SI VA ALLA CONTA: L’ULTIMA SERA DEL CAV, LA RABBIA DI SILVIO, IL PIANTO DELLA LORENZIN, LA TELEFONATA DI BARROSO
BERLUSCONI SCEGLIE DI VOTARE LA SFIDUCIA AL GOVERNO LETTA
“A questo punto se voto la fiducia è finita, abbasso il capo e poi le procure mi fanno fuori. Passiamo all’opposizione. Voglio vedere se mi arrestano e soprattutto voglio vedere quanto dura un governo di traditori”.
Esausto. Sofferente per lo strappo umano che si è consumato col figlioccio, è a notte fonda che Silvio Berlusconi opta per la conta.
Al termine di una giornata drammatica. Che sancisce, almeno per ora, la scissione del Pdl.
È la decisione più difficile. Vissuta con dolore fisico.
Sulla quale si consuma uno psicodramma per tutta la giornata. Indeciso per tutta la giornata, suggestionato da emozioni e ragionamenti contrastanti il Cavaliere ha un moto di reazione quasi istintiva dopo che da palazzo Chigi esce il comunicato che annuncia che il premier respinge le dimissioni dei ministri.
Berlusconi lo legge mesto: “Si sono messi d’accordo sin dal primo momento”. L’ombra del complotto avvolge ogni mossa di Angelino.
Berlusconi vede un’operazione a tavolino, messa a punto col Quirinale. E che ha subito un’accelerazione con la vittoria della Merkel alle elezioni tedesche: vogliono annullarmi in Italia e sbattermi fuori dal Ppe.
Proprio il fronte europeo resta bollente per tutto il giorno.
È quando arriva la telefonata del presidente della Commissione europea Barroso che Berlusconi resta di sasso: “Se comprometti la tenuta del governo Letta — è il ragionamento di Barroso — comprometti la stabilità economica europea”.
Un pressing che aiuta a metà pomeriggio il lavoro delle colombe.
Che tentano con la benedizione del Capo un’ultima mediazione con Letta: nuovo programma e rimpasto totale.
Mettendo dentro qualche berlusconiano puro. Frana a palazzo Chigi, dove Enrico Letta è un muro.
Letta (Gianni) suggerisce il rimpasto senza un voto di “fiducia”. Ma il premier è insormontabile: chiarimento vero o rottura.
Nè arrivano aperture sul dossier che Berlusconi mette nelle mani di Gianni Letta, un rinvio del voto sulla decadenza.
Per i falchi è il segno che Letta ha deciso di spaccare il Pdl. Un’impressione confermata dalle dichiarazioni di Epifani e di Franceschini.
Silvio Berlusconi, chiuso a Grazioli in riunione permanente, oscilla, sente il colpo.
La via d’uscita per rinviare la questione della decadenza non c’è.
E c’è il “tradimento”. Nel momento più difficile. Vive la rottura di Alfano come una fucilata.
Ma l’intervista al settimana di Cl Tempi — guarda caso, proprio il mondo da cui viene la fronda al Senato — è il segnale che i margini si sono ristretti. Ecco che il Cavaliere si chiude nel bunker con i fedelissimi: Gelmini, Matteoli, Fitto, Capezzone, Gasparri, De Girolamo.
Alfano si rinchiude con i ministri a palazzo Chigi.
È un dramma. A palazzo Chigi Beatrice Lorenzin ha una crisi di pianto. A palazzo Grazioli il confronto è schietto, vero.
Gasparri tenta un’ultima mediazione: votiamo la fiducia e poi vediamo, ma salviamo l’unità del partito. Già l’unità del partito. Ma la conta è già iniziata. E nella conta si vedrà se e come finisce un’epoca.
Il pallottoliere di Verdini dice che i dissidenti sono tra i dieci e i venti. Buoni per fare un governicchio, non di più.
Il pallottoliere di Lupi e Mario Mauro, artefici dell’operazione scissione segna quota trenta.
Pensano che è solo l’inizio: “Tra una settimana diventano cinquanta” dicono parlamentari di Cl.
È una frattura che non sarà sancita solo nel voto di fiducia. Ma anche nella nascita di un nuovo gruppo.
È stata una precisa richiesta di Letta: “Angelino, non voglio un voto in ordine sparso. L’operazione ha senso se fate da subito, un gruppo parlamentare”.
Che dia il senso della nascita di una destra democratica, europea, non più berlusconiana.
Anche le colombe sanno che il Cavaliere in Aula Letta farà un discorso invotabile per Berlusconi. E’ scissione.
L’ultimo ruggito del leone è per rincuorare uno stato maggiore tramortito. “Non ce la faranno a governare con questi numeri. Gli faremo fare la fine di Prodi”.
Il problema è che però stavolta il partito ha un leader dimezzato.
E a questo punto Marina la invocano tutti i fedelissimi. Tutti.
(da “Huffington Post”)
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