SOTTO LA SVASTICA C’E DI PIU’: E’ BIGNAMI IL MR. WOLF DELLA MELONI IN EMILIA-ROMAGNA
DALLA DIVISA NAZISTA ALLA TENUTA DA VOLONTARIO ANTI-FANGO
Galeazzo Bignami è fedelissimo di Meloni e l’organizzatore del suo giro nella città alluvionata. Meloni si fida di lui al punto da mantenere con lui un filo diretto: Bignami è uno dei pochi a poterla chiamare o vedere anche scavalcando il filtro del potente sottosegretario Giovanbattista Fazzolari. FdI sta pensando a lui come futuro candidato per le regionali del 2025. Bignami, infatti, in Emilia ha un forte consenso elettorale, ereditato dal padre e coltivato anche dal ministero.
La fotografia mentre sorride vestito da SS al suo addio al celibato lo perseguita ad ogni passo politico, dal 2005 ad oggi. E c’è da star certi che rispunterà se Galeazzo Bignami, avvocato bolognese dal puro pedigree e viceministro alle Infrastrutture, sarà il candidato presidente di centrodestra alle regionali in Emilia Romagna del 2025. O del 2024, se il governatore dem Stefano Bonaccini prenderà il volo per il parlamento europeo.
A imporre l’attenzione su di lui e a far aumentare le voci di una candidatura è stata la vicinanza anche fisica di questi giorni alla leader Giorgia Meloni. Bignami, infatti, è stato il più fotografato accanto alla premier, con gli stivali di gomma nei comuni alluvionati della Romagna: 47 anni e un volto da ragazzino, era sempre a pochi passi in tenuta da volontario.
Non solo, proprio Bignami si sarebbe incaricato di pianificare con precisione la cittadina in cui andare, ben attento a scegliere quella non ancora visitata da altri esponenti politici. Un successo di comunicazione per Meloni e di accreditamento politico per l’ambizioso viceministro, che è anche stato invitato a intervenire al cdm di ieri per relazionare sull’alluvione.
Nel gruppo di FdI è considerato nella schiatta dei «fedelissimi di Giorgia», accanto al duo Andrea Delmastro e Giovanni Donzelli: tutti più o meno della stessa età, tutti provenienti dalla comune militanza nel Fronte della Gioventù, la giovanile del Movimento sociale italiano. Non a caso, al pari di Delmastro alla Giustizia per tallonare il ministro Carlo Nordio, anche Bignami è stato imposto dalla premier con la stessa finalità nel ruolo di viceministro alle Infrastrutture. Con deleghe minori, il vero il mandato di Bignami è stato da subito soprattutto quello di marcare stretto Matteo Salvini.
Tra i due, però, si sarebbe instaurata una buona sintonia: merito anche del fatto che non cerchi spazio mediatico rubando la scena al ministro, ma preferisca la vita ritirata e l’attività sul territorio.
LA FAMIGLIA
Meloni si fida di lui al punto da mantenere con lui un filo diretto: Bignami è uno dei pochi a poterla chiamare o vedere anche scavalcando il filtro del potente sottosegretario Giovanbattista Fazzolari. Tutti, però, ricordano e marcano una differenza peculiare tra la storia politica di Bignami e quella del resto dell’inner circle. La sua fedeltà a FdI è una scelta politicamente recente: la tessera con il suo nome sopra, infatti, è stata staccata solo nel 2019.
Ambizioso Bignami lo è stato sempre e nel 2012, al momento dello scioglimento del partito delle Libertà, decise di seguire chi allora era più forte, entrando nella rifondata Forza Italia di Silvio Berlusconi e diventandone coordinatore regionale, consigliere regionale e poi deputato nel 2018. Corsi e ricorsi politici, a fargli da mentore è stata colei che oggi di Meloni è diventata ministra: Anna Maria Bernini, anche lei avvocata bolognese e legata alla galassia di Alleanza nazionale. Accanto a lei, un altro riferimento costante è stato Maurizio Gasparri, che lo scoprì nelle giovanili e lo convinse a rimanere in FI.
Eppure proprio la sua candidatura nel collegio Emilia Romagna scatenò una mezza rivolta nel partito: in una regione di radicato antifascismo, su di lui pesava non solo la militanza giovanile nell’Msi, ma anche il retaggio familiare. Il padre Marcello, infatti, è stato volto notissimo della politica del capoluogo: esponente storico della destra e componente della direzione nazionale dell’Msi, nel 1974 subì un attentato da parte di militanti dell’estrema sinistra, fu consigliere comunale e consigliere regionale fino alla morte prematura nel 2006. Sull’onda del padre, Galeazzo – che con il fratello Alessio ha militato fin da giovane – divenne consigliere comunale e capogruppo di An nel 1999, appena diciottenne, nell’anno della storica vittoria a Bologna di Giorgio Guazzaloca.
IL CONSENSO ELETTORALE
Chi lo conosce racconta che il suo vero sogno sia quello di rientrare in Emilia: «Se potesse, a Roma non si fermerebbe nemmeno a dormire». La sua ambizione è la riconquista del comune di Bologna. Quella più raggiungibile, la Regione. La sua forza, invece, è il radicamento territoriale. Già nel 2005, infatti, si occupò della campagna elettorale del padre da 8000 preferenze per il consiglio regionale.
Proprio il consenso trentennale del genitore è stato ereditato e addirittura accresciuto dal figlio: alto a Bologna ma anche nei paesini dell’appennino, dove ha sapientemente coltivato il suo bacino di voti e anche i legami con gli altri parlamentari, molti dei quali devono a lui almeno parte del loro successo. Per selezionare chi sostenere, però, il test d’ingresso sarebbe senza appello: nessun appoggio senza un passato di militanza giovanile.
Anche dal ministero delle Infrastrutture, il suo riferimento rimane l’Emilia. Si sarebbe infatti diviso i fronti con l’altro viceministro, il ligure Edoardo Rixi: a Rixi la dorsale tirrenica, a lui l’adriatica. Tradotto in pratica: sotto l’occhio attento di Bignami passerebbero i lavori stradali e ferroviari che toccano la sua regione e pesano nel ritorno elettorale e che proseguono lungo Marche e Abruzzo, controllati da governatori meloniani
Sulla carta, tutti i tasselli sembrano al posto giusto in vista delle regionali. Unica pecca: gli alleati, che proprio sul passato troppo “nero” di Bignami avrebbero già iniziato a mugugnare, ritirando fuori la sciagurata foto nazista e i suoi eccessi passati soprattutto in chiave anti-immigrati, visto che il viceministro ha nel curriculum anche un pestaggio subito nel 2015 nel campo rom di Casalecchio. «Meglio un civico di centrodestra antifascista» si spinge a dire qualcuno. Dopo la debacle della leghista Lucia Borgonzoni, però, è difficile che FdI non rivendichi il proprio turno.
(da editorialedomani.it)
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