L’EX PROCURATRICE DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE DELL’AJA: “ISRAELE IN LIBANO AGISCE FUORI DALLA LEGALITA’ INTERNAZIONALE E IN PIENA IMPUNITA'”
“FRUTTO DI DECENNI DI SILENZIO INTERNAZIONALE”… VIETATO CRITICARE UN GOVERNO CRIMINALE
“Bisogna isolare Israele fino a quando non si convincerà che, se vuole rimanere Stato, deve avere la dignità di Stato, quindi rispettare l’ordinamento giuridico internazionale”. Silvana Arbia è una giurista italiana che ha ricoperto importanti incarichi nelle istituzioni internazionali. È stata procuratore della Corte Penale Internazionale all’Aia e ha svolto un ruolo cruciale presso il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda. Oggi non ha dubbi: “Israele agisce fuori dalla legalità internazionale e in piena impunità”.
Quali limiti giuridici internazionali vincolano Israele nel contesto di questa invasione del Libano?
È necessario fare una premessa. Israele da tempo, ma soprattutto dopo il 7 ottobre, è uno Stato che si è posto completamente al di fuori del diritto internazionale. Non ci sono solo violazioni del diritto umanitario e crimini di guerra, ma anche un disprezzo delle decisioni della Corte Internazionale di Giustizia dell’Onu. Sono state emesse ordinanze con misure precise rispetto a quanto accade a Gaza, e Israele non le ha rispettate. Anzi, le reazioni sono state di totale disprezzo per gli organi internazionali. È un Paese che si è messo fuori dalla legalità, quindi è un fuorilegge.
Nel caso dell’attacco in Libano contro Hezbollah?
La motivazione che viene data è la necessità di proteggersi dalle minacce provenienti dal Nord. Tuttavia, questa difesa si concretizza in un’aggressione. Quando uno Stato bombarda un altro Stato o ne viola l’integrità territoriale, si parla di aggressione. Non esiste un quadro giuridico che giustifichi un’aggressione come legittima difesa. Ci sono altri mezzi, e l’uso della forza è vietato dal diritto internazionale consuetudinario. Esistono delle eccezioni, ma per esse è necessaria un’autorizzazione. Tutto questo è stato messo da parte.
Israele si pone al di sopra del diritto internazionale?
Sì, e non solo. Disprezza anche le Corti che richiamano lo Stato, come nel caso dei mandati di arresto, a rispettare le leggi che valgono per tutti gli altri. Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sono vincolanti, ma anche queste vengono disattese da Israele. È uno Stato che si sta danneggiando da solo, perché sta mettendo in discussione lo stato di diritto e, per questo, ha delle responsabilità.
Cosa pensa dell’immagine in cui si vede il primo ministro, Benjamin Netanyahu, ordinare un bombardamento su Beirut dalla sede dell’Onu?
È un fatto che deve preoccuparci. Esplicita la complicità di altri Stati in ciò che Israele sta facendo. Finché gli vengono fornite armi e le sue azioni vengono giustificate, Israele si sentirà incoraggiato. Se ci sono Stati che mantengono un senso di responsabilità internazionale, dovrebbero far scattare un sistema di sanzioni economiche come è stato fatto, ad esempio, contro la Russia. Qui, invece, non ci sono sanzioni economiche, né embargo, né misure che possano scoraggiare Israele.
Israele lamenta di non poter agire diversamente, poiché è minacciato.
Anche Libano, Iran e Siria devono rispettare gli obblighi internazionali, soprattutto quelli consuetudinari. Quindi parliamo delle regole sull’uso della forza e del terrorismo. Il problema è la radicalizzazione della teoria israeliana che identifica in ogni libanese o palestinese un terrorista, una minaccia. Questa è un’idea di stampo genocidario.
Tutto parte dall’attacco di Hamas dello scorso anno?
Il 7 ottobre non è l’inizio. Considerarlo tale è un errore. Lì è cominciata una fase terminale di decenni di crisi profonda che la Comunità Internazionale non ha affrontato. Ci sono anni di impunità e complicità che durano fino a oggi. La prima conseguenza è che Israele è uno Stato fuorilegge e quindi, se vogliamo spingerci alle estreme conseguenze, non è neanche più uno Stato.
Ci sono casi simili nella storia recente?
Penso di no. Per l’accumulo di violazioni, abusi, arroganza e per il disconoscimento di ciò che può essere una ragionevole relazione tra Stati, credo che non ci siano precedenti.
(da Il Fatto Quotidiano)
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