“QUEI TRE GIORNI IN OSPEDALE SONO STATI UN INFERNO. NON MI SONO MAI SENTITA COSÌ UMILIATA E IMPOTENTE IN VITA MIA”
DOPO IL CASO DEL NEONATO MORTO SOFFOCATO ALL’OSPEDALE PERTINI DI ROMA MENTRE VENIVA ALLATTATO, CENTINAIA DI DONNE SONO ACCORSE SUI SOCIAL PER DENUNCIARE ALTRI EPISODI SIMILI NEGLI OSPEDALI ITALIANI
Ripetuta dieci, cento, mille e ancora mille volte, è una frase che va oltre l’immedesimarsi nello stremo e nella solitudine della neomamma lasciata sola con il suo bimbo di tre giorni, morto soffocato al seno al Pertini di Roma perché lei è crollata per la stanchezza. Non è solo compassione, ma denuncia collettiva e rivendicazione: non è stato un incidente, una disgrazia.
Sarah Malnerich, con Francesca Fiore ideatrice della community Mamma di Merda, dedita a «smontare la retorica della mamma perfetta e lenire i sensi di colpa». «Mia figlia aveva il cordone ombelicale girato intorno alla testa e nessuno se ne era accorto. Dopo un primo giorno in cui hanno tenuto la bambina al nido, me l’hanno portata in camera e non c’è stato verso di farla tenere un minuto in più. Una notte chiamai una puericultrice chiedendole di aiutarmi a prendere la bambina dalla culla per allattarla. Non avevo forze e dolori lancinanti. Mi rispose: “Signora, che cosa si credeva? La maternità è questo: sacrificio”».
Poche ore dopo questo post, i commenti e le storie raccolte dalla community sono già centinaia. C’è che si sfoga con racconti lunghi e dettagliati, che ripercorrono passo passo la degenza, chi riassume quanto vissuto in poche, dolorose, parole. Come Federica di Perna, che scrive: «Quei tre giorni in ospedale sono stati un inferno. Non mi sono mai sentita così umiliata e impotente in vita mia».
«Quando ho letto la storia del bimbo di tre giorni morto soffocato, ho pianto» racconta Martina Strazzeri, mamma di un bimbo nato a Rimini, in pieno Covid. «Dopo un lungo travaglio e un taglio cesareo d’urgenza sono rimasta completamente sola tre giorni, non riuscivo a piegarmi per tirarlo su dalla culla. Quando ho chiamato per chiedere aiuto, mi hanno detto che avrei dovuto impegnarmi un pochino di più, che la culla si chiama “next to me” proprio perché sta vicino. Loro mi hanno fatto una lezioncina di inglese, io non ho chiuso occhio per tre giorni, nel terrore di far cadere o schiacciare mio figlio. Mi hanno preso in giro».
«Non è solo colpa dei tagli alla Sanità. Da queste testimonianze emerge un problema sistemico nell’affrontare la maternità, il dolore e il corpo delle donne – denuncia Malnerich -.
La retorica della maternità ci dice che “verrà tutto naturale”, che le donne “lo fanno da secoli” e hanno risorse infinite. Il sacrificio, lo sforzo estremo, è dovuto. E se non ce la fai il problema sei tu. Il riposo per una mamma non è concesso, nemmeno dopo il parto. Questa è la retorica patriarcale, che fa danni gravissimi».
Il bambino è nato, che la festa cominci. Parenti e amici accorrono in ospedale con fiori e cioccolatini, pensando che sarà una passeggiata. Ma non sempre è così e ce lo ricorda la tragedia di Anna, che al Pertini di Roma ha schiacciato il proprio neonato, Andrea, addormentandosi dopo 17 ore di travaglio e il parto.
Soprattutto in un Paese come il nostro, dove si fa fatica a seguire le puerpere prima, durante e dopo il parto. […] spiega la dottoressa Silvia Vaccaro, presidente della Fnopo, la federazione dell’ordine delle ostetriche.
In Italia sono 20 mila, «ma ne servirebbero almeno altre 4 mila per offrire un’assistenza adeguata alle donne e assistere i neonati nei nidi degli ospedali anziché essere costretti ad affidarli a mamme magari ancora sotto stress per il parto», «All’estero le donne continuano ad essere seguite anche a casa, controllando non solo lo stato di salute del neonato e della mamma, ma intercettando anche qualche eventuale trauma psichico».
Ma il nostro Servizio sanitario nazionale, a corto di soldi e personale, ha sempre più difficoltà a offrire cure adeguate alle partorienti, Lo dicono i dati di un’indagine a cura del Centro di collaborazione Oms per la salute maternoinfantile dell’Irccs «Bruno Garofolo» di Trieste, Il 44,6% ha avuto già difficoltà ad accedere alle cure prenatali, fatte anche di accertamenti diagnostici e analisi che – quando i tempi nel pubblico si allungano oltre misura – si finisce per dover fare nel privato, pagando di tasca propria.
Complici le restrizioni imposte dalla pandemia, il 78,4% delle partorienti non ha potuto contare sul proprio compagno in sala parto. Il 36,3% non ha invece ricevuto un supporto adeguato all’allattamento, il 39,2% non si è sentita coinvolta nelle scelte mediche, il 33% afferma di aver ricevuto indicazioni poco chiare dal personale, mentre il 24,8% ha riferito di non essere stata trattata con dignità, con un 12,7% che denuncia persino di aver subito abusi. E se questo è il quadro, non c’è di che stupirsi se a volte la solitudine della puerpera sconfina poi nel dramma.
(da La Stampa)
Leave a Reply