SALTATI TUTTI GLI SCHEMI, SALVINI COSTRETTO AD APRIRE A FORZA ITALIA PER LA PRESIDENZA DEL SENATO
GIORGETTI: “L’IMPORTANTE E’ CHE UNA PRESIDENZA VADA AL CENTRODESTRA, NON NECESSARIAMENTE ALLA LEGA”
Reset. È come se, arrivati alla stretta, si fosse azzerato tutto.
E saltato ogni schema forse perchè in questa trattativa finora di schemi definiti non ce ne sono mai stati. Un reset in cui l’unico punto fermo è il calendario, col vertice dei tre leader di centrodestra, previsto per ora in tarda mattinata a palazzo Grazioli.
E poi, se si troverà una “quadra”, Matteo Salvini chiamerà Luigi Di Maio per l’altra quadra, quella complessiva.
C’è, nel calendario, una novità , che prende forma nella parole di Giancarlo Giorgetti, principe della diplomazia leghista, a Porta a Porta: “L’importante — dice – è che una presidenza vada al centrodestra: se servirà un presidente non della Lega per risolvere il rebus politico, noi saremmo disponibili”.
Toni nient’affatto ultimativi e ben diversi da quelli degli ultimi giorni, “Lega o morte”, a costo di creare una profonda linea di frattura con Berlusconi, spaccando l’alleanza in nome dell’asse con i Cinque Stelle.
Eventualità che il mite Giorgetti esclude, per l’oggi e per il dopo: “Abbiamo la consapevolezza di avere la responsabilità di delineare la strategia, noi avremmo i numeri per fare un governo con i Cinque Stelle, ma non vogliamo farlo”.
È una novità , e non di poco conto. Che azzera lo schema seguito finora, da giorni, di una “profonda sintonia” tra Salvini e Di Maio, a partire dalle presidenze delle Camere: Montecitorio ai Cinque Stelle, palazzo Madama alla Lega, col centrodestra in frantumi e la prospettiva di un’intesa di governo tra i due.
Perchè la verità è che Salvini, questo il punto, vuole giocare fino in fondo la sua partita da leader del centrodestra. Il che significa che ha bisogno di arrivare all’incarico, o meglio al “pre-incarico”, pur nella consapevolezza che è complicato riuscire a fare il governo.
E dunque serve, al momento delle consultazioni, l’appoggio di Forza Italia per ottenere il quale non può rompere prima. Ecco perchè dà l’idea di non impiccarsi a una presidenza leghista, a costo di sfasciare tutto: se Lega ha da essere, questo il senso del ragionamento, non ci si può arrivare contro, ma con Forza Italia.
È in questo quadro che nulla è ancora definito, perchè un conto è “aprire”, altro è “rinunciare”.
Le presidenze e palazzo Chigi sono un po’ come l’uovo e la gallina della celebre metafora, il certo e l’incerto: “Quelle restano — dicono i colonnelli vicini a Salvini, l’incarico chissà . Nel senso che lo può ottenere ma poi è difficile che Matteo riesca a fare il governo”.
È questo il punto critico di questa storia. In condizioni normali, se il centrodestra avesse avuto una maggioranza, sarebbe stato tutto più lineare: una Camera all’opposizione, una all’alleato (Forza Italia), Salvini a palazzo Chigi e le compensazioni coi ministeri.
Senza maggioranza è tutto diverso: “Forza Italia — dicono quelli attorno a Salvini – si lamenta senza tener conto della realtà . Dopo le presidenze vai a capire cosa accadrà sul governo ed è difficile che riusciamo a farlo”.
È per questo che se per Luigi Di Maio il punto fermo è la presidenza della Camera, per il leader della Lega è assai meno scontato.
E proverà a rovesciare questo schema: la sua best option resta, ad oggi, un leghista sullo scranno di Montecitorio e un pentastellato al Senato. Perchè la candidatura di Giancarlo Giorgetti sarebbe “perfetta”. Al tempo stesso si troverebbe una quadra nel centrodestra, una di sistema con Di Maio, e il profilo non suscita neanche un’ostilità preconcetta da parte del Pd.
E terrebbe aperta, proprio in quanto si tratta di una candidatura “di coalizione”, la prospettiva di un incarico per palazzo Chigi.
Il problema è che, al momento, sono arrivati dei niet dai Cinque stelle: “Di Maio — spiegano fonti vicine al dossier — tiene il punto, perchè non ha gente adatta al Senato. E poi il presidente del Senato può ricevere l’incarico esplorativo… Troppo pericoloso per uno che lavora sul suo di incarico”.
È questo l’impasse che blocca la trattativa, risucchiando nomi e ipotesi, schemi di gioco che cambiano ogni ora. E c’è una specularità tra i due vincitori alle elezioni, in questo risiko delle presidenze. Come Di Maio, anche Salvini ha profili meno adatti a palazzo Madama. Roberto Calderoli, il più competente a cui Berlusconi difficilmente può dire di no, non è un volto nella sua nuova Lega. Ed è troppo autonomo. Altre figure hanno scarsa esperienza per ricoprire il ruolo di seconda carica dello Stato. Vale per Lucia Borgonzoni, una fedelissima, ma al primo mandato e fragile di curriculum, vale per Erika Stefani, alla seconda legislatura, più esperta ma non fortissima.
È per questo che il nome più forte resta quello di Giulia Bongiorno, che ha la competenza, curriculum e anche la stima di Niccolò Ghedini sin da quando lo difese nel Ruby ter.
Il limite, diciamo così, è che difficilmente controllabile. Ed è su questo terreno che Silvio Berlusconi, al vertice di mercoledì, proverà a giocare un suo nome per palazzo Madama. Si riparte da Paolo Romani, il capogruppo uscente, che non ha veti da parte della Lega, ma impatta sul criterio dei Cinque Stelle (“mai indagati e condannati”) per la vecchia storia della condanna per peculato.
È sul tavolo del centrodestra, nella logica di trovare prima un’intesa all’interno, poi una con i pentastellati. Reset.
(da “Huffingtonpost”)
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