NAPOLI: I PRECARI CHE SALVARONO LA BIBLIOTECA GIROLAMINI RISCHIANO IL LICENZIAMENTO
LA LORO DENUNCIA FERMO’ IL SACCHEGGIO DEI LIBRI… NAPOLITANO LI HA NOMINATI CAVALIERI, MA ORA STANNO PER PERDERE IL POSTO
Lo Stato dovrebbe avere un motivo tutto speciale per non licenziare e non umiliare Mariarosaria e Piergianni Berardi e Bruno Caracciolo.
Perchè questi tre bibliotecari sono gli eroi borghesi che hanno salvato la Biblioteca dei Girolamini di Napoli, una delle 46 biblioteche statali italiane
«L’ingratitudine è un’ingiustizia crudelissima, una vera morte della virtù»: queste parole della più grande virtuosa del Seicento italiano, Isabella Andreini, andrebbero intagliate in lettere cubitali sulla facciata del Collegio Romano, sede del ministero per i Beni culturali.
Pochi giorni fa, infatti, la direttrice generale per le Biblioteche Rosanna Rummo ha chiesto ufficialmente alla direzione dei Beni culturali della Campania se sia davvero «necessaria la prosecuzione della collaborazione dei signori Berardi e Caracciolo ».
E, nel caso che proprio non se ne possa fare a meno, se non sia almeno «possibile una riduzione dell’orario».
Un banale episodio dell’attuale macelleria sociale applicata al patrimonio culturale? Sì, purtroppo.
Ma lo Stato dovrebbe avere un motivo tutto speciale per non licenziare e non umiliare Mariarosaria e Piergianni Berardi e Bruno Caracciolo.
Perchè questi tre bibliotecari sono gli eroi borghesi che hanno letteralmente salvato la Biblioteca dei Girolamini di Napoli, una delle 46 biblioteche statali italiane, quella in cui andava a studiare Giovan Battista Vico.
Il 25 marzo del 2012 ricevetti un’inquietante lettera di Filippomaria Pontani, filologo classico dell’Università di Venezia.
Mentre stava studiando ai Girolamini, i fratelli Berardi gli avevano confidato, disperati, che il nuovo direttore Marino Massimo De Caro stava sistematicamente saccheggiando quel che avrebbe dovuto custodire.
Ciò che io stesso vidi tre giorni dopo superò ogni immaginazione.
E anche a me Piergianni Berardi disse che la sera venivano staccati gli allarmi, mentre automobili cariche di volumi lasciavano i cortili della biblioteca.
Nonostante la solitudine e il terrore, il bibliotecario sperava di far filtrare qualcosa all’esterno.
Ma come? Chi avrebbe potuto credere a due dipendenti, precari da decenni (assistiti da un avvocato della Cgil in un contenzioso col ministero da cui dipendevano), che avessero osato insinuare dubbi sul direttore, che era anche dell’allora ministro Lorenzo Ornaghi (dopo esserlo stato di Giancarlo Galan), e soprattutto braccio destro di Marcello Dell’Utri?
Eppure l’indignazione e la voglia di reagire avevano vinto la paura e la rassegna- zione: e fu da quella conversazione che cominciò tutto
La reazione di De Caro alla mia denuncia pubblica fu violenta: specialmente nei confronti dei Berardi, dei quali intuiva il ruolo.
Malgrado tutto, il 5 aprile i biblioconsigliere tecari scrissero una coraggiosissima lettera alla Direzione generale romana, esprimendo la loro contrarietà ad aprire il sancta sanctorum della biblioteca, che fino a quel punto erano riusciti a difendere.
E cosa fece la Direzione? Ingiunse ai Berardi di consegnare le chiavi a quel De Caro che oggi è condannato a sette anni in appello per il saccheggio della Biblioteca.
E mentre l’esemplare inchiesta condotta dal procuratore Giovanni Melillo, e oggi continuata dalla sostituta Antonella Serio, scoperchiava il più grande traffico illecito di beni culturali nella storia della Repubblica, la stessa Direzione generale (sebbene guidata da un altro direttore) si “dimenticava” di costituirsi parte civile al primo processo
Ebbene, oggi è ancora quella Direzione a valutare il licenziamento dei bibliotecari: la cui nomina a Cavalieri, voluta dal presidente Giorgio Napolitano nel gennaio 2013, rischia ora di suonare come una beffa.
Nel giugno scorso, dopo lo sconcerto suscitato dall’ennesima minaccia di licenziamento, una nota del Mibact assicurava che si stava «lavorando per garantire la continuità del lavoro» dei Berardi.
Ma oggi quell’impegno appare carta straccia. Se la Biblioteca dei Girolamini esiste ancora, non è per merito dei soprintendenti, dei rettori, del vescovo o del sindaco di Napoli: che nemmeno si esposero a firmare l’appello promosso da Francesco Caglioti per la destituzione di De Caro.
Il merito è, invece, di due comunissimi cittadini: due impiegati che credevano nel “loro” Stato, nonostante tutto.
Oggi quello Stato non può tradirli.
Non è possibile che nei tanti cassetti del Mibact, o magari in quelli della legge Bacchelli, non si trovi il modo di riconoscere ai salvatori dei Girolamini ciò a cui avrebbero diritto anche solo per il loro lavoro quarantennale.
Su questo, il ministro Dario Franceschini si gioca davvero la faccia.
Tomaso Montanari
(da “La Repubblica”)
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