UN PAESE CON LE PEZZE AL CULO: OLTRE 5,7 MILIONI DI ITALIANI VIVONO IN CONDIZIONI DI POVERTÀ ASSOLUTA (OVVERO NON RIESCONO AD ACQUISTARE BENI E SERVIZI ESSENZIALI)
A ESSERE PIU’ COINVOLTE SONO LE FAMIGLIE NUMEROSE: LA PRESENZA DI FIGLI MINORENNI CONTINUA AD ESSERE UN FATTORE CHE ESPONE AL DISAGIO ECONOMICO (E POI DICI CHE NON SI FANNO PIU’ FIGLI)… UNA CONDIZIONE CHE RIGUARDA PIÙ DI 2,2 MILIONI DI FAMIGLIE NEL PAESE, IN MAGGIORANZA AL SUD
Oltre 5,7 milioni di persone in povertà assoluta in Italia. Persone che faticano o non riescono ad acquistare beni e servizi essenziali. Adulti, anziani e tanti minori, tra i più colpiti: gli under-18 costretti a vivere in questa condizione di difficoltà sono 1,3 milioni. Una condizione che nel complesso riguarda più di 2,2 milioni di famiglie nel Paese, di più al Sud. Lo scatto arriva dalle stime preliminari dell’Istat relative al 2023.
Stime che in quanto tali sono suscettibili di revisioni, ma che per ora indicano numeri in aumento, che toccano i massimi della serie storica dal 2014. Anche se il quadro – sottolinea l’Istituto – è di sostanziale stabilità rispetto al 2022. I dati sono allarmanti, affermano sindacati e consumatori. E l’opposizione attacca.
Tanto più se si guarda ai minori: per loro l’incidenza di povertà assoluta sale al 14%, il valore più alto della serie storica dal 2014. Rispetto al 2022, l’incidenza è invece stabile tra i giovani di 18-34 anni (11,9%) e tra gli over65 (6,2%), che restano la fascia di popolazione a minor disagio economico.
I dati confermano che le famiglie più numerose sono quelle più coinvolte e che la presenza di figli minori continua ad essere un fattore che le espone maggiormente al disagio. Nel complesso, nel 2023 le famiglie in povertà assoluta si attestano all’8,5% del totale delle famiglie residenti (erano l’8,3% nel 2022), corrispondenti a 5 milioni 752mila individui (9,8%; dal 9,7% del 2022), indica l’Istat, sottolineando che resta invariata l’intensità della povertà assoluta (cioè la distanza media della spesa delle famiglie povere dalla soglia di povertà) a livello nazionale (18,2%).
Spesa che nel 2023 cresce sulla spinta dell’inflazione. L’anno scorso, sempre secondo le stime Istat, la spesa media delle famiglie risulta pari a 2.728 euro mensili in valori correnti, in aumento del 3,9% rispetto ai 2.625 euro dell’anno precedente. Crescita che risente ancora in larga misura dell’aumento dei prezzi (+5,9% la variazione su base annua dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo). In termini reali si riduce infatti dell’1,8%. In altre parole, per i consumatori è l’ennesima prova che gli italiani hanno speso di più per acquistare di meno, a causa del forte impatto del caro-prezzi.
Tra le diverse voci, spiccano le spese delle famiglie per l’acquisto di alimentari e bevande analcoliche che crescono del 9% rispetto al 2022. Aumentano anche le spese per trasporti (+8,7%) e per salute (+3,4%). Di qui la richiesta al governo di mettere in campo misure concrete contro i rincari e per far recuperare il potere d’acquisto. La Cgil parla di dati “drammatici” e considera un “fallimento” le scelte dell’esecutivo. L’opposizione torna ad attaccare il governo per aver cancellato il Reddito di cittadinanza.
E alla premier Giorgia Meloni che afferma che “la povertà non si abolisce per decreto”, M5s – padre del Reddito – e Pd replicano che “Meloni per decreto ha aumentato la povertà”, che così tocca “il record storico”. Di qui rilanciano la proposta e la necessità di introdurre il salario minimo per legge e di ripristinare uno strumento di contrasto alla povertà che sia universale. A metà marzo i nuclei familiari beneficiari dell’Assegno di inclusione (una delle due misure post Reddito, introdotta insieme al Sostegno formazione e lavoro) risultano 550mila. I due nuovi strumenti per la Cgil non bastano affatto, anzi: “Gli esclusi – sostiene – sono troppi, almeno 600 mila famiglie su cui il governo risparmierà 4 miliardi di euro”.
(da Corriere della Sera)
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