NEANCHE OGGI L’ANNUNCIO, LA SCISSIONE NON VA ANCORA IN SCENA
GIORNATA TRA INCERTEZZA E COLPI DI SCENA… MICHELE-ZELIG PRESSATO DAI SUOI PER ARRIVARE A MARTEDI’
La parola scissione, innominata fino ad allora, compare in una nota congiunta dei “tre tenori”, alle sette di sera, anche se scaricata su Renzi: “È ormai chiaro che è Renzi ad aver scelto la strada della scissione assumendosi una responsabilità gravissima”. Speranza, Rossi ed Emiliano sottolineano lo sforzo per un “generoso tentativo unitario” di fronte al quale Renzi ha scelto di “non replicare”.
La prossima mossa è che martedì non parteciperanno alla direzione del Pd e dunque nemmeno al congresso. O meglio, questo riguarda di certo Rossi e Speranza.
La posizione di Emiliano (come vedremo) è più articolata.
19 febbraio 2017. Tre anni dopo circa che Renzi salì al Colle con la lista dei ministri del suo governo, col sostegno di tutti.
Era il 21 febbraio del 2014. La scissione è un lungo addio tormentato, rito che si consuma di ora in ora. Presentata come subita per responsabilità di un segretario che non vuole discutere, non come un “ce ne andiamo portando con noi l’onore delle vostre bandiere” (citazione di quella del 1921, al teatro Goldoni di Livorno).
Una scelta tattica, per tenere tutti assieme: i più determinati ma anche i più tormentati e oscillanti.
Due ore prima ecco infatti Michele Emiliano che prende la parola, con voce rotta e tono antitetico rispetto al giorno prima, sul palco di Testaccio.
“Chi ha detto — dice – che Renzi non si deve ricandidare alla segreteria?”. Matteo Renzi, dal banco della presidenza, sorride, lo indica: “L’ha detto lui” sussurra. Intervento atteso, che alimenta la suspense in sala stampa.
Perchè per tutto il giorno si rincorrono le voci su un suo smarcamento dalla Ditta e su un suo autentico tormento. Ci parla Lorenzo Guerini, lo coccola Franceschini. “Michele, resta dentro, non puoi andare con D’Alema”, “Michele c’è spazio, candidati da dentro”.
Lui, Michele, dal palco è l’opposto del giorno prima: “Qui si soffre da matti”, “ho fiducia nel segretario”, “la soluzione è un passo”. Gli sfugge anche un “mi auguro che vinca” (riferito a Renzi), si dice disponibile a un “passo indietro” ditemi voi quale. Poi l’ultimo — così spiegano – appello: “Consegno al segretario la possibilità vera e reale di togliere anche a me ogni alibi al processo di scissione: siete in grado di dare una mano a Renzi a condividere una strada che metta insieme un punto di vista dei tre candidati”.
All’uscita Roberto Speranza stoppa la ridda di voci, ipotesi e dietrologie, spiegando che “Emiliano ha parlato a nome di tutti”.
E dunque non di smarcamento si è trattato ma di tattica, per togliere alibi a Renzi, e fargli interpretare il ruolo del cattivo. Chissà .
A microfoni spenti però serpeggiano malumori su Emiliano vissuto come un novello Zelig, che la settimana prima incontra Berlusconi a pranzo, come ha raccontato il Corriere, poi va a una manifestazione con Bandiera Rossa e in ultimo dice, il giorno della rottura annunciata che l’accordo con Renzi è a un passo, posizione che conferma la narrazione del segretario secondo cui la rottura storica del Pd è questione di cavilli e di date.
Insomma, “c’è modo e modo anche di fare tattica”, “ci vuole anche un po’ di dignità ”.
All’uscita dal Parco dei Principi, Roberto Speranza, nel ruolo di regista, è costretto agli straordinari. Parla prima con Rossi, poi con Emiliano a lungo.
I due si vedono, perchè l’intervento di “Michele” è stato devastante. Un incontro franco e schietto, come si dice in questi casi, per riacciuffare politicamente e mediaticamente la situazione. E impedire che l’addio diventi un groviglio tattico smarrendo una linearità già condivisa.
Riavvolgendo la pellicola a qualche ora prima: di buon’ora giro di telefonate tra i “tre tenori”, Speranza-Emiliano-Rossi, per mettere punto l’ultima mossa prima di uscire: “Se Renzi non fa aperture, parla Epifani a nome di tutti per dire che ognuno a quel punto farà le sue scelte”.
Così accade con l’ex segretario del Pd e della Cgil che, nel suo intervento, sobrio ma tosto, illustra i punti su cui non sono arrivate risposte: durata del governo, inversione di rotta nelle sue politiche su lavoro e scuola, congresso a scadenza ordinaria.
A rafforzare il concetto, Pier Luigi Bersani, ospite di In Mezz’ora, dice: “Renzi ha alzato un muro. Anche se ho sempre detto che da casa mia non mi butta fuori nessuno, ma se questo è il partito di uno solo non è più casa mia”.
Ecco, l’ex premier non replica. Anche Emiliano pare, ormai, su un punto di non ritorno. Con un maggiore tormento.
I suoi lo spingono ancora a partecipare alla direzione di martedì. Il tormento che si chiama D’Alema, legato all’antica rivalità , o meglio alla guerra che i due hanno combattuto. Più dell’affetto o dell’odio però, spiegano i parlamentari pugliesi, conta la situazione oggettiva.
E cioè che Renzi ha tirato dritto e “Michele non può tornare indietro”. In settimana i gruppi parlamentari. per ora il pallottoliere dice: 40 alla Camera (compresi gli ex Sel), tra i 10 e i 15 al Senato.
Proprio alla presenza di Emiliano sono legate eventuali sorprese numeriche.
(da “Huffingtonpost”)
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