TALO’ SI E’ COMPORTATO DA UOMO DI STATO ED E’ STATO L’UNICO A FARLO
LA MELONI PROTEGGE SOLO LA SUA CORTE DEI MIRACOLATI
Vorrei spendere qualche parola in difesa dell’ambasciatore Francesco Maria Talò, anche se non ne ha certo bisogno, costretto alle dimissioni dall’incarico di Consigliere diplomatico di Palazzo Chigi, dopo la nota vicenda della “finta” telefonata da parte di due “comici” russi, nella quale è cascata il nostro Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Non so quali responsabilità abbia avuto realmente Talò nella gestione della telefonata, ma so che le sue dimissioni non possono comunque intaccare e in effetti non intaccano una brillante e prestigiosa carriera di leale servitore dello Stato. Carriera che, peraltro, ne sono sicuro, come è accaduto qualche mese fa per le dimissioni del capo ufficio stampa di Palazzo Chigi, Mario Sechi, non si concluderà qui.
Naturalmente se, come fonti del governo lasciano intendere, la finta telefonata non è stata un semplice scherzo ma un vero e proprio atto della guerra ibrida che la Russia è solita compiere nei confronti dei Paesi occidentali, la ricostruzione di quanto accaduto dovrà necessariamente essere compiuta dal governo nella riservata sede parlamentare competente del Comitato per la sicurezza della Repubblica. Comunque, sin da quando la telefonata è stata resa pubblica, la volontà del governo di addossarne la responsabilità all’Ufficio diplomatico di Palazzo Chigi è apparsa manifesta. E a quel punto, erano inevitabili le dimissioni del capo dell’Ufficio diplomatico, appunto l’ambasciatore Talò.
Talò quindi, dimettendosi, si è comportato ancora una volta con stile e correttezza, coerentemente con tutta la sua carriera. Ma se l’ambasciatore Talò si è comportato da uomo dello Stato, occorre dire pure che è stato anche l’unico a farlo.
Non altrettanto può dirsi infatti per alcuni componenti dell’esecutivo, sottosegretari e ministri molto vicini a Meloni, che hanno cercato subito di sollevarla dall’imbarazzo di essere stata così a lungo a telefono con un impostore, con un tono molto informale, lasciandosi andare a commenti e valutazioni poco opportune anche per una vera telefonata internazionale con un leader africano o di altra nazionalità.
Da parte di Giovanbattista Fazzolari, Alfredo Mantovano, Guido Crosetto, ci sono state dichiarazioni giustificative nei confronti di Meloni (e questo è comprensibile) ma anche inutilmente colpevolizzanti l’Ufficio che aveva trattato e inoltrato la telefonata.
Questo non mi è francamente piaciuto. Anche l’Ufficio e lo stesso Consigliere diplomatico di Palazzo Chigi andavano difesi, o quantomeno non andavano cosi esposti, a maggior ragione se la telefonata non era uno scherzo ma un atto di guerra ibrida. Uomini di governo e delle istituzioni non possono fare un così evidente scaricabarile nei confronti di altri uomini e uffici dello Stato. Nemmeno per difendere il Capo. Ma in questo governo, nel governo Meloni, è così forte l’istinto di proteggere solo il capo e di mostrarsi zelanti nel farlo che spesso si finisce per compiere un danno ben più rilevante alla istituzione.
Meloni è chiusa da un anno, da quando è al governo (in realtà anche da più tempo), in un fortino con una ristretta cerchia di persone. Tutti coloro che sono fuori dal suo fortino, anche i collaboratori istituzionali, sono considerati dei corpi estranei, con i quali lei deve necessariamente avere a che fare per ragioni di ufficio ma dei quali in fondo farebbe volentieri a meno.
Nella rappresentazione vittimistica del potere che la stessa Meloni fornisce, secondo la quale è circondata da nemici che ordiscono chissà quali trame per farla cadere (in realtà non si intravvede neanche una adeguata opposizione), finiscono per essere ricomprese anche persone che ricoprono ruoli che invece andrebbero tutelati e delle quali occorrerebbe fidarsi.
D’altra parte, Meloni pare non essere consapevole che spesso proprio lei e i suoi uomini più fidati hanno (ri)messo in mano a suoi storici e ancora attuali avversari importanti pezzi dello Stato, dalla sicurezza, alla giustizia, alla cultura. Giorgia Meloni dovrebbe invece (ma guai a darle consigli!) semplicemente uscire dal suo fortino.
Da un punto di vista personale, il caso della telefonata è il secondo, dopo i fuori onda dell’ex compagno Andrea Giambruno, consecutivamente fastidioso che capita a Meloni. In entrambi i casi, Meloni ha reagito nello stesso modo, apparentemente liberandosi del problema, in realtà non risolvendolo. Magari Meloni probabilmente ha avuto la sensazione di essere riuscita così ad uscire indenne dalle due vicende o addirittura rafforzata o avendo limitato le conseguenze negative. Ma ne è uscita solo più sola. E forse, per salvare la sua immagine, si è disfatta delle persone sbagliate, proprio di quelle di cui avrebbe più bisogno. Ne valeva la pena?
(da Huffingtonpost)
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