ORARI, MACCHINE E VIDEO: PERCHE’ LA VERSIONE UFFICIALE DELLA MORTE DI NAVALNY NON TORNA
L’OPPOSITORE DI PUTIN SAREBBE MORTO IL 15 FEBBRAIO E NON IL 16… GLI STRANI MOVIMENTI NOTTURNI NEL CORTILE DEL CARCERE E L’FSB CHE DUE GIORNI PRIMA AVEVA MESSO FUORI USO LE TELECAMERE
Molte cose non tornano nella ricostruzione fatta dalle autorità russe della fine di Alexey Navalny. Se si può parlare di ricostruzione. Perché per ora ci sono solo risposte balbettanti e contraddittorie e da alcune testimonianze raccolte da media e organizzazioni autorevoli emergono fatti che, se confermati, potrebbero creare qualche imbarazzo anche a un regime come quello di Putin. Che degli imbarazzi sembra da tempo infischiarsene e comunque non ha problemi a rispondere a ognuno di questi con le menzogne più spudorate.
“Ormai al Cremlino non hanno più alcuna remora”, dice a Fanpage. it Anton Barbashin, direttore editoriale del think tank Riddle. “Lo dimostra il fatto che non gli importa che tutto questo accada solo un mese prima delle elezioni presidenziali. Danno versioni diverse perché non c’è un coordinamento efficiente. Ma tutti diranno sempre e solo che è stata una morte naturale. Cosa a cui è impossibile credere”.
Spiegazioni di comodo
“Sindrome da morte improvvisa”, recita il referto verbale consegnato dalla colonia penale di Kharp alla madre e a un avvocato di Alexey Navalny, rende noto la storica portavoce del leader dell’opposizione russa Kyra Yarmysh. Una sindrome rara, dicono i medici rianimatori sentiti da diverse testate russe. Soprattutto se, come nel caso di Navalny, non ci fosse una predisposizione ereditaria o non avesse avuto precedentemente arresti cardiaci. E poi con questa sindrome si perde conoscenza e si muore subito. Non si ha prima “un malore”, come recitava l’annuncio ufficiale.
Quella di Kharp sembra una versione di comodo. Le autorità, nel Paese di Putin, tendono ad andare nel pallone quando hanno a che fare con compiti dai quali può dipendere il futuro professionale o semplicemente il futuro del funzionario interessato. Una fonte citata dal canale televisivo propagandistico Rt aveva invece indicato come causa della morte un “coagulo sanguigno”. Una trombosi, insomma. Strano, vista anche la dieta delle carceri russe: due piatti di polentina d’avena o di grano saraceno al giorno, acqua e poco altro. Ma, si sa, “queste cose succedono”, come ha subito detto il presidente della Commissione esteri del Senato russo Vladimir Dzhabarov.
Interessante quello che ha scritto su X Nadya Tolokonnikova, componente delle Pussy Riot che ha passato qualche anno nelle galere di Putin per aver tentato di cantare una canzone punk in una chiesa ortodossa di Mosca: “Dalla mia purtroppo notevole esperienza nelle prigioni russe — scrive Nadya — so bene che ‘coagulo sanguigno’ è la dicitura utilizzata dalle autorità carcerarie quando non hanno intenzione di investigare sulle cause della morte”. Secondo Tolokonnikova, è la firma sotto quello che ritiene senza dubbio “un omicidio politico”.
Un viaggio inutile
Molto più aperta la diagnosi post-mortem dell’obitorio di Salekhard, che si trova non lontano dal carcere di Navalny. “Non conosciamo la causa della morte”, ha detto candidamente il comitato investigativo alla madre e all’avvocato di Navalny. Poi, un’oretta più tardi, ha spiegato che comunque non era stato riscontrato alcun reato durante l’ispezione sul corpo. All’inizio, avevano premesso che il cadavere comunque non si trovava lì. Roba da far girar la testa. “Mentono ogni volta, girano in tondo e coprono le loro tracce”, è stato il commento di Kyra Yarmysh su X.
Il viaggio dell’anziana signora Lyudmila Navalnaya e dell’avvocato (sorvoliamo sul nome perché tutti i precedenti legali di Navalny sono stati arrestati, fuorché una che si è rifugiata all’estero) nel remoto carcere siberiano conosciuto come “Lupo Solitario” non è servito a molto. Non hanno potuto vedere il corpo di Alexey. Sarà restituito ai parenti “solo quando sarà stata completata l’autopsia e l’indagine”, è stato detto ai due a Salekhard. Quindi tra poco. Forse. Perché, come ha riferito un detenuto alla Novaya Gazeta Europe, “all’obitorio di Salekhard c’è un forno crematorio: se portano lì il corpo, in genere è perché le autorità hanno qualcosa da nascondere e vogliono far sparire ogni traccia nel fuoco”.
