SALVINI, PATRIA (SCOPERTA IN TARDA ETA’) E (DUE) FAMIGLIE
INDOSSA LA FELPA VIRTUALE DEL “PERSEGUITATO POLITICO”, DELIRANDO SU CONFINI E STRUMENTALIZZANDO PURE I FIGLI… IL TIMORE DEI SUOI E’ CHE IL PROCESSO GREGORETTI FINIRA’ PER AZZOPPARLO… E LA MELONI ASPETTA SULLA RIVA DEL FIUME
Li cita più volte e nel momento di massima tensione rivela che “oggi mio figlio mi ha mandato
un sms: forza papà ”. Vuole fare il martire Matteo Salvini, la vittima del sistema, nel giorno del voto dell’autorizzazione a procedere sul caso Gregoretti.
L’accusa è di quelle da fare tremare i polsi: sequestro di persona per aver impedito a 131 migranti di approdare in territorio italiano.
Aula svogliata, a tratti dormiente, fino a quando non arrivo lui, Salvini, tutto incravattato ed elegante come conviene al rito di Palazzo Madama, che scomoda i pargoli per cavalcare l’onda processuale.
E si sgola da quel banco dell’emiciclo con al fianco i suoi fedelissimi, Gian Marco Centinaio e Roberto Calderoli, Massimiliano Romeo e Lucia Borgonzoni. Tutti presenti, tutti compatti. A ogni parola che il Capo scandisce, le truppe annuiscono. E sembra quasi che a ogni gesto del segretario corrisponda un gesto simile dei suoi soldati.
Sia come sia, il Capitano leghista inveisce contro l’esecutivo dell’odiato “Giuseppi” Conte: “Se c’è qualcuno che scappa, oggi non è tra la Lega ma tra i banchi del governo”. Ed è una gaffe bella e buona. “E’ la prassi di questa aula”, bofonchiano le truppe di LeU.
Non a caso la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, non perde un attimo e richiama il leader di via Bellerio all’ordine: “Non era prevista la presenza del governo”.
E giù gli applausi dei senatori del Partito democratico, soddisfatti per il rimbrotto ai danni del Truce da parte della seconda carica dello Stato.
Con un dettaglio: per la prima volta da quando è iniziata la legislatura Davide Faraone, campione del renzismo e capogruppo di Italia Viva, presenza ingombrante nell’emiciclo, non sbraita contro Salvini. Resta muto, composto, ordinato. Chissà perchè.
Gli indizi vanno tutti nella stessa direzione: al grande patto dei due Mattei, Renzi e Salvini, e alle regionali del prossimo maggio
Ma dicevamo della Casellati e di Salvini. Fermi tutti, però. “Qui non ci sono tifoserie”, rilancia colei che presiede l’aula. E poi si riparte con il solito refrain salviniano che ruota attorno ai soliti messaggi: “Lasciamo decidere un giudice se sono un criminale”.
E ancora: “La difesa della patria è un sacro dovere, ritengo di aver difeso la mia patria, non chiedo un premio per questo, ma se ci deve essere un processo che ci sia”.
I suoi parlamentari hanno visi scuri, preoccupati su come andrà a finire. Il clima ricorda più quello di un funerale. Come se qualcosa da oggi in avanti sia mutato.
Non a caso risuona l’arringa che sessanta minuti prima ha scolpito Giulia Bongiorno, avvocatissima fra i penalisti, consigliere giuridico di Salvini e senatrice della Lega. Ecco, il difensore di Andreotti fino all’ultimo secondo utile ha cercato di dissuadere il leader del fu Carroccio. “Matteo, ti prego, non lo fare”. L’arringa rispetta le parole che in privato gli ha sussurrato all’orecchio. “Il rischio è di trasformare noi senatori in azzeccagarbugli, ma non siamo strateghi e lo dico anche a Salvini: non si faccia processare, nessuno può scavalcare i giudici”.
E ancora: “Attenzione, attenzione, attenzione a non abdicare del tutto al nostro dovere e potere. Sembra che il tema oggi sia che chi di noi sceglie di votare no al processo fa in modo che Salvini fugga dal processo”.
Applausi a destra, con Ignazio La Russa in piedi ad annuire, e ghigni soddisfatti ma trattenuti a sinistra. Con un’eccezione. Quel Pierferdinando Casini, democristianissimo, che dal suo banco ha annunciato il suo no al processo, per garantismo: “Il tema vero è se Salvini ha agito in contrasto con l’alleato di governo, questo contrasto non c’è”. Punto e accapo.
Nè più nè meno come la stoccata finale della Bongiorno è rivolta all’inquilino di Palazzo Chigi : ”’Noi della presidenza del Consiglio abbiamo lavorato per ricollocare e consentire poi lo sbarco’. Sono le parole del presidente del Consiglio, l’avvocato Conte. Sono queste le sue parole”. E allora, insiste la Bongiorno, “se potete siate liberi, coraggiosi e forti”. Poi la abbracciano tutti. E Salvini le manda un saluto dal suo banco.
Eppure non ascolta l’ultimo appello della consigliera giuridica. No, no. “Sono d’accordo con quello che dice Giulia Bongiorno ma le devo disubbidire perchè sono testone e stufo di impegnare quest’aula con il caso Diciotti, Gregoretti, Open Arms e chissà quanti altri ne arriveranno su una questione per me talmente ovvia”. Che sia processo.
Ed è un processo che i leghisti stessi definiscono insidioso, come se sanno già che da questa vicenda il loro leader, il loro Capitano, ne uscirà azzoppato, ridimensionato.
Li vedi pascolare nel Salone Garibaldi di Palazzo Madama con l’aria di chi sa già che da oggi in avanti non sarà più la stessa cosa.
Perchè dopo la Gregoretti ci sarà l’Open Arms, e dopo ancora forse ci sarà un altro grattacapo per questo leader che svetta ancora nei sondaggi ma è insidiata da una Giorgia Meloni che nell’ultimo anno è la leader che è cresciuta maggiormente.
Ecco, dopo i rumors degli scorsi giorni di una accesa discussione fra lei e Salvini, Meloni si presenta in tribuna ad ascoltare e ad applaudire “Matteo”. Un modo, forse, per nascondere le distanze di queste ore. O forse per avvertire che dopo Salvini c’è già una leader donna, pronta, e in ascesa. E senza processi.
Perchè fra qualche ora, appena si concluderà la votazione, Salvini si ritroverà a doverne affrontare uno. E non sarà certo facile.
(da “Huffingtonpost”)
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