UN ABBRACCIO E DUE STRADE DIVERSE
BERSANI TORNA A CAPO DELLA MINORANZA PD…LETTA VOTA E RITORNA A LONDRA
L’abbraccio è politico, come il dissenso, come le cicatrici.
Pier Luigi Bersani arriva, col passo felpato del capo comunista: “Sono qui per fare il mio doppio dovere: votare la fiducia e abbracciare Enrico Letta”.
Cicatrice che si intravede sotto il capello più corto, magro e sorridente si va a sedere al suo posto, stringe una quantità infinita di mani, coperto dall’affetto dei suoi.
Enrico Letta, entra cinque minuti prima che Renzi inizi a parlare, sale le scale lentamente, dirigendosi verso il segretario di cui fu vice.
La cicatrice è dentro, non ancora rimarginata.
Un’ovazione accompagna il lungo abbraccio tra “Enrico” e “Pier Luigi”. Lunghissima, interminabile, sotto lo sguardo imperturbabile di Matteo Renzi, che a sua volta applaude.
Applauso liberatorio, applauso di affetto, calore, dissenso, applauso di tante cose se, tra i fedelissimi di Letta, serpeggiano giudizi impietosi: “Ipocriti gli applausi di chi cerca di normalizzare l’accaduto”.
La cicatrice sanguina ancora e certo Letta non ha assolto il Pd per quel che ha fatto.
E così, forse, l’abbraccio diventa anche saluto.
Pier Luigi resta seduto tra i banchi del Pd. Enrico no, va a sedersi lontano dal suo partito, in un posto proprio di fronte a Renzi, sguardo imperturbabile come quello della sfinge.
Poco dopo la fiducia, di corsa all’aeroporto.
L’affetto per Pier Luigi è profondo: “Dal 5 gennaio speravo di vivere questo momento. Bentornato Pier Luigi!” twitta l’ex premier mentre lascia la Camera.
Destinazione Londra, per rimettere in fila i pensieri e capire il da farsi.
Per ora Letta non ha deciso nulla, nè sul come farà politica nè sul suo partito da cui si sente emotivamente lontano.
L’ex premier, racconta chi è vicino a lui in queste ore, non ha intenzione di riaprire i suoi think tank, nè ha intenzione di prendere decisioni affrettate. Si vedrà .
Per ora ha rinunciato all’ufficio che spetta agli ex presidenti del Consiglio, così come ha rinunciato sia agli emolumenti sia alla segreteria che potrebbe avere a disposizione. Tornerà , da “deputato semplice” appena la cicatrice sarà cauterizzata. E chissà se il Pd sarà il suo partito.
L’abbraccio è saluto. Ma è anche un segnale a quella minoranza del Pd che per Bersani avrebbe potuto gestire la fase senza lasciare le impronte digitali sul letticidio. Magari astenendosi alla famosa direzione.
Vecchio capo comunista, Pier Luigi vuole dare un doppio segnale. Ai giovani della sua “minoranza” che, insomma, le maniere contano.
A Renzi che la cambiale non è in bianco: “Il governo Renzi — dice sorseggiando un caffè – tra le sue qualità migliori non ha l’umiltà ma ha bisogno d’aiuto e, quando saranno chiari alcuni obiettivi che sono ancora da chiarire, io starò qui a fare il mio dovere per aiutarlo”.
Dare una mano, vecchio slogan bersaniano. In nome dell’unità del partito: “Reggerà , reggerà ” sorride sornione.
Approccio che segna un solco con Letta. Il grande ritorno di Bersani, nel giorno della “fiducia”, ha il significato di una mano tesa a Matteo, in nome dell’unità del Pd, nella consapevolezza che se fallisce Renzi è finita per tutti: “Per come si è svolta questa vicenda — spiega – e per come il presidente del Consiglio ha interpretato questo voto di fiducia, da domani gli italiani vorranno misurare lo spread tra parole e fatti”.
Matteo coglie al volo, twitta il suo grazie a Bersani, in Aula lo nomina calorosamente nel discorso.
Con Letta neanche un saluto o uno sguardo veloce come un tweet.
(da “Huffingtonpost“)
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