STALIN FALSIFICO’ IL TESTAMENTO DI LENIN? LO STORICO LUCIANO CANFORA IN UN LIBRO CONFERMA L’IPOTESI CHE LA LETTERA CON LE ULTIME VOLONTÀ DEL LEADER BOLSCEVICO SIA STATA MANOMESSA A VANTAGGIO DEL SUO SUCCESSORE
LA MISSIVA AVEVA GIUDIZI DENIGRATORI NEI CONFRONTI DI TUTTI I PRINCIPALI CANDIDATI ALLA SUCCESSIONE. IN PARTICOLARE, ERA SPIETATA CONTRO STALIN CHE AVEVA ACCESSO, TRAMITE LE SEGRETARIE DI LENIN, AI MANOSCRITTI APPENA DETTATI
Vladimir Lenin morì il 21 gennaio del 1924. Aveva cinquantatré anni.
Nell’ultimo periodo di vita si era ammalato gravemente: il 25 maggio del 1922 era stato colpito da un primo ictus che paralizzò la parte destra del suo corpo; il 16 dicembre di quello stesso anno, dopo un faticoso processo di riabilitazione, subì un secondo attacco. Fu allora che capì di avere davanti a sé un limitato periodo di vita e decise di lasciare al partito che aveva guidato nella Rivoluzione d’ottobre del 1917 uno scritto contenente molti ammonimenti e qualche suggerimento per il futuro.
Complice la moglie, Nadezda Krupskaja, decise che quel testo dovesse esser letto soltanto dopo la sua morte. Che lo colse, come s’è detto, due anni dopo. Nel corso di quei ventiquattro mesi, è probabile che qualcuno abbia «ritoccato» quell’elaborato.
Quantomeno questa è l’ipotesi avanzata da Luciano Canfora in Il testamento di Lenin. Storia segreta di una lettera non spedita in uscita il 6 maggio per i tipi di Fuoriscena. Ipotesi peraltro già formulata dallo stesso Canfora in un suo precedente volume, La storia falsa. Dall’antica Grecia al Novecento, i grandi casi di falsificazione storica attraverso i secoli (Bur). Ma il nuovo libro è assai più circostanziato.
La lettera-testamento di Lenin — resa nota ai vertici del Partito comunista russo quattro mesi dopo la morte del capo bolscevico e poco dopo «rivelata» al mondo intero sulle colonne del «New York Times» — aveva una postilla contenente giudizi denigratori nei confronti di tutti i principali candidati alla successione.
In particolare, era spietata contro Josif Stalin del quale chiedeva esplicitamente la rimozione da segretario.
Ma Stalin, a dispetto di quei giudizi o più probabilmente perché aveva goduto dell’opportunità di conoscerlo in anticipo, già da qualche tempo si era attivato per tener ben salde nelle proprie mani le redini del partito.
Doveva però fare i conti con un rivale, Lev Trotzkij, a cui Lenin, pur
definendolo «il più capace», rinfacciava, in uno strano inciso, il «non bolscevismo». Ed è su questo inciso che, a ben argomentata opinione di Canfora, «si annida l’intervento testuale praticato da Stalin». Quantomeno il fondato sospetto che ci sia stato.
Non va dimenticato, scrive lo storico, che Stalin aveva accesso, tramite le segretarie di Lenin, ai manoscritti appena dettati, dal momento che il Comitato centrale (di cui era segretario) lo aveva specificamente incaricato di tener d’occhio «la corretta gestione della persona di Lenin da parte dei medici». E di controllare «il rispetto, da parte dell’infermo, dei limiti da loro prescritti». Insomma, prosegue Canfora, «l’interferenza era ben “legittimata” dalle circostanze e dai ruoli, che mettevano Stalin in una posizione particolarmente favorevole ai fini del controllo su Lenin».
(da Il Corriere della Sera)
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