SI E’ SPENTA LAURA, LA VEDOVA DEL MINATORE ITALIANO EMIGRATO IN BELGIO E MORTO NELLA TRAGEDIA DI MARCINELLE
QUANDO GLI IMMIGRATI ERAVAMO NOI E I BELGI CI CHIAMAVANO MACARONI’
Camillo e Orlando Ferrante avevano poco più di vent’anni quando lasciarono la famiglia a Turrivalignani, il paese vicino a Pescara che allora contava non più di 500 abitanti.
Papà Antonio faticava da operaio all’Italcementi in crisi, e dal 1946 ai giovani italiani le miniere del Belgio promettevano lavoro e benessere, specie in quella zona abruzzese chiamata il «triangolo della fame».
Così il maggiore, Camillo, era partito nel 1955, come tanti altri ragazzi, destinato alla miniera del Bois du Cazier a Marcinelle.
Il secondo, Orlando, era partito nel 1956, qualche mese prima della tragedia che l’8 agosto avrebbe ucciso 262 minatori, 136 dei quali italiani.
Anche i fratelli Ferrante, 26 e 23 anni, come altri sette compaesani erano discesi nel pozzo al turno del mattino e non erano mai più risaliti, perchè poco prima delle 8, a 975 metri sottoterra, un incidente o una distrazione aveva scatenato le fiamme che avrebbero rapidamente divorato uomini e cavalli lasciando solo 12 superstiti.
Mentre il più giovane era celibe, Camillo si era sposato per procura in maggio con Laura Di Pietro, sua compaesana e coetanea, delegando papà Antonio a firmare le nozze civili in Comune.
Il matrimonio per delega avrebbe permesso alla sposa di raggiungere il marito all’estero. E così fu, infatti.
All’inizio di luglio il suocero, Antonio Ferrante, accompagnò a Milano la ragazza per consegnarla al treno diretto a Charleroi, e così i due novelli sposi Laura e Camillo si sarebbero abbracciati sulla banchina della stazione ferroviaria del distretto minerario di Marcinelle.
In attesa di trovare un appartamento, sarebbero andati ad abitare in una delle baracche che avevano ospitato i prigionieri di guerra polacchi, senza sapere che la loro storia, appena cominciata, sarebbe durata poco più di un mese.
Come tante altre «vedove bambine», anche Laura sarebbe subito tornata al paese: portando il lutto per una lunga vita, senza mai pensare di risposarsi.
Martedì pomeriggio, Laura Di Pietro è morta, a 87 anni.
Rimane una bella fotografia dei due ragazzi: lei più sorridente e più alta di lui grazie ai tacchi, lui con due baffetti scuri da uomo, dietro di loro la baracca del campo sterposo di Saint Nicolas. Lei in gonna e camicetta bianca, lui con un maglioncino chiaro di cotone, il braccio di lei sulla spalla di lui, quello di lui lungo la spalla di lei, sembrano avvinti (come l’edera) l’uno all’altra per sempre.
L’eleganza distingueva i minatori italiani dai belgi, che andavano a ballare con gli zoccoli il sabato sera, mentre i «macaronì» indossavano i mocassini.
Ora che Laura è morta, tocca a suo cognato Mario, il fratello di Camillo, tramandare l’epica tragica di una famiglia colpita due volte dalla ferocia del lavoro in miniera e dall’incoscienza degli amministratori belgi.
Mario aveva 8 anni quando avvenne quella che gli italiani di Marcinelle chiamano «la catastròfa»: «È stato papà ad accompagnare prima Camillo e poi Orlando a Milano». I futuri minatori venivano raccolti in piazza Sant’Ambrogio: il protocollo italo-belga prevedeva che venissero poi sottoposti alle visite dai medici belgi nei sotterranei della Stazione Centrale.
«Abbiamo saputo dell’incidente dalla radio il giorno dopo, nessuno ci aveva comunicato niente. Papà è partito subito e compare in una fotografia accanto al vescovo di Tournai che benedice le bare. Nostro padre sarebbe morto tre anni dopo in moto mentre andava a lavorare al cementificio».
Di secondo letto
Figlio di secondo letto (papà Antonio era vedovo della prima moglie e i primi tre figli erano orfani di madre), Mario ricorda che anni fa assistette alla traslazione delle bare. Sbirciando dentro quella di Orlando vide solo un po’ di polvere e un pettinino: «I corpi sono ancora sepolti nelle miniere e le bare sono rimaste vuote».
Tra qualche giorno ci saranno le celebrazioni di rito, che vorrebbero tener viva la memoria della più grave tragedia mineraria europea.
Andare in Belgio per ricordare la catastrofe? «No – rispondeva Laura –, tu ci andresti nel posto dove è morto tuo marito a 26 anni abbruciato sottoterra? Io non ci vado».
(da “il Corriere della Sera”)
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