SE SI VOTA NON VINCE NESSUNO
ADOTTEREMO UN SISTEMA CHE E’ UN MIX GRECO-TEDESCO DOVE NESSUN PARTITO POTRA’ DETTARE LEGGE E NON VI SARA’ UN LEADER VITTORIOSO… L’INTESA TRA I PARTITI SARA’ SUCCESSIVA AL VOTO COME AI TEMPI DELLA PRIMA REPUBBLICA
I leader politici già lo sanno e gli italiani lo sapranno presto: con la riforma elettorale in gestazione e oramai vicina al traguardo, tutto è stato calibrato per garantire due obiettivi minimali.
Comunque vadano le elezioni, nessuno dei tre partiti di maggioranza avrà molto da perdere in termini di rappresentanza, mentre al più forte di loro sarà garantito un premio, ma non è affatto detto che l’additivo sia sufficiente per conquistare la maggioranza dei seggi in Parlamento.
Nella notte delle elezioni, agli italiani potrebbe essere negata l’istantanea ormai rituale in tutte le democrazie del mondo: la consacrazione del leader vittorioso.
Per sapere chi governerà il Paese occorrerà attendere che le forze politiche trovino in Parlamento l’equilibrio «giusto».
Un esito da «no contest» che i leader dei partiti già conoscono, per effetto delle simulazioni riservate che hanno condotto in queste ultime settimane e che ora è confermato anche da uno studio indipendente, realizzato dall’Istituto Cattaneo.
Dunque, se alla fine si dovesse andare a votare oggi col sistema sul quale si è trovato un compromesso, nessun partito vincerebbe.
E diventerebbe obbligatoria una qualche coalizione, anche se in campagna elettorale se ne fosse negata l’opportunità .
In vista del traguardo, in queste ore, si stanno moltiplicando i segnali di fumo, le indiscrezioni pilotate, le polpette avariate.
E si capisce perchè: nelle prossime quattro settimane si deciderà il destino di questa legislatura e anche della prossima.
E indirettamente si determinerà anche la platea che sarà chiamata ad eleggere il nuovo Capo dello Stato.
Tutto è intimamente intrecciato: la trattativa sulla legge elettorale, il destino del governo, il possibile scioglimento anticipato della legislatura.
Ogni segmento tiene l’altro.
Anche i partiti, nei giorni della formazione del governo Monti, ebbero subito chiaro quali sarebbero stati i loro compiti a casa.
Compiti da ripetenti: scongelare quel pacchetto minimo di riforme istituzionali di cui si chiacchiera da decenni e scardinare finalmente il Porcellum.
Nella storia delle democrazie, le leggi elettorali sono quasi sempre l’espressione di un assetto sociale, di un’idea di Paese.
Così è stato nell’Inghilterra dei collegi uninominali, nella Francia della Quinta Repubblica e anche nell’Italia del 1993, quando la prima riforma elettorale dopo 47 anni, il Mattarellum, fu chiamata a fronteggiare il crollo della Prima Repubblica.
E’ nel 2005 che cambia l’approccio: Berlusconi fa una riforma, il Porcellum, finalizzata ad un calcolo preciso, sgonfiare il più possibile il probabile successo dell’Unione di Prodi.
In sette anni quella legge, intimamente anti-democratica per via del sistema dei nominati, è diventata indigeribile per tutti.
Il Capo dello Stato si è incaricato di ricordarlo spesso, pungolando i partiti, fino a costringerli ad agire.
Pd, Pdl e Udc — lasciate cadere le suggestioni maggioritarie dell’ispano-tedesco del «Vassallum» e quella del semipresidenzialismo — stanno per partorire un marchingegno che, in prospettiva, possa consentire di liberarsi delle coalizioni eterogenee e rissose di questi anni e costruire un nuovo bipolarismo attorno a due grandi partiti.
Con un inconveniente: sul breve periodo, Pd e Pdl sono diventate due forze «bonsai», politicamente incapaci di essere i partiti-guida del sistema.
Nei prossimi giorni si capirà se il minimo comune denominatore raggiunto tra i partiti corrisponderà anche al miglior compromesso possibile.
Se avremo cioè una legge da più legislature, oppure, come ha riconosciuto un professore in politica come Gaetano Quagliariello, si andrà verso «una legge di transizione».
In questi anni si è molto sorriso sugli esotici modelli elettorali via via proposti dai partiti — l’ungherese, l’israeliano, l’australiano — e forse proprio per effetto di questi precedenti nessuno ha avuto ancora il coraggio di battezzare il sistema in arrivo.
Eppure, gli impianti che lo ispirano sono chiari: il proporzionale «personalizzato» nei collegi è mutuato dalla legge tedesca; il premio al primo partito è lo stesso in vigore in Grecia.
Se non interverranno significativi ripensamenti, l’Italia sta per adottare un sistema «greco-tedesco»: originale mix ispirato al Paese più solido e a quello più sofferente d’Europa.
Fabio Martini
(da “La Stampa”)
Leave a Reply