PARLA LA PRESIDE ANNALISA SAVINO: “DOPO IL PESTAGGIO SCRIVERE AI RAGAZZI ERA UN DOVERE, NON POTEVO LASCIARLI SOLI”
LA DIRIGENTE SCOLASTICA: “DI FRONTE A FATTI COME QUESTI IL SILENZIO E’ PIU’ SORPRENDENTE DELLA PAROLE”
La sua lettera agli studenti è uscita dal liceo scientifico Da Vinci di Firenze ed è rimbalzata in rete, diventando virale sui social network. Annalisa Savino è la dirigente scolastica che martedì ha inviato una circolare ai suoi studenti, dopo il pestaggio fascista avvenuto davanti al liceo classico Michelangiolo sabato 18 febbraio.
Preside Savino, cosa la ha spinta a scrivere la lettera che è divenuta virale in queste ore
“Spesso scrivo ai ragazzi, parlo con gli studenti. Mi ha spinto il dovere dell’esempio e il bisogno di coerenza che i giovani chiedono al mondo adulto e quindi anche alle istituzioni. Non mi sentivo di lasciare soli gli studenti in questa loro reazione. Loro sono andati alla manifestazione. Trovo che il silenzio sia più sorprendente delle parole di fronte a fatti come questi. Al Michelangiolo, nel metodo calci e pugni a chi la pensa diversamente, ho riscontrato consonanza con tratti del conflitto politico degli anni Settanta e reminiscenze di squadrismo tipico del Ventennio”.
Cosa la ha colpita di questa vicenda?
“L’episodio mi ha colpito come cittadina, come preside e come madre. Sono indignata per l’accaduto, impaurita dalle scene che ho visto girare. Ho tanta fiducia in tante ragazze e in tanti ragazzi che vedo nel mio liceo e che non sono indifferenti, reagiscono e lo fanno con modalità corrette”.
Si aspettava la risonanza mediatica, i plausi e le critiche che hanno avuto le sue parole?
“No. Se le scuole lavorano ordinariamente sulla memoria, sulla Storia, sulla Resistenza, sulla Costituzione, sul valore della diversità con tanti progetti e attività, con l’educazione civica, perché sorprendersi delle mie parole e non invece del silenzio rispetto al pestaggio selvaggio di studenti operato per motivi politici? Abbiamo studiato. Siamo in una scuola. Abbiamo una sufficiente cultura per chiamare le cose con il loro nome. Il fatto che siano le mie parole a creare scalpore non può non farci riflettere”.
(da La Repubblica)
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