UNO SCHIFO CHIAMATO TRUMP
SE TUO FRATELLO GUARDA IL MONDO E NOI NON GUARDIAMO NE’ IL FRATELLO NE’ IL MONDO, L’UNICO ORIZZONTE POSSIBILE E’ LA MORTE INTERIORE
L’arte ci ha già detto tutto, solo che non sappiamo guardarla e ascoltarla. O magari ascoltiamo quelli sbagliati, perdiamo tempo coi Modà e non sappiamo nulla di Woody Guthrie. Appunto: Guthrie.
Una volta ha scritto: “Credo che il vecchio Trump sappia bene quanto odio razziale abbia fomentato in quella lattina di sangue che è il cuore degli uomini”.
Chi era quel Trump? Fred Jr, padre dell’attuale Presidente degli Stati Uniti. Evidentemente, e tra le altre cose, si eredita anche il razzismo.
La canzone si intitola Old Man Trump e ve la consiglio.
Come vi consiglio queste parole tratte da L’America, monologo del 1976 di Giorgio Gaber e Sandro Luporini: “Non c’è popolo più stupido degli americani. La cultura non li ha mai intaccati”.
Esageravano, consci e divertiti di esagerare, e sono sicuro che neanche loro credevano di essere così vicini al vero.
Gli americani ci hanno preso in giro per anni per Berlusconi, e hanno fatto bene. Ora però ne hanno uno parecchio peggio in casa: auguri.
Ancora arte, ancora musica.
Roger Waters — uso il nome che gli avete dato all’anagrafe e non quello, “Dio”, che gli appartiene per manifesti meriti artistico-esistenziali — immaginò nel 1983 una casa di riposo atta a ospitate gli ex dittatori, o presunti statisti, ormai definitivamente rincoglioniti.
La chiamò Fletcher Memorial Home, in onore del padre Eric Fletcher. Ecco: Trump ci starebbe benissimo. Cioè malissimo.
In pochi giorni, questa caricatura vivente ha garantito che costruirà un muro (e anche qui Dio Waters aveva già detto tutto) tra Stati Uniti e Messico.
Ha bloccato gli ingressi a cittadini di 7 Stati a maggioranza musulmana (ma l’Arabia Saudita no: con quella ci fa ancora affari).
Ha scambiato la Premier inglese per una pornostar.
Ha rivalutato la tortura, sfanculato l’Europa (tranne quel galantuomo di Putin) e promesso altri capolavori di tal sorta.
Manca solo che ci riveli di avere per secondo nome “Apocalisse”, o se preferite “Mefisto”, e poi siamo a posto.
In tutto questo, anche in Italia, l’Europa non dice quasi nulla, perchè questo è pur sempre il Capo. E chi nasce suddito resta tale, anche — e soprattutto? — se il Capo è uno stronzo da competizione.
C’è un aspetto filosofico, se volete schopenhaueriano in tutto questo: non c’è peggior specie di quella umana, che merita per questo ogni sfacelo, e Trump è lì a ricordarcelo in tutta la sua — e nostra — smisurata bruttezza morale.
Siam sempre lì: non è che gli alieni non esistono. Esistono eccome. Solo che gli facciamo così schifo che, pur di non venire sul Pianeta Terra, preferiscono passare il tempo a picchiare ET e leggere Dylan Dog. Li capisco.
Lasciato però da parte tutto ciò che è artistico e filosofico, della vicenda Trump — peraltro appena iniziata — non resta che lo sgomento. L’immane sgomento.
E’ come se la politica inseguisse la ciclica perversione di costringerci a rivalutare il passato.
In confronto a Trump, persino i Bush paiono quasi accettabili. Ci attendono tempi tremendi, perchè Trump non è il Presidente della Bocciofila di Poppi ma l’uomo più potente del mondo.
Non coltivo grandi speranze, se non forse due.
La prima è che questo disastro umano costringa i “democratici” americani a un drastico ripensamento: se proponi una come Hillary Clinton, poi i Donald Trump te li meriti.
La deriva xenofoba è certo figlia della povertà e dell’ignoranza, ma è anche frutto del fallimento arrogante e perdurante di questa cazzo di “quasi-sinistra” che ha fallito pressochè ovunque.
La seconda speranza è che, dalle nostre parti, e cioè nella cara e vecchia Europa, questo parossismo di inciviltà e insensibilità ci costringa a restare umani. Lo diceva Vittorio Arrigoni, che per questo è morto. E lo dovremmo dire anche noi, se solo non fossimo — troppo spesso — così mostruosamente stupidi, menefreghisti e pavidi.
Se tuo fratello guarda il mondo, e noi non guardiamo nè il fratello nè il mondo, l’unico orizzonte possibile è la morte: quella interiore, che è poi quella peggiore
Andrea Scanzi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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