RENZI CON L’ACQUA ALLA GOLA CHIEDE SUPPORTO A TUTTO IL PD
IL PREMIER PREOCCUPATO, SLOITTANO I TEMPI DELLE “SUE” RIFORME… AI DISSIDENTI SVENTOLA PER FINTA UN PD COLLEGIALE, MA LA FRONDA NON CI CASCA
“Son qui per chiedervi una mano e vi indico una direzione. Non vi chiedo un tributo alla simpatia personale. Ma una lealtà che so di poter avere non su di me ma sul Paese. Vi chiedo un impegno a una tempistica stringente sulle riforme”.
Matteo Renzi chiama a raccolta tutto il gruppo parlamentare del Pd, convoca una riunione rigorosamente in streaming e la allarga al “programma dei mille giorni”, quello che partirà a settembre e che, nelle intenzioni del premier, accompagnerà l’Italia nel percorso del “necessario cambiamento”.
Insomma, non solo riforme costituzionali. La sfida ai dissidenti è totale, anche se loro insistono e presentano oltre 50 emendamenti al testo del governo.
Sembra una resa dei conti finale. Con il premier che tenta di guardare oltre, uscire dall’angolo del dibattito del Senato, dove considera acquisito il sì dell’aula al suo progetto di riforma costituzionale, ma sa che sui tempi la riforma continua a sfuggirgli di mano.
E’ questo il punto. Al gruppo Pd di Palazzo Madama prevedono la fine della prima lettura del testo non prima della fine di luglio.
Il che significa che con la riforma slittano anche gli altri provvedimenti all’esame del Senato, bloccato sul ddl Boschi appunto.
Stamane a Palazzo Madama circolava l’ipotesi di anticipare i decreti in scadenza, tipo quello sulla competitività .
Ma da Palazzo Chigi è arrivato l’alt: prima la riforma costituzionale, “è prioritaria”.
E proprio del rischio ingorgo, della preoccupazione su calendario e tempi di esame e approvazione dei testi, Renzi ha parlato oggi con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
In serata il premier-segretario parla in maniera accorata ai parlamentari del Pd riuniti a Montecitorio.
Di fronte, ha i suoi fedelissimi e la minoranza, i leali e i frondisti. Eppure non usa toni provocatorii, nessuna forzatura decisionista.
Quello di Renzi è un appello, quasi un’ultima chiamata al partito per portare avanti il programma dei mille giorni e soprattutto per farlo senza perdere tempo.
E nel tentativo di convincere deputati e senatori a sostenerlo, Renzi sventola anche un’idea che era nell’aria da tempo: la gestione unitaria del Pd.
“Sono pronto a governare il partito anche con chi non la pensa come me – dice – Ma a condizione che sui tempi e sull’urgenza la pensiamo come gli italiani: non c’è un minuto da perdere e l’ansia riformatrice nasce da questo”.
Non appena approvata la riforma del Senato, l’ingresso dei bersaniani in segreteria nazionale potrebbe insomma diventare realtà , proprio con la nuova direzione convocata per il 24 luglio oppure a fine luglio, dipende dai lavori sul ddl Boschi a Palazzo Madama.
Renzi però vuole vederli terminare, prima di compiere qualsiasi passo nella riorganizzazione della squadra al Nazareno.
Anche perchè in Parlamento non c’è solo il testo sulle riforme e Renzi ha avuto modo di fare il punto di tutti i provvedimenti pendenti con Napolitano stamane al Quirinale. C’è il decreto sulla pubblica amministrazione, quello sulla competitività , il Jobs act che doveva essere esaminato dal Senato a metà luglio ma che ormai è slittato: dopo la riforma costituzionale.
Senza considerare provvedimenti annunciati, come lo ‘Sblocca Italia’ che dovrebbe far ripartire gli investimenti infrastrutturali ed è atteso entro la fine di luglio.
Il tempo stringe, insomma. Tanto che in Senato in mattinata circolava l’ipotesi di anticipare la votazione di qualche decreto (competitività ) prima della fine dell’iter della riforma costituzionale, visto che sul ddl Boschi si prevede che l’aula inizi a votare gli emendamenti solo la prossima settimana.
“Ci sono ancora venti ore di dibattito da smaltire”, notano negli uffici di Palazzo Madama. Ma l’idea è già tramontata: prima la riforma del Senato, “è prioritaria”, insistono da Palazzo Chigi.
Del rischio ‘ingorgo parlamentare’, Renzi ha parlato con Napolitano. E con il presidente della Repubblica il premier ha affrontato anche alcuni aspetti del testo di riforma costituzionale: punti da rivedere per metterlo al riparo da qualsiasi problema costituzionale.
Tecnicalità , le definiscono dal Colle, insomma non si tratta di problemi insormontabili ma risolvibili con gli emendamenti al testo. Resta il problema principale: il tempo.
E’ per questo che Renzi ha voluto la riunione con i parlamentari del Pd. E’ per questo che la vuole in streaming.
L’obiettivo è di esortarli a partecipare senza freni al processo riformatore.
I senatori dissidenti sulla riforma costituzionale però non demordono. Anzi, a poche ore dalla riunione con il premier, Felice Casson annuncia la presentazione di circa 55 emendamenti al ddl Boschi, tutti sulle “battaglie condotte in commissione, come l’elezione diretta del Senato e sue maggiori competenze”.
Un gesto che negli ambienti vicini al premier viene preso come un’ennesima provocazione, tanto più che si tratta di proposte di modifica sostenute da tutti i 16 dissidenti. Che insistono: “il problema non siamo noi: il punto è che non c’è un accordo vero in maggioranza”, sottolineano da Corradino Mineo a Pippo Civati, per dire dei critici di tutti i gruppi, dal Senato alla Camera.
Il riferimento è ai distinguo dei piccoli partiti, dalla Lega ai centristi, ancora agitati sul ddl Boschi con l’obiettivo di per guadagnare margini di manovra sulla prossima partita: l’Italicum.
Una partita nella quale conta di giocare in proprio anche un pezzo di minoranza Pd.
Il bersaniano Alfredo D’Attorre lo ha lasciato chiaramente capire parlando alla riunione dei gruppi con Renzi: sull’Italicum la battaglia sarà contro le liste bloccate e per la riduzione dello sbarramento per i piccoli, entrambi temi molto cari al Ncd di Alfano.
Stamane alla riunione del gruppo del Senato, preparatoria dell’appuntamento serale con il premier, 11 dissidenti non hanno partecipato al voto, invece il frondista Massimo Mucchetti si è astenuto.
I sì alla riforma del governo sono stati 87 (Giuseppe Lumia assente ha comunicato il suo sì al telefono con il capogruppo Luigi Zanda), 8 gli assenti.
La maggioranza c’è e ai vertici del Pd confidano che al momento del voto in aula i dissensi si ridurranno.
E confidano anche che si troverà un accordo sulla legge elettorale. “Nel Pd il dissenso è legittimo, ma tutti dovrebbero rispettare la maggioranza del partito e anche gli elettori che li hanno votati”, sottolinea il vicesegretario del Pd, Debora Serracchiani. Ma la lotta è ormai davvero contro il tempo.
(da “Huffingtonpost”)
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