SECONDO L’ULTIMO SONDAGGIO, IL DISTACCO CHE SEPARA IL MELONE MARSILIO DAL CAMPO LARGHISSIMO DI D’AMICO SI È RIDOTTO ALLA MISERIA DELL’1,2%, APPENA QUATTRO MESI FA IN ABRUZZO LA DESTRA GODEVA DI UN VANTAGGIO DI BEN 20 PUNTI
A QUEL PUNTO TUTTO PUO’ SUCCEDERE: ANCHE CHE A SALVINI PARTA L’EMBOLO DI UN PAPEETE2 SFANCULANDO IL GOVERNO MELONI
Trattenete il respiro. Governate lo shock. Avvisate i cittadini abruzzesi che il 10 marzo si recheranno ai seggi per eleggere il nuovo presidente della Regione. Secondo l’ultimo sondaggio realizzato da Winpoll, il distacco percentuale che separa il candidato del centrodestra Marco Marsilio dal quello del centrosinistra Luciano D’Amico si è ridotto alla miseria dell’1,2 per cento. Per la precisione: il Melone d’Abruzzo ottiene il 50,6% delle preferenze mentre D’Amico lo tallona col 49,4%.
Il ciclone sardo avanza e sta davvero scombussolando la scena politica italiana. Appena quattro mesi fa un sondaggio registrava un vantaggio di ben 20 punti del politico che la Ducetta ha paracadutato in Abruzzo, pur essendo nato e cresciuto a Roma, dove continua a vivere e a lavorare (in smartworking con L’Aquila).
Quando poi si è formato un campo larghissimo – oltre al Pd e M5S anche Azione e Italia Morta – con la scelta di un candidato inclusivo come D’Amico, rettore dell’Università di Teramo, i 20 punti di sutura si sono ridotti a 15.
All’indomani del successo della grillina Todde sul camerata Trux Truzzo – una ipotesi inimmaginabile fino al 18 marzo quando Dagospia ha spifferato un sondaggio riservatissimo – la forchetta tra i due candidati si è accorciata a 4,5%.
Ora il colpo di scena: il vento della Sardegna ha spinto ancora più avanti il candidato del centrosinistra allargato: come abbiamo visto, la percentuale che divide l’”abusivo d’Abruzzo’’, e il suo competitor è fragilissima: 1,2%.
Insomma, tutto può succedere. E se per caso anche in Abruzzo andasse storto per il governo Ducioni, è ovvio che le farmacie intorno a Palazzo Chigi resterebbero senza un flacone di Xanax e Tavor. Se per la tenuta dei fragili otoliti della “Nana bionda” c’è il pronto intervento dei “badanti di Palazzo Chigi”, Scurti e Fazzolari, per contenere il friabile equilibrio mentale dell’attuale Matteo Salvini non si vede nessuno Basaglia in giro.
Anche perché è impensabile che la Lega ottenga il prossimo 10 marzo un risultato che possa avvicinarsi a quello delle Regionali abruzzesi del 2019, quando il Capitone trionfò portandosi a casa il 27,53% (165.008 voti). Solo cinque anni fa, pensate, Fratelli d’Italia con il 6,49% fu sorpassata da Forza Italia che toccò il 9,05.
In caso di disfatta abruzzese, per l’agitato fidanzato di Francesca Verdini, con una Ducetta ribastonata, paradossalmente potrebbe essere l’occasione di aver maggior potere nel governo. Prossimamente ci sono in ballo le nomine ai vertici di Ferrovie e Cdp, nonché la sostituzione di Mario Parente alla guida dei Servizi interni (Aisi). E a tale riguardo le opinioni di Salvini e Meloni sono diversissime.
Se invece “Io so’ Giorgia” vince con il suo Marsilio, con una Lega ridotta ai minimi termini, per il Capitone si avvicina davvero il capolinea. Il Carroccio, con la storia del terzo mandato, è già salito sulle barricate. La prossima scoppola arriverà sicuramente con il voto del 9 giugno: anche con il generalissimo Vannacci capolista, dai 28 eurodeputati Salvini si dovrà accontentare, se va bene, di 5 o 6. Marzo Zanni, presidente leghista del gruppo europeo Identità e Democrazia (quella con Le Pen e Afd), ha annunciato che non si candida perché non ha la forza di raccattare preferenze. Questa è l’aria che tira.
Se poi a Salvini, per salvare i cocci della sua leadership a pezzi, stanco di essere umiliato dalla manganelli di Palazzo Chigi, partisse l’embolo di un Papeete2, togliendo l’appoggio al governo Meloni, sorge spontanea la domanda: quanti parlamentari leghisti lo seguirebbero, sapendo che in caso di voto anticipato quello scranno non lo vedrebbero più? Ma con un Capitone sopra le righe, si sa, tutto può succedere…
(da Dagoreport)
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