RETROSCENA CONCLAVE: PREVOST IN TESTA FIN DALL’INIZIO, FRANCHI TIRATORI CONTRO PAROLIN
NON C’E’ STATO ALCUN PASSO INDIETRO DELL’ITALIANO, SUBITO SOTTO, SUPERATO PURE DA ERDO
In Conclave il cardinale Robert Francis Prevost, divenuto Leone XIV, non ha avuto rivali. È quello che emerge ventiquattrore dopo l’Habemus Papam dalle indiscrezioni che i porporati elettori si sono lasciati sfuggire. Al Fatto raccontano che il 267esimo papa è stato in testa fin dalla prima votazione, la sera del 7 maggio. Un numero di voti che è cresciuto rapidamente nelle due votazioni della mattina dell’8 maggio e che, nel quarto e ultimo scrutinio del Conclave ha superato il quorum di 89 voti, il più alto della storia, consegnando a Prevost il trono di Pietro. Quello che alla vigilia era dato come l’unico vero contendente del porporato statunitense, ovvero il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato e decano del conclave, alla prova dei voti, fin dal primo scrutinio, non ha ottenuto tutti i suffragi che gli erano stati attribuiti prima dell’Extra omnes. I franchi tiratori sono stati tantissimi e, nella Cappella Sistina, hanno fatto franare immediatamente la candidatura del porporato veneto. Non c’è stata, infatti, una ritirata di Parolin in favore di Prevost, ma soltanto una presa d’atto che il suo profilo non era gradito alla maggioranza dei 133 elettori. A sorprendere, invece, sotto le volte michelangiolesche, è stato il cardinale Péter Erdo, arcivescovo di Esztergom-Budapest e primate d’Ungheria, che ha ottenuto molti voti, intercettando, nelle prime votazioni, tutti i consensi dei porporati conservatori, ma riscuotendo suffragi anche da candidati moderati critici della gestione del Sinodo dei vescovi da parte del segretario generale di questo organismo, il cardinale maltese Mario Grech, e dal suo principale sponsor, il cardinale gesuita Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo e vicepresidente del Consiglio delle conferenze dei vescovi d’Europa.
I porporati conservatori hanno subito negato ogni appoggio a Parolin, forti anche del durissimo attacco che il cardinale statunitense Raymond Leo Burke, patrono emerito del Sovrano Militare Ordine di Malta, aveva sferrato nei confronti del Segretario di Stato durante le congregazioni generali dei cardinali che si sono svolte prima del Conclave. Ma c’è di più. I porporati bergogliani, soprattutto quelli più moderati, hanno subito veicolato che il candidato di Francesco per la sua successione era Prevost e non Parolin. Una continuità, però, che non è stata presentata come una banale fotocopia di Bergoglio, avversato duramente nelle prime cinque congregazioni generali con recriminazioni pesanti anche da parte di cardinali nominati da lui. Ma è stato accuratamente spiegato agli elettori indecisi che Prevost avrebbe rappresentato una continuità pastorale con un governo decisamente più mite e meno irruento del suo immediato predecessore.
“Una soluzione Ratzinger” è stata definita la scelta di Leone XIV, ovvero un curiale con una grande esperienza pastorale e un curriculum accademico altissimo. Un cardinale conosciuto molto bene dai 133 elettori a motivo dell’ufficio a cui lo aveva chiamato Francesco, il 30 gennaio 2023, quello di prefetto del Dicastero per i vescovi e presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina. Impossibile andare in cerca di un vero e proprio outsider: i tempi si sarebbero allungati notevolmente e il rischio di non riuscire a trovare 89 voti sarebbe stato altissimo. Già prima dell’Extra omnes, dunque, le soluzioni erano soltanto due: Prevost o Parolin. “Un papa che piaccia a Dio e non al mondo”, questo è il commento di un cardinale.
Puntuale è arrivata ieri la prima importante decisione di governo: “Leone XIV ha espresso la volontà che i capi e i membri delle istituzioni della Curia romana, come pure i segretari, nonché il presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, proseguano, provvisoriamente, nei rispettivi incarichi donec aliter provideatur. Il Santo Padre desidera, infatti, riservarsi un certo tempo per la riflessione, la preghiera e il dialogo, prima di qualunque nomina o conferma definitiva”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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