Chi sta investigando davvero sulla morte di Navalny è proprio Novaya Gazeta Europe. Un compagno di prigione del dissidente defunto ha detto al giornale che con ogni probabilità la morte risale al 15 e non al 16 febbraio. Servivano alcune ore per organizzare qualcosa o per coprire qualche evento che non doveva diventare noto, secondo la fonte.
Auto misteriose nella notte
Questo il racconto fatto dal detenuto: “Un inspiegabile subbuglio è iniziato la sera del 15 febbraio”. In particolare, l’ispezione serale è stata notevolmente accelerata, poi tutti sono stati chiusi nei dormitori e la sicurezza è stata aumentata. “Abbiamo sentito alcune macchine entrare nella ‘zona’ (il cortile esterno, nel gergo carcerario russo, ndr) per tre volte la sera tardi e in piena notte”, ha detto la fonte. “Ma cosa esattamente abbiano fatto non sono riuscito a vederlo dalla mia finestra”.
La mattinata del 16 febbraio è iniziata nella più totale confusione. I secondini della colonia penale hanno perquisito i detenuti e sequestrato telefonini (illegali, ma grazie alla diffusa corruzione molti carcerati li hanno, ndr), carte di credito e persino pentole. Dalle frasi delle guardie si è pensato che ci fosse un’ispezione ministeriale in arrivo. Però di solito le ispezioni vengono annunciate un mesetto prima e preparate con cura. Non certo come accaduto in questo caso.
La fonte della Novaya Gazeta ha aggiunto che la mattina del 16 febbraio nella colonia penale non sono arrivate ambulanze: ne è apparsa una solo nel pomeriggio, dopo che si era già saputo della morte di Navalny. Il Fsin, l’ente carcerario russo, sostiene che l’ambulanza è arrivata la mattina, sei minuti dopo il malore di Navalny e che per mezz’ora medici e paramedici abbiano tentato di rianimarlo. “Penso che Navalny sia morto molto prima dell’ora annunciata ufficialmente”, conclude il detenuto sentito dal giornale russo. “Molto probabilmente ieri sera”. Ovvero il 15 e non il 16 febbraio.
Telecamere sparite o fuori uso
Il sistema carcerario russo deriva dai lager nati in Sudafrica al tempo delle guerre boere, messi a punto nell’ Urss di Stalin e perfezionati dalla Germania nazista. Il regime è più severo che non nelle attuali carceri europee. E le strutture sono fisicamente diverse. Tra le “baracche” dove dormono i detenuti, l’area punitiva dove si trova la micro-cella che ospitava Navalny, e le recinzioni murarie esterne, c’è la cosiddetta “zona”, dove i prigionieri non in punizione possono circolare per buona parte della giornata. Naturalmente, la “zona” è piena zeppa di telecamere.
I redattori della Novaya Gazeta che, come ci dice il direttore Kirill Martinov, “purtroppo hanno una vasta esperienza nella lotta contro le autorità per il rilascio dei corpi di giornalisti e politici assassinati”, hanno subito chiesto accesso alle registrazioni video per poter capire cosa è davvero successo tra il 15 e il 16 febbraio nella colonia penale di Kharp. Ma, ovviamene, c’è un problema. Vedi caso, nelle ore precedenti e seguenti la more di Alexei Navalny molte delle telecamere del Fsin in quella struttura carceraria non funzionavano, secondo quanto afferma la Ong russa specializzata in diritti dei detenuti, Gulagu.net. Che ha potuto visionare un rapporto in merito redatto dalla direzione del Fsin della regione autonoma di Yamal-Nenets, dove si trova la colonia penale di Kharp.
Secondo una fonte di Gulagu.net, due giorni prima della morte di Navalny sono arrivati nel carcere agenti dell’Fsb, il servizio di sicurezza interna erede del Kgb sovietico, ed hanno spento o smantellato i dispositivi di ascolto e le telecamere “che avrebbero potuto registrare quello che è successo ad Alexei Navalny tra il 15 e il 16 febbraio”.
(da Fanpage)
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