamentari e rappresentanti territoriali del Movimento 5 Stelle.
Alla presenza della ministra per il Sud, Barbara Lezzi, ha parlato il sottosegretario al ministero dello Sviluppo economico, il senatore pentastellato Andrea Cioffi, componente dell’associazione interparlamentare Italia-Azerbaijan.
Egli ha riferito di suoi personali conteggi su Tap, riguardanti impegni contrattuali sull’estero (perchè il gas di Tap servirà principalmente l’estero) e probabili mancati profitti, concludendo per un ammontare di 20 miliardi.
Ha dunque parlato di presumibili costi contrattuali di terzi, ma non di analisi costi-benefici tra attivazione dell’opera e contesto socio-economico-ambientale-climatico dello Stato italiano e del suo ecosistema.
Le due prospettive non descrivono in nulla la stessa cosa: l’analisi costi-benefici è richiesta sia dall’Unione europea, che pretende l’inclusione dei costi climatici riferiti agli obiettivi di Parigi sul contenimento di emissioni di CO2, sia dall’Osce che impone che l’analisi costi-benefici della sicurezza energetica sia declinata con l’analisi costi-benefici della sicurezza ambientale di lungo periodo, oltre che dalla Banca centrale europea che vorrebbe finanziare l’opera Tap.
È richiesto da tutte le istituzioni sovranazionali e internazionali di strategia energetica e di investimento finanziario; com’è giusto che sia, giacchè l’analisi costi-benefici sulle opere di impatto intertemporale risponde a una garanzia di trasparenza dei decisori pubblici nei confronti non solo dei cittadini di oggi, ma soprattutto delle generazioni future e del loro contesto di vita: contesto che inesorabilmente deve misurarsi sulla dimensione climatico-ambientale.
Di tutto questo il sottosegretario non ha parlato. Egli non ha neppure voluto consegnare alcuna documentazione al sindaco.
Nulla ha saputo replicare alle domande sui titoli giuridici a fondamento delle eventuali pretese creditorie italiane e non estere.
Ha taciuto sul computo dei costi ambientali dell’opera Tap rispetto alla tenuta dell’ecosistema della costa di San Basilio, rispetto ai fenomeni dell’erosione costiera. Nulla è stato detto sui costi climatici rispetto ai criteri ribaditi proprio questo mese dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’Onu.
Del resto, non è superfluo ricordare che il governo italiano è pericolosamente privo del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici.
In definitiva, e una volta in più, di analisi costi-benefici non si sa che dire; come, ancora una volta, la Convenzione di Aarhus sulla democrazia ambientale, che prevede il coinvolgimento del pubblico nell’analisi costi-benefici, è stata violata.
Questo è un fatto molto grave, indipendentemente dalle proprie posizioni politiche, perchè priva tutti i cittadini del diritto all’informazione completa ed esaustiva sulle scelte politiche dei governanti nei confronti di un’opera che riguarda i diritti delle generazioni future.
La circostanza di un sottosegretario di Stato inadempiente negli oneri documentali e informativi verso un Sindaco rappresentante di un territorio della Repubblica, non definisce solo un gesto istituzionalmente scorretto; identifica una lacuna istituzionale pericolosa.
Di Maio tradisce il suo Contratto, votato dai suoi elettori. La leale collaborazione tra istituzioni nazionali e locali e tra istituzioni e cittadini è il cemento della democrazia. Prendersi gioco della leale collaborazione è un illecito costituzionale che va denunciato.
È già partito l’accesso Foia verso il sottosegretario Cioffi. Ma sono già state attivate anche tutte le azioni propedeutiche alla denuncia del governo italiano presso l’Unione europea, l’Osce e le altre istituzioni che tutelano i diritti di informazione e di trasparenza delle decisioni nelle democrazie.
L’analisi costi-benefici è un dovere verso i diritti delle generazioni future e un presupposto di serietà di una democrazia.
Non pretendere chiarezza su tutto questo significa diventare complici di una erosione dei diritti di cittadinanza, che danneggia tutti e irresponsabilmente condiziona il futuro.»
(da “TerrediFrontiera”)
PS A quanto denunciato nell’articolo aggiungiamo che ha ragione l’ex ministro Calenda quando dice che Di Maio è un imbroglione in quanto “non esistono penali perchè non c’è un contratto con lo Stato. C’è un’autorizzazione giudicata dallo stesso Governo pienamente valida. Se l’annulli affronti una richiesta di risarcimento del danno”.
In pratica la società Tap ha investito 11 miliardi di euro per i 3500 km di gasdotto che parte dall’Azerbaigian e attraversa Turchia, Grecia e Albania.
A luglio, in occasione della visita di Mattarella in Azerbaigian, il presidente azero disse a Mattarella che se il governo italiano aveva cambiato idea bastava pagare i costi e avrebbero cambiato il percorso, essendovi alternative.
Il M5S avrebbe potuto dire di no e transare per 8- 10 miliardi, tanto per capirci. Ma avrebbe mantenuto una promessa elettorale.
Magari rinunciando al reddito di cittadinanza formato ridotto per un anno.
Non lo ha fatto: libero di cambiare idea, ma non di prenderci per il culo.
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