TOSI E LE TANGENTI DEL VICESINDACO: BUFERA GIUDIZIARIA A VERONA
GIACINTO IN GALERA PER CONCUSSIONE CONTINUATA… LA MOGLIE MASCHERAVA LE MAZZETTE DEL MARITO CON FINTE CONSULENZE
La città di Romeo e Giulietta è finita in mano a Bonnie & Clyde: il vicesindaco, re dell’edilizia, e la sua appariscente mogliettina, arrestati con l’accusa choc di concussione continuata.
Sei anni di tangenti, intascate da lui e lei, secondo l’accusa, con tariffe da malaffare sistematico: chiedevano il pizzo in percentuale, da 10 a 40 euro al metro quadro.
Uno scandalo surriscaldato da ricatti, tradimenti, dossier anonimi, videotrappole e troppi soldi facili, che sta incrinando la storia d’amore tra il votatissimo Flavio Tosi e la sua Verona.
La bufera giudiziaria è scoppiata proprio mentre il sindaco leghista si preparava al salto nazionale, con tanto di fondazione politica per diventare l’anti-Renzi, il leader pulito di una destra moderna.
Ma ora la sua giunta sembra un fortino assediato: arresti, interdizioni, raffiche di inquisiti, imprenditori e dirigenti che denunciano appalti d’oro e assunzioni clientelari nelle società comunali o addirittura confessano tangenti milionarie.
Va detto subito che Tosi, personalmente, non è indagato. Ma al centro dei tanti scandali c’è la sua cerchia più fidata.
La botta più forte è arrivata il 17 febbraio 2014, giorno dell’anniversario della Tangentopoli milanese.
Vito Giacino, ex berlusconiano diventato l’uomo forte della giunta Tosi, cioè vicesindaco e assessore all’urbanistica e all’edilizia, entra in carcere per «concussione continuata dal 2008 al 2013».
Sua moglie, Alessandra Lodi, avvocato, è agli arresti domiciliari: mascherava le mazzette al marito con finte consulenze legali.
L’inchiesta parte da un micidiale anonimo che ha svelato il trucco delle parcelle alla consorte, pagate da almeno sette aziende in affari col comune.
Sentito dalla polizia giudiziaria, un imprenditore immobiliare, Alessandro Leardini, ha già confessato di aver dovuto versare 690 mila euro a quella coppia di denari: 510 mila in contanti, altri 180 mila coperti con le fatture della moglie del politico.
Ed era solo un anticipo: il vice di Tosi reclamava un altro milione e 170 mila euro.
«Giacino ha utilizzato l’ufficio pubblico come moltiplicatore del profitto personale», spiega il giudice Guido Taramelli nell’ordinanza che bolla i coniugi come «professionisti del crimine».
Ne è passata di acqua sotto i ponti dell’Adige da quando Tosi sembrava non sbagliare un colpo.
Vinte le elezioni del 2007 con l’appoggio in extremis di Berlusconi, il leghista fedele a Maroni è stato tra i primi a divorziare dal cerchio magico di Bossi, ancor prima che si scoprissero le ruberie del tesoriere Belsito, e nel 2012 ha scaricato pure Forza Italia, riconquistando la città scaligera con il 60 per cento dei voti. Ora la festa è finita.
Tra la folla assiepata sulle scalinate bianche del Comune, per assistere all’infuocato consiglio dove il sindaco è costretto a difendere «l’amico Giacino», con tutti gli altri inquisiti, in nome del «garantismo», spicca una distinta signora coi capelli bianchi: «Credevamo in Tosi, siamo molto delusi».
Suo marito sta già con gli indignati: «In galera!». In coda c’è pure il mite ex sindaco di centrosinistra, Flavio Zanotto, che commenta: «Era ora che la procura cominciasse a fare pulizia».
In città tutti sanno che Giacino era l’assessore più votato e più potente: il successore designato di Tosi.
Le motivazioni dell’arresto (68 pagine) sono devastanti.
C’è il superassessore che incontra di nascosto il costruttore taglieggiato (e altri imprenditori citati dall’anonimo) con tecniche da film di mafia: telefonini spenti, nomi di fantasia sulle agende, un faccendiere che recapita messaggi orali, il politico che depista le indagini consegnando istruzioni scritte, che i magistrati definiscono «pizzini».
C’è un fiume di denaro nero: pacchi di contanti riversati perfino sui conti delle mamme o della nonna.
Ci sono le vacanze a Praga, le cene a Venezia e Mantova, gli alberghi di lusso a Milano e Roma che il politico si faceva innegabilmente pagare dal costruttore.
