NE RESTERÀ SOLO UNO: LA STRADA PER LA PACE IN UCRAINA PASSA DAL COLLASSO DI KIEV O DI MOSCA
LO STORICO YAROSLAV HRYTSAK: “PUTIN SPERA CHE I PAESI OCCIDENTALI ABBANDONINO KIEV. È PIÙ PROBABILE IL COLLASSO RUSSO E LA DEFENESTRAZIONE DI PUTIN. LA NATO È RIEMERSA POTENTE. SI È TROVATO SPIAZZATO”
Tre considerazioni su questo primo anno di guerra: il fronte occidentale ha tenuto ed è rimasto unito a sostegno degli ucraini; il conflitto si è trasformato nei mesi dal blitzkrieg veloce, sognato originariamente da Vladimir Putin, in lunga guerra d’attrito; l’identità ucraina non è stata forgiata dall’aggressione russa, bensì ha retto proprio per il fatto che era già solida sulle proprie gambe e pronta a combattere per difendersi.
Volodymyr Zelensky non ha fatto altro che interpretare fedelmente la diffusa volontà di resistenza della sua gente, da buon attore è stato capace di raccontare i sentimenti ucraini, ecco il motivo della sua immensa popolarità.
Sono alcuni dei ragionamenti portanti del «Manifesto per una pace sostenibile» che lo storico 63enne Yaroslav Hrytsak, docente all’Università di Leopoli e autore di una «Storia dell’Ucraina» di prossima pubblicazione in Italia per i tipi del Mulino, presenterà il 4 marzo assieme ad altri intellettuali del suo Paese spinti dalla preoccupazione condivisa per cui «il tempo è a questo punto dalla parte di Putin ed è necessaria una vittoria militare relativamente veloce» per cercare di imporre una pace duratura.
Chi collassa prima?
«Contrariamente alle convinzioni che si era fatto Putin negli ultimi anni e alle previsioni degli euroscettici, l’Occidente si è rafforzato con la guerra, la Nato è riemersa potente e unita. Putin s’illudeva di potere negoziare separatamente con Berlino, Roma, Parigi, Washington o Londra, credendo che ognuno avrebbe privilegiato i propri interessi, ma si è trovato spiazzato dalla loro reazione unanime e forte quando hanno condannato in coro l’aggressione. In sostanza, la guerra ha ricreato l’Occidente», spiega Hrytsak.
La via d’uscita? «Il collasso di una delle due parti. Putin ne è consapevole, ecco perché conta sul fattore tempo, spera che prima o poi i Paesi occidentali abbandonino Kiev».
Tradotto in termini contemporanei, l’Ucraina deve fare di tutto per vincere entro il 2023. «L’Ucraina sta sanguinando, deve terminare la guerra, ma non al prezzo di un compromesso territoriale, deve recuperare i suoi territori sino ai confini del 1991, compresi Donbass e Crimea.
Il rischio è altrimenti che la pace sia soltanto una tregua che dia a Putin il tempo per riorganizzare l’esercito e tornare presto ad aggredire più forte di prima. Rischiamo di diventare una nuova Cecenia. Dopo i massacri di Bucha e Irpin, dopo le gravissime violenze russe, nessun ucraino è più disposto al compromesso territoriale».
È più probabile il collasso russo e la defenestrazione di Putin. E l’eventualità che alla guida di Mosca emerga un dittatore ancora più fanatico? «Non credo, come non credo possa prendere il potere un oppositore del fronte democratico come Aleksei Navalny. Penso piuttosto a una figura minore tra i dirigenti attuali al Cremlino destinata a guidare la transizione, un po’ come avvenne nel 1991».
Ma cosa risponde a chi in Europa, e specie in Italia, sostiene che le vere responsabilità dell’attacco russo sono della Nato, la quale dopo il collasso dell’Urss non rispettò i patti e si allargò a est?
«Stupidaggini e falsità. Al momento del disfacimento sovietico i dirigenti di Mosca furono d’accordo nel lasciare che l’Ucraina diventasse indipendente, guidati dalla convinzione per cui poi sarebbero stati gli stessi ucraini a chiedere in ginocchio di tornare alla madre Russia.
Putin ha deciso di invaderci quando ha compreso che volevamo restare nell’Europa libera. Quanto alla Nato, non c’è alcun documento firmato e nessun accordo ufficiale tra le due parti che indichi alcun impegno in quel senso. Inoltre, resta sempre valido il principio sacrosanto di autodeterminazione dei popoli. Dopo la fine dell’Urss furono le nostre popolazioni che in massa chiesero alla Nato di affrancarle dalla minaccia di Mosca».
(da Corriere della Sera)
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