SULLA VIA CRUCIS DI EXPO CERCANDO UN PO’ D’ACQUA
DUE CHILOMETRI A PIEDI PER RAGGIUNGERE I PRIMI PADIGLIONI… POCHE PANCHINE E CESTINI, ZERO FONTANELLE… C’È CHI SI SENTE MALE DAL CALDO, POCHISSIMI I SERVIZI
Ha rispettato i tempi di apertura: il primo maggio. Le buone notizie per Expo finiscono qui.
Oltre l’ingresso, quando si arriva in questa estrema periferia milanese, c’è il nulla.
Per intravedere qualche padiglione si devono percorrere circa due chilometri a piedi. Bisogna attraversare un ponte sopraelevato su strade e ferrovie. A metà un signore si sente male. Lui e la moglie cercano una panchina. Non ce ne sono. Non gli resta che accasciarsi a terra. La signora chiama il 118.
“Capita ogni giorno”, minimizza il personale medico del presidio allestito a Expo. “Un colpo di calore, stia tranquillo”, gli dicono adagiandolo sulla lettiga.
La moglie chiede dove trovare dell’acqua.“Tra i padiglioni”.
Ma la ricerca è forse volutamente in linea con il progetto: in una cattedrale nel deserto abbeverarsi non può essere facile. E infatti non lo è.
Quant’è difficile riuscire a dissetarsi
Degli oltre 200 ristoranti e punti vendita nell’area di circa quattro chilometri, solo una ventina vendono acqua. E i distributori gratuiti sono pochi, ne incrociamo quattro ma l’organizzazione dice che ce ne sono 12. Ben nascosti.
Visibili, invece, i quattro info point. Il primo è appena superato il ponte. E qui c’è anche qualche panchina. Anzi: le uniche sono qui. Ma sotto il sole.
Gli alberelli che dovrebbero fare ombra sono stati piantati troppo di recente. Sulle panchine si riposano i volontari. Che sembrano più turisti che guide. Angelo e Maria, per dire, sono due pensionati di 68 e 63 anni. Si danno un gran da fare.
“Io parlo tedesco, mio marito inglese e siamo pochi a conoscere lingue”, dice lei.
Non hanno dubbi sul perchè valga la pena lavorare gratis: “La prima settimana abbiamo visitato i padiglioni, ce ne sono alcuni veramente bellissimi” e poi, aggiunge Angelo, “non siamo obbligati a esserci sempre e per sei mesi”.
Mi mettono la piantina di Expo in mano e mi suggeriscono di arrivare al padiglione di Slow Food “è bellissimo”.
Lo indicano ma è troppo lontano, non si vede. “Vada in fondo, lo trova”.
In fondo è a un altro chilometro e mezzo dal padiglione zero, quello che dovrebbe essere l’ingresso ufficiale a Expo posto all’inizio di un corso che chiamano “decumano” e attraversa tutta l’esposizione.
Lungo questa camminata si intravedono da entrambi i lati tutti i padiglioni.
Brasile, Cile, Kazakistan, Russia. È tutto asfalto.
Ma l’intero percorso è sovrastato da gigantesche vele che garantiscono ombra. Di panchine neanche a parlarne, così come le indicazioni: zero.
Una professoressa di una scuola media di Rovigo aggiunge un’altra mancanza: spazi pic-nic o aree verdi per i bambini.
“Sa dove possiamo far fare merenda?”, chiede a un volontario. E la risposta è un silenzio pensoso seguita da: “O lontano da qui o intorno all’albero della vita dove trova dei seggiolini”.
L’albero della vita, simbolo incompiuto di Expo, è attorniato da sedute rosse rotanti in equilibrio instabile che si rivelano una delle attrazioni più quotate perchè è una sorta di gioco: prova a sedertici. Ma i bimbi apprezzano. Il gioco. Le maestre meno l’assenza di aree verdi.
Di scolaresche qui ne arrivano tantissime. È uno dei pochi dati certi che Expo ha tra le mani: le visite delle scuole sono tutte organizzate in anticipo.
Eppure riusciamo a estorcere un numero approssimativo: tra i due e i quattro mila studenti al giorno. Di dati la società non vuole darli.
L’amministratore delegato Giuseppe Sala preferisce non divulgarli per evitare analisi ritenute inutili.
Eppure, a ormai una settimana dall’inaugurazione, sarebbe necessario fornire qualche cifra anche per confrontarla con le stime.
Di persone comunque ce ne sono. L’area è vastissima. Ci sono padiglioni letteralmente presi d’assalto, come quello Inglese, mentre altri sono deserti. Ma più che per reali meriti per la teoria delle masse di Freud: si segue la calca.
Anche perchè non ci sono indicazioni, così come non si sa cosa si troverà all’interno delle singole esposizioni.
Ogni padiglione è un uovo di pasqua. A sorpresa. Alcuni sono ancora vuoti. Come quello dell’Unione Europa, fino a venerdì transennato e con ancora operai e ruspe al suo interno.
Ieri miracolosamente terminato e inaugurato per il National day alla presenza del presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz.
Le aree di Oman, Indonesia e Turkmenistan sono ancora da concludere. Erano in carico all’Italia e i Paesi hanno già protestato .
Anche la Sicilia ha avuto da ridire. Lo stesso padiglione Italia ha ancora una parte incompleta e inagibile: il tetto cui si accede dal ristorante.
C’è una guardia a fermare chiunque tenti di passare. E si capisce il perchè: la vista da qui è bellissima. Se si guarda all’esterno. Bel terrazzo panoramico, peccato sia inarrivabile
All’interno lo sguardo è costretto a incrociare impalcature, pavimenti ancora da fare, quadri elettrici e tubi in bella mostra e da concludere.
Per carità : prima o poi anche questo ultimo piano sarà terminato e si potrà accedere al terrazzo. Così come prima o poi arriveranno le panchine, saranno installati più punti acqua. E prima o poi l’area sarà disseminata di cestini per i rifiuti, arriverà anche una segnaletica per i padiglioni con informazioni e indicazioni precise.
Così come saranno rese operative le navette elettriche, magari a chiamata, e non ci sarà solamente il bus che passa regolarmente l’area esterna ai padiglioni e va a senso unico: se salti una fermata devi rifare l’intero giro.
Insomma: prima o poi sarà tutto perfettamente funzionante e funzionale.
E poi insomma Expo a Milano quando mai ricapiterà ? Quindi per ricordo moltissimi visitatori vogliono comprare un souvenir.
Magari la maglietta che hanno i volontari, il loro zainetto, il cappellino, una tazza con scritto Expo 2015. Insomma: un gadget.
Ma è inutile cercare il negozio: non c’è. O meglio: lo spazio è indicato come “temporany shop” ma è un telo bianco attaccato alle transenne dietro le quali non è ancora stato costruito nulla.
La gara d’appalto vinta da Rinascente è finita al Tar su ricorso di Coin e il tribunale ha costretto Expo a rifarla in fretta e furia.
È finita con una sorta di accordo: uno vende all’esterno e l’altro all’interno.
Se non si chiudeva così, all’italiana, il negozio non avrebbe visto la luce prima della fine di Expo.
Ma anche lui aprirà e venderà gadget. Prima o poi.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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