L’ULTIMA LITE TRA SILVIO E GIULIO: BRACCIO DI FERRO SU BANKITALIA
NO DI TREMONTI ALL’IPOTESI SACCOMANNI, IL MINISTRO VUOLE GRILLI…L’IPOTESI DI UN TERZO CANDIDATO E DI UNO “SCAMBIO” CON IL PREMIER SULLA LINEA DI CRESCITA
Da una parte Giulio Tremonti, sponsor di Grilli, che torna alla carica sull’attuale direttore generale del Tesoro anche durante il colloquio di ieri mattina con il capo dello Stato.
E dall’altra Berlusconi, che non se la sente di rimangiarsi quanto promesso in alcuni colloqui privati e insiste per nominare Saccomanni, cercando così di non attirarsi le ire e il risentimento del futuro presidente della Bce.
Al momento l’esito della partita è incerto e lo dimostrano le due “voci” che iniziano a circolare in serata dopo il faccia a faccia tra il Cavaliere e Tremonti a Palazzo Grazioli.
La prima accredita un “patto” già siglato tra Berlusconi e il ministro dell’Economia, uno “scambio” per portare il tremontiano Grilli al posto di Draghi in cambio di una maggiore duttilità del Tesoro sui provvedimenti per stimolare la crescita.
Il ministro dell’Economia avrebbe convinto anche Bossi a dargli manforte, sostenendo il nome di Grilli durante la cena di ieri notte a Palazzo Grazioli.
Ma c’è anche l’ipotesi di un terzo uomo, una candidatura nuova, di mediazione, che Tremonti stesso avrebbe suggerito al premier per uscire dalla guerra senza vincitori nè vinti.
Dunque un governatore diverso dagli attuali contendenti.
Si saprà forse già stamattina se e come il braccio di ferro si sarà risolto.
Alle undici e trenta è prevista infatti la riunione del consiglio superiore della Banca che deve dare un parere sul candidato: la riunione è convocata in seduta ordinaria, ma se Berlusconi dovesse indicare, come vuole la legge, il nome del nuovo governatore – il decimo della serie – i consiglieri di Palazzo Koch sono già pronti a riconvocarsi mezzora più tardi, in via “straordinaria”, quella valida per le scelte di vertice.
Sei anni fa, d’altra parte, il sottosegretario Gianni Letta portò a mano – e all’ultimo minuto – l’indicazione di Draghi.
In ogni caso le due ore di confronto tra Berlusconi e Tremonti a Palazzo Grazioli si svolgono in un clima molto teso.
L’incipit è amaro: un sorriso di circostanza e un lungo elenco di recriminazioni.
“Perchè Milanese – attacca il Cavaliere – l’abbiamo dovuto salvare noi dai magistrati. Lui c’è rimasto malissimo, è venuto a sfogarsi da me. Con un tuo uomo che rischiava di passare la notte in galera per lo meno avresti dovuto fare un atto di presenza”.
Tremonti non risponde, incassa in silenzio e annota. “Perchè non puoi fare sempre il numero uno – insiste il premier – mentre agli altri ministri riservi solo la facoltà di acconsentire. Tu fai il fenomeno e quelli, a ragione, vengono da me a lamentarsi tutti i giorni. Basta, non puoi essere un corpo estraneo al governo, ci devi aiutare”.
Lo sfogo del capo del governo dura a lungo e tocca tutti i capitoli della querelle di queste settimane contro Tremonti: la mancata “collegialità ” nella stesura della manovra, il parlare male del premier in giro per il mondo, i contrasti sulle singole misure, fino allo strappo che, agli occhi del Cavaliere, è stato il più difficile da digerire, ovvero l’assenza “umanamente incomprensibile” del ministro dell’Economia per il voto sull’arresto di Milanese.
Accuse a cui Tremonti, dopo aver ascoltato, ribatte punto per punto.
A partire proprio da quel contestato viaggio all’estero nel Milanese-day, “perchè a Washington ci sono andato a rappresentare il tuo governo al G20, non per turismo”.
Anche “Giulio” ha poi le sue lamentele da esporre, perchè in questi giorni “mi avete messo in croce in ogni modo”.
E parte il puntuale elenco degli attacchi dei vari Crosetto, della Santanchè, di Stracquadanio, di Martino, di Galan, del Giornale, di mille altri uomini del Pdl dietro i quali, per il ministro dell’Economia, altri non c’era che lo stesso Berlusconi.
E tuttavia, se pure il rapporto umano ormai è lacerato e tra i due la fiducia sia una parola senza più significato, la reciproca debolezza impone una tregua.
Tregua armata, ma Gianni Letta ci ha lavorato da tempo e sarà proprio il sottosegretario a farsene garante.
Morta prima di nascere la “cabina di regia” pensata per imbrigliare Tremonti, finita in una vaga promessa di “collaborazione diretta” tra ministero dell’Economia e Palazzo Chigi la richiesta di collegialità , quel che resta del giorno è dunque solo un ruolo di Letta come supervisore.
(da “La Repubblica“)
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