MA BERLUSCONI ALZA IL TIRO: “QUIRINALE E NO AL CONFLITTO DI INTERESSI E INELEGGIBILITA’
“PER LA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA IL NOME SPETTA A NOI”
Lo spiraglio si apre appena. Pidiellini e leghisti lo lasciano intravedere a Bersani nell’ora scarsa di confronto, il più delicato.
Uscita dall’aula in cambio di garanzie su Quirinale, riforme e salvaguardia di Berlusconi: niente conflitto di interessi, niente ineleggibilità .
Ma rientrati al partito, Alfano, Schifani e Brunetta si sentono ripetere dal loro leader in collegamento in viva voce da Arcore che «sulla presidenza della Repubblica questa volta non si cede, il nome deve essere nostro, non ne accetteremo uno loro condiviso».
Quella sul Colle è la principale ma non unica condizione dettata dal segretario Pdl e dal leader del Carroccio Maroni al premier incaricato.
Nella sala del Cavaliere, Bersani ha messo sul tavolo la disponibilità a un «pieno coinvolgimento sulle riforme».
Tutti insieme al tavolo della Convenzione, sorta di assemblea costituente. Con riconoscimento della presidenza allo stesso Pdl. Angelino Alfano candidato naturale alla guida.
Ma per lui, certo, nessuna vicepresidenza del Consiglio, come suggeriva Berlusconi.
Il governo di «minoranza» sarebbe formato da nomi indicati e scelti da Pd, Sel e montiani.
Convenzione che dovrebbe occuparsi della riforma complessiva dello Stato, non solo della legge elettorale.
Con l’introduzione del presidenzialismo in testa alla carta delle priorità del centrodestra. E poi legge elettorale, fosse pure un ritorno al Mattarellum, o a una qualche forma di ritorno alle preferenze, comunque un sistema che seghi le gambe a Grillo e al suo M5s.
Una qualche disponibilità a consentire la nascita di questo esecutivo dai numeri condizionati Alfano e Maroni l’avrebbero data.
Un governo che si occupi di «rilancio dell’economia, riapertura del rubinetto del credito alle imprese, una correzione sull’Imu e uno stop all’aumento dell’Imu», è la lista della «spesa» targata Pdl. Terreno sul quale i democratici sono pronti al confronto.
Quello sul quale un governo Bersani così nato – pena la sfiducia – non dovrà avventurarsi, è quello minato del conflitto di interessi, di una restrizione delle maglie sulla ineleggibilità e incompatibilità , con l’obiettivo di mettere in fuorigioco il Cavaliere.
Che farebbero deputati e senatori di centrodestra, dunque?
Uscirebbero dall’aula al momento della fiducia o deciderebbe per il «non voto» (l’astensione al Senato equivale a voto contrario, dunque sfiducia). Alfano con Bersani è stato assai schietto: «Non poniamo veti e condizioni. Tu puoi fare il governo che vuoi, con tutti gli otto punti che ritieni. Noi non pretendiamo nostri ministri, li sceglierai tu» è stata la premessa.
«Ma vogliamo indicare noi il presidente della Repubblica. Magari un nome che vada bene a voi, ma non accetteremo una rosa di nomi avanzata da voi, all’interno della quale scegliere. Se non accettate, per noi l’alternativa è il voto».
È la linea dura dettata da Arcore.
Anche Roberto Maroni, uscito dall’incontro e riferendo ai suoi deputati, è stato possibilista: «L’accordo penso che si possa fare. Oggi lo darei al 50 per cento. Noi vogliamo un governo a guida politica e Bersani capisce la mia lingua». Ma la strada resta in salita. Berlusconiani e leghisti si son dati con Bersani 48 ore di tempo, adesso ormai ridotte quasi a 24. Prima che il premier incaricato torni al Colle. Il Pd attende aperture e segni concreti di disponibilità dal Pdl. Berlusconi da Arcore ha invitato fino a sera i suoi a tenere il punto, a restare in trincea, a non cedere.
Vuole comunque tenere alta la tensione da campagna elettorale, con l’ultimo sondaggio che ancora ieri avrebbe dato il centrodestra oltre il 30 per cento.
Non a caso il Cavaliere è già alle prese con la pianificazione della nuova manifestazione di piazza il 13 aprile a Bari.
«Uscire o meno dall’aula a me non interessa, sono tecnicismi romani» è stato il suo commento telefonico in una giornata per il resto abbastanza concitata, sul piano personale e familiare.
Una riunione con i suoi avvocati civilisti per cercare di trovare una nuova intesa in termini economici con l’ex moglie Veronica Lario ed evitare così il giudizio d’appello di Milano nella causa di separazione non consensuale.
Altre tensioni invece maturano a Roma, al gruppo della Camera. Ieri mattina ha fatto la sua comparsa nei locali del Pdl a Montecitorio Renato Farina, ex deputato ora ingaggiato dal nuovo capogruppo Renato Brunetta per curare i rapporti con la stampa. Stanza e segretaria (e lauto compenso da consulente) per lui, nonostante la sospensione dall’Ordine dei giornalisti dopo lo scandalo che lo ha svelato quale informatore dei Servizi col codice “Betulla”.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
Leave a Reply