“NESSUNO E’ SOPRA LA LEGGE”: CHI E’ JAMES ROBART, IL GIUDICE DI SEATTLE CHE HA BLOCCATO TRUMP
E’ STATO NOMINATO GIUDICE FEDERALE DA BUSH
“Negli Stati Uniti “nessuno è sopra la legge, nemmeno il presidente”. È l’attorney general dello Stato di Washington, Bob Ferguson, che commenta così la decisione di un giudice federale di Seattle, James L. Robart, di bloccare su base nazionale il decreto del presidente Donald Trump che impone restrizioni all’ingresso negli Stati Uniti di persone provenienti da sette paesi a maggioranza musulmana.
Decisione che apre un caso destinato secondo diversi esperti ad arrivare fino alla Corte Suprema, ma non prima di una guerra legale già dichiarata dalla Casa Bianca che, determinata a difendere l’ordine esecutivo di Trump, ha annunciato un ricorso di emergenza.
La svolta è giunta a sorpresa nella serata di venerdì, quando Donald Trump era già atterrato in Florida, accolto da Melania, pronto a passare il primo weekend da presidente nel suo lussuoso resort di Mar-a-Lago.
La sfida legale era però già partita nei giorni scorsi, dagli stati di Washington e Minnesota che avevano chiesto per primi il blocco del provvedimento, cui però i legali del governo avevano posto giudizio negativo, che il giudice di Seattle James Robart ha invece respinto affermando che la causa ha fondamento.
Robart ha quindi emesso una ingiunzione restrittiva verso il provvedimento, su richiesta degli stati di Washington e Minnesota, che ha effetto a livello nazionale.
In sostanza dopo la firma dell’ordine esecutivo da parte del presidente Donald Trump, lo Stato di Washington ne aveva denunciato gli effetti discriminatori e il danno significativo che la decisione procurava ai residenti.
Il Minnesota si era poi accodato e i due stati avevano chiesto un’ingiunzione restrittiva temporanea affinchè la loro denuncia potesse essere valutata, incentrata tra l’altro sulla possibilità che sezioni chiave del provvedimento siano incostituzionali.
Sarà questo infatti il punto cruciale della disputa che avrà come scopo ultimo stabilire la costituzionalità dell’ordine esecutivo. dal punto di vista degli effetti immediati, il blocco del bando dovrebbe consentire adesso a coloro che detengono un visto di entrare negli Stati Uniti, non è tuttavia ancora chiaro cosa stia accadendo ai posti di frontiera, quindi agli aeroporti.
La Casa Bianca non ha tardato a rispondere alla ‘sfida’ e, in una note dal tono perentorio, ha fatto sapere che “al più presto possibile” il dipartimento di Giustizia intende presentare un ricorso di emergenza alla decisione del giudice federale nello Stato di Washington, dicendosi quindi determinata alla difesa dell’ordine esecutivo “che siamo convinti essere legale e appropriato”.
Chi è James L. Robart.
Ha difeso e lavorato come volontario per i profughi ed è convinto che la giustizia debba venire in soccorso dei più bisognosi.
James L. Robart, il giudice federale che ha osato sfidare Donald Trump, è nato a Seattle 70 anni fa. E proprio nella sua città ha emesso la sentenza più controversa bloccando temporaneamente su base nazionale il divieto di ingresso imposto dal presidente Usa a tutti i cittadini provenienti da sette paesi a maggioranza musulmana.
Dopo essersi specializzato alla Georgetown Law School, dove era anche direttore del giornale dell’università , Robart ha cominciato a lavorare nello studio legale Lane Powell Moss & Miller, di Seattele, di cui è diventato partner.
La svolta arriva nel 2004 quando l’allora presidente George W. Bush lo nomina giudice federale. Ma oltre alla sua carriera di giudice Robart si è sempre dedicato alla sua grande passione, il volontariato.
E’ stato presidente e finanziatore dell’associazione Seattle Children’s Home, che si prende cura di bambini con disagi mentali e ha lavorato anche con un’altra ong, la Children’s Home Society di Washington, che si occupa di famiglie indigenti.
I colleghi e gli amici lo descrivono come una persona “generosa e con un forte senso della comunità “.
Durante il suo percorso si è inoltre spesso occupato di difendere profughi e rifugiati, soprattutto provenienti dal sud est asiatico perchè, sostiene, il compito della giustizia è “dare una nuova opportunità a chi ha subito un torto”.
“Aiutare persone che hanno bisogni immediati che tu riesci a risolvere è la più grande soddisfazione del mio lavoro nella giustizia”, ha dichiarato nel suo discorso prima che fosse riconfermato
Non è la prima volta che Robart finisce sotto i riflettori. Lo scorso agosto, durante un processo su un caso di eccessiva violenza da parte della polizia di Seattle, il giudice disse la frase ‘Black lives matter’, slogan del movimento per i diritti degli afroamericani.
Il video di Robart in aula che si schiera con gli attivisti neri è diventato virale nelle ultime ore.
(da “Huffingtonpost”)
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