SOCIAL PIENI, URNE VUOTE: UN RAGAZZO SU DUE, TRA I 18 E I 25 ANNI, NON HA VOTATO ALLE ELEZIONI DEL 2022 (NEL 1992 L’ASTENSIONE ERA AL 9%)
SECONDO GIOVANNI DIAMANTI DI “YOUTREND”: “A LORO LA POLITICA SEMBRA QUALCOSA DI LONTANO, FATTA DA PERSONE CHE PARLANO UN LINGUAGGIO DIVERSO DAL LORO E DI ARGOMENTI CHE NON GLI INTERESSANO”
Senza partecipazione, la democrazia diventa più debole. Senza giovani, non c’è speranza di futuro. È un grido di dolore quello che il presidente Sergio Mattarella ha rivolto dallo studio alla Vetrata alla GenZ che ormai vota sempre meno, ma anche alla politica tutta che resta indifferente, se non addirittura sorda, alle istanze e al linguaggio delle giovani generazioni ormai propense a disertare le urne e le istituzioni repubblicane.
Già i “ragazzi” sono pochi: appena 4,7 milioni (dati Istat) ha tra i 18 e i 25 anni, pari a meno del 10% dell’elettorato complessivo. Se poi non vanno neppure a votare, ecco che i partiti se ne disinteressano per concentrarsi, nei programmi e nell’attività di governo, sui temi più cari — pensioni e tasse — ai cinquantenni e oltre, i cosiddetti boomers, che invece le cabine elettorali ancora le frequentano.
Mentre, se si presentassero in massa, potrebbero fungere «da sprone». È quanto sostiene il costituzionalista Stefano Ceccanti, la cui percezione è confermata dai numeri, sempre più allarmanti. Nel 1992 si era astenuto appena il 9% dei 18-34enni, nel 2018 il 38%, nel 2022 il 42,7%. Un autentico record. Il dato più alto rispetto alle altre classi d’età.
«Mattarella ha ragione, i dati parlano chiaro, c’è un calo dell’affluenza generalizzato e preoccupante e a spingerla verso il basso sono proprio i giovani», ragiona Giovanni Diamanti, presidente di YouTrend.
Inquietante perché «la partecipazione politica non è solo affluenza, ma associazionismo, volontariato, attivismo, ossia il motore e il traino della società civile: un paese che partecipa ha una democrazia più forte e sana, all’inverso ne produce una più fiacca e manovrabile».
È la ragione per cui «il Capo dello Stato ha fatto benissimo a richiamare l’attenzione su questo tema, specie in vista delle prossime Europee », aggiunge Antonio Noto. «Nel 2019 si espresse il 54,5%, di questo passo il 9 giugno rischiamo di scendere sotto al 50. Ed è un problema perché un’affluenza così bassa, simile a quella registrata alle ultime regionali, rende poco rappresentativo chi è eletto».
«Da molti anni, ormai, gli esecutivi sono espressione di una minoranza. Incluso quest’ultimo: a dispetto di numeri schiaccianti in Parlamento, i partiti di centrodestra non arrivano, tutti insieme, al 26-27% della popolazione reale», fa di conto il professor Paolo Natale, docente di Sociologia generale alla Statale di Milano. Più si vota, dunque, più si ha la possibilità di mutare un destino che appare al momento ineluttabile. [..
«La gente vede che i governi si alternano senza produrre cambiamenti reali e disertano le urne». Specie i giovani, per i quali «la politica sembra qualcosa di lontano, fatta da persone lontane, che parlano un linguaggio diverso dal loro e di argomenti che non gli interessano», incalza Diamanti di YouTrend. Occorre dunque suonare un altro spartito. Anche se qualche timido segnale di inversione si intravede.
(da agenzie)
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