LUIGI DI MAIO ERA SOCIO DELL’AZIENDA DI FAMIGLIA QUANDO UN DIPENDENTE FECE CAUSA PER LAVORO NERO
IL VICEPREMIER AVEVA SOSTENUTO CHE A LUI NON RISULTAVANO CONTRATTI IN NERO
Un dipendente della Ardima Costruzioni – di Antonio Di Maio e Paolina Esposito, genitori del vicepremier M5s – ha fatto causa alla detta azienda per farsi riconoscere le ore lavorate in nero.
In primo grado ha perso, ma ha fatto ricorso in Appello contando di vincerlo. Nel frattempo il papà di Di Maio avrebbe anche proposto una mediazione, soldi per chiudere il contenzioso.
Il particolare più rilevante è che il contenzioso era ancora in corso nel 2014 quando la società è stata donata alla Ardima srl di cui sono proprietari Luigi Di Maio e la sorella Rosalba, mentre il fratello è amministratore.
Azienda che ieri sera in tv il vicepremier ha dichiarato chiusa. Quel che non è chiaro è se Luigi Di Maio sapesse.
E se non sapeva nemmeno questo cominciano ad essere parecchie le cose sulle attività del padre che il vicepremier non conosce. Della vicenda di Domenico Sposito, iniziata nel 2013 si occuperà l’ispettorato del Lavoro – che dipende dal dicastero di Di Maio – chiamato a verificare i rapporti con tutti i lavoratori dei cantieri. Insomma, la vicenda iniziata nel 2013 ha avuto un primo esito nel 2016, come raccontano diversi giornali con una istanza respinta in primo grado: quando Di Maio è vicepresidente della Camera è ha le quote della Ardima srl.
Un lavoratore in nero, solo in parte, che si aggiunge ad altri in nero nell’azienda di papà Di Maio trovati dalle Jene.
Per Sposito quattro ore in chiaro e quattro fuori busta e per questo ha chiesto la regolarizzazione. Papà Di Maio ha specificato nell’interrogatorio del procedimento che il rapporto era regolare: “Preferiva ricevere un acconto a prodotto delle giornate effettivamente lavorate per 75 euro al giorno entro la prima decade, poi quando il consulente del lavoro ci portava la busta paga aveva il saldo – ha detto il padre di Di Maio secondo quanto riporta il Corriere della sera – . A lui veniva pagato tutto l’importo della busta paga più una somma in contanti pari alle giornate lavorate per 37 euro al giorno e ciò accadeva per esigenze personali e lavorative”.
Ma Sposito ha portato testimoni che non hanno confermato questa versione dei fatti, anche se in primo grado ha perso. Ora aspetta l’Appello.
(da “Huffingtonpost”)
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