SINTONIA TRA PAPA FRANCESCO E MATTARELLA, ARGINE VALORIALE CONTRO LA DERIVA SOVRANISTA
DALL’ELEMOSINIERE DEL PAPA ALL’INTERVISTA DEL PRESIDENTE ALL’OSSERVATORE ROMANO: ESEMPI E PAROLE DI CIVILTA’ IN UN PAESE ALLA DERIVA MORALE
Leggetela, questa intervista di Mattarella, con accanto qualche dichiarazione, scelta a caso, in questa rumorosa campagna elettorale su sicurezza, migranti, difesa dei confini e degli egoismi nazionali, Europa come minaccia da cui proteggersi.
C’è, nelle parole che il capo dello Stato affida all’Osservatore romano, un’“altra” idea dell’Italia (e dell’Europa), profondamente diversa dalla narrazione di un paese rabbioso e incattivito.
E profondamente diversa dall’iconografia di una politica muscolare e cattivista, divisiva nei toni e negli atti, in cui l’altro più che una risorsa diventa una minaccia.
Sentite questo passaggio, in cui parla, degli “atteggiamenti di intolleranza, aggressività , di chiusura alle esigenze altrui”: “Sono fenomeni minoritari, sempre esistiti, ma sembrano attenuate le remore che prima ne frenavano la manifestazione. Appare così in tutta Europa e anche in altri continenti”.
In modo neanche tanto velato il riferimento è al filo nero che sembra legare l’Occidente, questo Sessantotto alla rovescia, dai muri di Trump ai porti chiusi di Salvini, ai bambini separati nelle mense di Lodi come accaduto qualche tempo fa: dalla società affluente, basata sulla dilatazione dei diritti, alla società della crisi, fondata sulla chiusura su di sè, in cui tutto ciò che è diverso fa paura.
Società in cui si sono create “periferie esistenziali, non solo esistenziali, ambiti di sofferenza e disagio, frutto di smarrimento”.
Paura, solitudine, disagio, rabbia, che minano il senso di una comunità , intesa come valori e destino comune.
È una narrazione, quella del capo dello Stato, che nei toni e nei principi è l’opposto del sovranismo e della sua gigantesca macchina della paura, alimentata a prescindere dai risultati.
Diciamo le cose come stanno: sarà anche stata fissata prima della campagna elettorale questa uscita, ma il timing della pubblicazione e la scelta dei “media” del Vaticano è un atto squisitamente politico.
Nessun Papa prima di Francesco, verso cui Mattarella manifesta una sintonia di fondo, aveva sentito rimbombare dentro di sè con tale crescente intensità , l’eco di un duello di civiltà , tra l’angelo dell’accoglienza e il demone dell’intolleranza, al punto da dedicare le meditazioni della via crucis ai migranti o a ricevere in Vaticano la famiglia rom di Casal Bruciato, vittima di una intolleranza artatamente aizzata, o difendere il meraviglioso gesto del suo Elemosiniere, figlio dell’insofferenza verso la cultura dell’odio che, in parecchi, anche nel governo italiano promuovono.
E nessun Papa che, come suo primo atto andò a Lampedusa rifiutando la presenza di politici accanto a sè, aveva “chiuso le porte”, a un ministro dell’Interno, ancora in attesa di essere ricevuto in udienza privata, lasciando chiaramente intendere che non è gradito chi persegue e alimenta la cultura della discriminazione.
C’è tutto il senso di una discesa in campo, ognuno nel suo ruolo ma in una battaglia valoriale comune, di due grandi autorità politiche e morali, Papa Francesco e Mattarella, alla vigilia di questa sorta di ’48 europeo, elezioni vissute come uno spartiacque storico.
E c’è tutto il senso di un idem sentire nell’europeismo non di maniera del capo dello Stato, che riconosce limiti nel processo di costruzione dell’Unione europea che “dà l’impressione di essersi fermato, come in ordinaria amministrazione, anche per il freno posto da parte di alcuni paesi”.
La risposta non è la rinuncia al disegno storico, ma una nuova riscoperta della tensione che lo ha animato: “Papa Francesco, con saggezza, indica il centro della questione. L’Europa deve recuperare lo spirito degli inizi. Deve curarsi di più della sorte delle persone. Deve garantire sempre maggior collaborazione, uguaglianza di condizioni, crescita economica, ma questo si realizza realmente soltanto con una crescita culturale civile, morale”.
Leggete ora le dichiarazioni di questi giorni, in una campagna elettorale che ha sdoganato i cattivi sentimenti, priva di un solo titolo contenente la parola “solidarietà ”, imprigionata nell’ossessione securitaria, priva di un confronto vero, di fondo, sull’orizzonte europeo che vada oltre la polemica su questo o quel numeretto di deficit. Non chiamatelo manifesto anti-sovranista questa sintonia valoriale tra il capo dello Stato e il capo della Chiesa e il reciproco riconoscimento nell’attenzione agli ultimi. Chiamatele, semplicemente, parole di civiltà .
(da “Huffingtonpost”)
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