SALVINI CEDE ALLO SPREAD, NASCE IL GOVERNO NON VOTATO DAGLI ITALIANI
IL LEGHISTA SI RIMANGIA LE PROMESSE SU SAVONA… IL VETO A OLTRANZA DI DI MAIO SULLA MELONI CHE VOLEVA UN MINISTERO PER LEI
Sono le ore 19.02 quando viene imposto il sigillo al governo del cambiamento.
Luigi Di Maio e Matteo Salvini, riuniti da quasi tre ore alla Camera, diramano una nota congiunta: “Ci sono le condizioni per un governo politico”. Ventotto minuti dopo Carlo Cottarelli sale al Quirinale per rimettere il mandato. Dall’altro lato della porta girevole c’è Giuseppe Conte, che vi ritorna per ricevere l’incarico.
Trattativa sbloccata. Il leader della Lega dopo una mediazione complicatissima ha ceduto al combinato disposto dei caveat del Quirinale e del colpo di teatro del futuro alleato, la cui inversione a U si è rivelata decisiva per l’avvio del nuovo esecutivo.
Ma si è vissuto in apnea fino al primo pomeriggio.
Un leghista di rango all’ora dell’aperitivo confida: “La certezza che saremmo arrivati in porto ce l’ho avuta solo un paio d’ore fa. I nodi erano tanti, nulla era scontato”.
La quadra finale prevede Paolo Savona, pietra d’inciampo fino a domenica, spostato dall’Economia agli Affari europei, quest’ultimo elevato al rango di ministero (pur senza portafoglio) da semplice sottosegretariato.
A sostituirlo Giovanni Tria, economista dell’università di Tor Vergata, storicamente vicino agli ambienti degli ex socialisti di Forza Italia, uno stretto rapporto con Renato Brunetta.
A completare il quadro, agli Esteri arriva Enzo Moavero Milanesi, già ministro con Mario Monti. Un pacchetto che tranquillizza il Quirinale e permette al governo gialloverde di vedere la nascita, probabilmente già nella giornata di domani.
Ma trovare la quadra non è stato semplice.
Con due nodi non di poco conto rimasti sul tavolo fino all’ultimo.
La sostituzione di Savona a via XX settembre, anzitutto. Perchè trovare un profilo autorevole, che insieme sostenesse la linea eurocritica del nascente esecutivo ma rassicurasse sulla tenuta dell’Italia nel contesto europeo e della moneta unica non era cosa di poco conto.
È stato lo stesso futuro ministro agli Affari europei ad indicare la soluzione: “Perchè non Giovanni Tria?”.
Un nome che ha acceso la luce a chi come Giancarlo Giorgetti (ma non solo lui) ha avuto modo di conoscerlo in questi ultimi anni. Tutte le caratteristiche perfette. E in più un versante filo-Forza Italia che potrebbe contribuire non poco a rassicurare un preoccupato Silvio Berlusconi.
Un nome rimasto coperto fino all’ultimo, appena un’ora prima che in gran segreto, scortato da due commessi, varcasse le porte di Montecitorio per raggiungere il triunvirato che guiderà il prossimo esecutivo, Di Maio, Salvini e Conte.
L’altra questione aperta fino all’ultimo è stata quella legata all’ingresso di Fratelli d’Italia al governo. Un’eventualità sulla quale il segretario del Carroccio ha insistito fino all’ultimo.
E alla quale i 5 stelle non hanno chiuso la porta da subito, pur mostrandosi estremamente scettici. Giorgia Meloni ha annullato impegni precedentemente presi in Puglia ed è piombata a Roma. §
Un lungo vertice con Salvini, poi una lunga attesa quando il capo leghista si è chiuso con Di Maio. Verso le 18.30 eccola piombare in sala stampa di Montecitorio: “Non abbiamo mai chiesto di entrare al governo — spiega — nè posti da ministro. Salvini ci ha parlato di un nostro eventuale ingresso per rafforzarlo, ma c’è stato un niet. Ci asterremo e valuteremo i singoli provvedimenti”.
In effetti verso le 15 una fonte molto in alto fra i 5 stelle confermava la chiusura totale.
A sera è un colonnello del Carroccio a ricostruire: “Giorgia si era impuntata sul suo nome. Già i grillini erano molto incerti, quella condizione che lei non ha voluto liberare ha fatto saltare la possibile intesa”.
Perchè Di Maio, nonostante il bagaglio di senatori che Fdi avrebbe portato in dote a puntellare la maggioranza, non ha accettato di farsi affiancare nelle foto di rito dalla leader della destra parlamentare, spostando decisamente l’asse dell’esecutivo.
A fine giornata, superati i principali scogli, le rughe sulla fronte si rilassano.
A sera arriva in Transatlantico tutto lo stato maggiore delle camicie verdi. Manca solo Giorgetti, ma ci sono Gian Marco Centinaio, Roberto Calderoli, Nicola Molteni, Lorenzo Fontana. Facce allegre, un aperitivo in buvette. “In bocca al lupo ministro”, “Ma quale ministro, mi chiamo Gian Marco, finchè non è fatta”.
(da “Huffingtonpost”)
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