E poi c’è lei, la moglie avvocato, che a 35 anni incassa parcelle da 806 mila euro nel solo triennio di crisi 2010-2012, però non lavora mai: non ha uno studio legale, è ospite di una collega ma non ha le chiavi e nemmeno la password del computer, le poche consulenze effettive gliele scrivono altri avvocati, gli imprenditori la pagano solo perchè è la moglie del politico che controlla tutti gli affari edilizi.
E che affari: «I piani urbanistici di Giacino stanno seppellendo Verona sotto una colata di cinque milioni di metri cubi di cemento», spiega l’architetto Giorgio Massignan, che ha presentato con Italia Nostra un esposto contro «i troppi favoritismi a pochi privati».
Guariente Guarienti, l’avvocato più noto in città , prevede nuove tempeste: «Ai tempi di Tangentopoli Verona ha avuto il record nazionale di arrestati in rapporto alla popolazione, ma dopo aver confessato e patteggiato si sono quasi tutti riciclati nel centrodestra. La giunta Tosi ha solo creato una nuova leva di affaristi».
Michele Bertucco, capogruppo del Pd a Verona, autore dell’esposto che ha fatto scoppiare lo scandalo, ora chiede i nomi dei finanziatori del sindaco: «Il sistema è al capolinea. Il caso Giacino non si può liquidare come affare di famiglia: un uomo solo non basta a manovrare tutta l’urbanistica. Tosi ha il dovere della trasparenza: nel 2013 è stato l’unico candidato che si è avvalso della facoltà di tenere segreti i suoi finanziatori elettorali. Ora i cittadini vogliono la verità ».
Nelle intercettazioni è la stessa lady Giacino a diventare un riscontro vivente alle accuse: confessa ai suoi cari che l’amore è finito, resta insieme al marito solo perchè «il lavoro me lo porta lui», mentre «io non saprei come mantenermi con 30 mila euro all’anno».
Prima che lui diventasse assessore, «non avevamo i soldi per pagare l’affitto», mentre ora la coppia ha un tenore di vita «da favola».
Eppure ritira in banca appena 126 euro al mese (con punte massime di 1462): per la procura è la riconferma che vivevano da sultani con il nero delle tangenti.
Che hanno permesso a Vito & Ale di comprarsi, tra l’altro, un super-attico da 1,7 milioni di euro, incompatibile con i redditi ufficiali.
Facendolo ristrutturare, con un incredibile sconto del 26 per cento su fatture già emesse, dalla chiacchieratissima Soveco spa, l’impresa che nell’era di Giacino è entrata nell’olimpo delle maxi-opere, nonostante gli stretti legami con un pregiudicato calabrese.
Proprio i sospetti di agganci mafiosi sono al centro di un’inchiesta giornalistica di Report che ha scatenato il caos senza essere ancora andata in onda.
Prima filtrano sulla stampa veronese voci di «dimissioni preventive» di Marco Giorlo, assessore di origini calabresi tradito da un’intervista.
Tosi risponde denunciando alla procura un reporter di razza come Sigfrido Ranucci, videoregistrato di nascosto da un leghista che lo accusa di ordire un complotto politico a luci rosse.
Un’inedita «querela preventiva» che fa salire al record di 70 le denunce della giunta Tosi contro giornalisti di mezza Italia.
Ma ha l’effetto-boomerang di sdoganare una ridda di pettegolezzi irriferibili non solo sui Giacino’s, ma anche sulla vita privata di Tosi e consorte, che vivono in città separate: lei, Stefania Villanova, è un’impiegata della Regione promossa ai vertici della sanità veneta.
Il sindaco continua a controllare tutte le leve del potere cittadino con i suoi fedelissimi, sfidando le accuse di lottizzazione partitica.
Paolo Paternoster, segretario provinciale della Lega, è anche presidente dell’Agsm (luce e gas) e del polo fieristico (svendite di immobili pubblici). Stefano Zaninelli, ex consigliere delle Ferrovie per meriti padani, è il “tecnico” direttore dell’Atv (trasporti). Andrea Miglioranzi, ex estremista di destra e poi capogruppo della lista Tosi, è presidente dell’Amia (rifiuti).
Ma ora la procura indaga anche sulle assunzioni clientelari: una Parentopoli che ricorda la Roma di Alemanno.
La magistratura ha già decapitato l’Agec, l’azienda che gestisce le case popolari: l’ex direttore è stato arrestato per corruzione, altri otto dirigenti sono accusati di aver pilotato a favore di due «imprese amiche» l’appalto da 28 milioni di euro per le mense scolastiche.
Cinque inquisiti hanno già patteggiato. E subito dopo la condanna sono stati tutti riammessi in servizio: lo stipendio lo pagano i veronesi.
Paolo Biondani
(da “L’Espresso“)
Leave a Reply