SARKOZY IN STATO DI ACCUSA PER CORRUZIONE DOPO 15 ORE DI INTERROGATORIO
RICONOSCIUTO L’IMPIANTO DI ACCUSE DEI MAGISTRATI CHE INDAGANO SUGLI AFFARI DELL’EX PRESIDENTE
L’ex presidente francese Nicolas Sarkozy è stato messo in stato d’accusa da un giudice istruttore di Parigi per corruzione, traffico di influenze e violazione del segreto istruttorio.
Lo ha reso noto la procura nazionale per i reati finanziari, che ha chiesto e ottenuto il provvedimento, adottato nella notte dopo 15 ore di fermo. Ieri il lungo interrogatorio di Sarkozy.
La procura nazionale per i reati finanziari scrive in un comunicato che “a seguito del loro fermo, Nicolas Sarkozy, Gilbert Azibert (giudice di Cassazione, n.d.r.) e Thierry Herzog (avvocato dell’ex presidente, n.d.r.) sono stati presentati ai due magistrati istruttori incaricati dell’indagine aperta il 26 febbraio 2014 per le accuse di traffico di influenze e violazione del segreto istruttorio… Conformemente alle richieste della procura, sono stati messi sotto accusa”.
Le accuse.
Nicolas Sarkozy secondo la procura è accusato di ricettazione della violazione del segreto professionale (la ricettazione indica la disponibilità di un oggetto proveniente da reato, in questo caso le informazioni sulle inchieste, n.d.r.), corruzione attiva e traffico di influenze attivo.
Il giudice Azibert è accusato di ricettazione della violazione del segreto professionale, traffico di influenze passivo e corruzione passiva.
Per l’avvocato Herzog l’accusa è di violazione del segreto professionale, ricettazione della violazione del segreto professionale, corruzione attiva e traffico di influenze attivo.
Il “traffico di influenze”.
Il reato di “traffico di influenze” è tipico del diritto francese, dove è stato introdotto già alla fine dell’Ottocento, ma è estraneo alla tradizione italiana. E’ stato inserito nel nostro codice penale solo nel 2012, all’articolo 346 bis, a seguito dell’adesione dell’Italia a convenzioni internazionali dell’Onu e del Consiglio d’Europa.
Il “traffico di influenze” consiste nella mediazione illecita volta al compimento di atti contrari al dovere d’ufficio di un pubblico ufficiale.
Altolà al ritorno in politica.
A 59 anni Sarkozy voleva tornare a guidare il partito e il Paese. Erano mesi che maturava la decisione, domenica l’informato Journal du Dimanche l’aveva quasi ufficializzata: prima tappa, Sarkò avrebbe ripreso in mano il partito allo sbando, poi la lunga rincorsa verso il 2017 e la riconquista dell’Eliseo. Ma prima il fermo e poi l’apertura ufficiale dell’inchiesta per corruzione, mai successo a un ex presidente, sembrano ora fermare il ritorno di Sarkò.
Da Gheddafi a Tapie.
La scintilla è scoccata a dicembre, dopo mesi di indagini su tre diversi filoni: lo scandalo Bettencourt (le bustarelle con i bigliettoni dell’ereditiera dell’impero L’Oreal per la campagna elettorale vittoriosa del 2007), i finanziamenti illeciti piovuti anche dalla Libia dell’ex amico poi diventato nemico, Muammar Gheddafi (Sarkozy fu protagonista dell’intervento occidentale che mise in crisi il regime libico).
E infine anche il ruolo avuto dal governo, sotto la presidenza Sarkozy, nell’arbitrare la disputa fra il miliardario Bernard Tapie e la banca Credit Lyonnais, finita con la decisione di risarcire il primo con oltre 400 milioni di euro.
Le telefonate.
Nelle telefonate intercettate, Sarkozy-Bismuth e Herzog parlavano molto e sempre degli stessi argomenti: le agende, soprattutto quelle agendine, con i segreti di tre inchieste che bruciavano, anche se in quella Bettencourt per il presidente è arrivata nel frattempo l’archiviazione.
Sarkozy voleva sapere ogni giorno, più volte al giorno, cosa stava decidendo la Cassazione, alla quale si era rivolto per farle secretare.
E in Cassazione “l’amico” era Gilbert Azibert, che lo informava. E che sognava di prendere “l’ascensore”, cioè di farsi spedire – grazie agli amici dell’ex presidente – nel Principato di Monaco.
Ad informare Sarkozy ed Herzog di come andavano le cose, compresa la decisione di mettere sotto intercettazione i telefoni di entrambi, erano Azibert e il collega togato Patrick Sassoust.
(da “La Repubblica”)
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