TASSARE (POCO) I MILIONARI ITALIANI, LA MINI-PATRIMONIALE CHE VARREBBE QUANTO UNA FINANZIARIA
LO STUDIO DI ELISA PALAGI, RICERCATRICE ALLA SANT’ANNA DI PISA: “IN ITALIA I MULTIMILIONARI SONO 50.000, SE LO STATO LI TASSASSE SOLO DELL’1,3% IN PIU’ INCASSEREBBE 13 MILIARDI”… MA COME PARLI DI QUESTO SI ALZANO LE CORNACCHIE SOVRANISTE CHE NON HANNO CAPITO UNA MAZZA
«Se tassassimo con una tassa patrimoniale dell’1,3% i multimilionari italiani, che sono circa 50 mila (ovvero lo 0,1% della popolazione), lo Stato incasserebbe 13 miliardi di euro». Elisa Palagi è un’assegnista di ricerca alla scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e si occupa di disuguaglianze economiche in Italia e nel mondo. Secondo lei il divario tra ricchi e poveri continuerà ad acuirsi in futuro a meno che non vengano implementate politiche mirate proprio a colmare questo gap.
Elisa Palagi, in merito alle disuguaglianze economiche, cosa evidenziano i suoi studi?«Negli ultimi anni la disuguaglianza di reddito in Italia è aumentata. L’1% più ricco della popolazione continua ad arricchirsi sempre di più, mentre il 50% più povero sta vedendo diminuire ulteriormente la propria quota di reddito e questa tendenza sarà sempre maggiore in futuro. Le categorie più vulnerabili sono i giovani, le donne e le persone che abitano nelle regioni del Sud».
Cosa non funziona nel sistema fiscale italiano?
«Il sistema fiscale italiano presenta due problematiche principali. Prima di tutto, i redditi da capitale, come dividendi e plusvalenze, sono tassati molto meno rispetto ai redditi da lavoro. Questo favorisce i più ricchi, che guadagnano una parte significativa del loro reddito da investimenti. In secondo luogo, c’è una certa regressività nelle imposte, in quanto le aliquote effettive sono più basse per i redditi più elevati. Per esempio, il top 0.1% paga il 32% in tasse che è un’aliquota inferiore rispetto a quella che viene pagata dalla restante parte della popolazione che si aggira più o meno intorno al 45%».
Quali potrebbero essere le soluzioni per migliorare questa situazione?
«Una delle soluzioni sarebbe quella di aumentare la tassazione sui redditi da capitale, che al momento è fissata al 26%. Per esempio, le aliquote sui dividendi e sugli interessi potrebbero essere rialzate per essere più in linea con quelle dei redditi da lavoro. Inoltre, sarebbe fondamentale introdurre una patrimoniale che colpisca l’1% più ricco della popolazione attraverso la quale lo Stato potrebbe incassare alcuni miliardi. Tra l’altro questo è un argomento di attualità che è stato dibattuto anche all’ultimo G20: una piccolissima patrimoniale globale del 2% che vada a colpire i miliardari a livello globale aiuterebbe ad affrontare i costi della transizione energetica».
Parlando di patrimoniale, quali sono le resistenze politiche che hai riscontrato in Italia
su questo tema?
«In Italia, la parola “patrimoniale” genera una reazione di forte resistenza, in parte dovuta a una comunicazione poco chiara su come funzionerebbe realmente. C’è la percezione errata che la tassa colpirebbe la classe media o che si tratterebbe di un prelievo indiscriminato sui conti bancari. In realtà, sarebbe localizzata solo sui più ricchi, e il suo impatto sarebbe minimo per la maggior parte delle persone. È fondamentale spiegare bene come funzionerebbe, in modo da superare la paura che spesso accompagna questo tipo di intervento. Inoltre la concentrazione di ricchezza va di pari passo con il potere politico: Elon Musk non pungolerà mai Trump per una patrimoniale sui miliardari, vorrebbe dire tassare sé stesso».
Oltre alla tassazione, quali sono gli altri fattori che influenzano le disuguaglianze economiche?
«Oltre alla tassazione diseguale, esistono altri fattori che contribuiscono ad acuire il divario economico come: la partecipazione ai sindacati, l’accesso all’istruzione di qualità, gli investimenti in sanità e il cambiamento climatico. Proprio su questo ultimo punto, abbiamo notato che nei Paesi in via di sviluppo, dove l’economia dipende fortemente dal settore agricolo, il riscaldamento globale sta riducendo la quota di reddito delle persone meno abbienti. Stiamo lavorando a uno studio simile anche per l’Italia. Insomma le cause sono tante e senza un cambio di passo sarà difficile vedere un miglioramento».
(da Il Corriere della Sera)
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