VA IN PENSIONE IL MODELLO CAESAR PALACE A PALAZZO CHIGI: MONTI CAMBIA LA SALA STAMPA
VIA ANCHE LA “VERITA’ SVELATA DAL TEMPO” DI TIEPOLO CHE BERLUSCONI FECE COPRIRE CON UN REGGISENO… MONTI FINORA HA EVITATO DI FARSI VEDERE IN UNO DEI LUOGHI SIMBOLO DEL CAVALIERE
Al presidente Monti, che del riserbo suo e dei ministri ha fatto una specie di religione governativa, la
sala stampa di Palazzo Chigi non piace proprio; ma anche al netto della più radicata diffidenza nei confronti dei giornalisti, il professore non è il solo a pensarla così.
Era il 16 dicembre del 2002 quando nell’inaugurare questo luogo ricavato dalle scuderie dei principi Chigi e già sottoposto nel corso del tempo ad almeno un paio di ristrutturazioni, l’allora presidente del Consiglio entrò con aria soddisfatta e rivolto ai cronisti stanziali con la sicurezza del più sperimentato venditore di casa classicamente domandò: «Vi piace?». Imprevisto, ma univoco si levò tuttavia un coro: «Nooooh!». «Bene – replicò Berlusconi senza fare una piega al suo celebre sorriso – allora buttiamo giù e rifacciamo tutto».
Era ovviamente uno scherzo, perchè da allora la sala stampa è rimasta quella sulla quale il Cavaliere e i suoi provetti consiglieri di estetica televisiva, in primis il temerario architetto Catalano, avevano apposto la loro firma.
Ora, è chiaro che dieci anni fa il professor Monti aveva ben altre cose più serie a cui pensare; con il che senz’altro ignora che fra gli addetti ai lavori dell’informazione si aprì una animata disputa per cercare di capire che diavolo d’ispirazione architettonica fosse prevalsa nell’allestimento.
Chi diceva stile corinzio e chi Star Trek; chi discoteca tardi anni ottanta, chi «barocco brianzolo» (copy Dagospia) e chi esuberante «imperial trash».
Alla fine le varie opinioni più o meno si riconobbero in un avanzato compromesso che individuava il modello primigenio in un casinò di Las Vegas, ma non un casinò qualsiasi, quello di stile antico romano del «Caesar Palace», in modo da accontentare il partito classicista.
Sennonchè la politica, come Monti sta scoprendo in questi giorni, è fatta anche di piccole faccende logistiche, ma di impatto simbolico investendo il rapporto fra il potere e la realtà , fra le decisioni da prendere e lo scenario, mai come in questi anni intenso e artificiale, dinanzi a cui presentarle ai cittadini.
Per cui finora il professore non solo ha evitato di farsi vedere lì dentro, ma come da dispaccio dell’AdnKronos avrebbe pure deciso di mutare aspetto ai locali.
C’è da dire che Berlusconi era troppo sicuro di sè e a tal punto persuaso della prevalenza delle forme sui contenuti, per preoccuparsi della confezione.
Basti pensare che proprio il giorno dell’inaugurazione mostrò per la prima volta alle telecamere e ai 63 giornalisti seduti sulle poltroncine in platea la figura – invero destinata all’evanescenza – del poliziotto di quartiere, un maschio e una femmina con le loro belle divise.
Quindi, passando ai terremoti, dopo aver scambiato San Giuliano di Puglia con San Giuliano Milanese, allegramente ignaro della gaffe ebbe giusto lì il primo dei suoi roboanti battibecchi con un giornalista dell’Unità , «Abbia vergogna, lei mistifica la realtà !».
Inutile dire che quelle telecamere ne videro poi di tutti i colori.
Per restare alle colluttazioni si ricorda l’ardore manesco con cui il ministro della Difesa La Russa si scagliò una volta contro un preteso «disturbatore» e la poco commendevole scenetta imbastita un’altra volta dal regista del Cavaliere, il pur pacifico Gasparotti, ai danni di un onorevole dipietrista deciso a guastare l’epifania del presidentissimo.
Questi, d’altra parte, approfittò della location anche per ostentare segni ed emblemi del potere, per esempio un enorme padellone con su scritto «Consiglio dei ministri» e sotto più visibile: «Il presidente».
Si dotò quindi di molteplici ingegni di scena, pedane, podietti, cuscini, per risultare più alto quando arrivava qualche Tony Blair.
Grande attenzione – si regoli il professor Monti – suscitò lo sfondo alle spalle del presidente.
Nel secondo governo del Cavaliere l’architetto Catalano scelse un frammento de «La gloria di Sant’Ignazio nel mondo».
Il fatto che fosse l’opera di un gesuita, Andrea Pozzo, e per giunta maestro dell’illusionismo prospettico, sembrò per diversi motivi abbastanza naturale.
Quando venne Prodi lo tolse, preferendo figurare con un mesto fondo azzurro alle spalle. Ritornato Berlusconi a Palazzo Chigi, si scelse «La Verità svelata dal Tempo» del Tiepolo.
Ma siccome la Verità era appunto «svelata», quindi mezza nuda, nell’agosto del 2008 parve giusto dotarla di un reggipetto per non turbare i telespettatori.
Sulla vana scelta non s’infierisce, avendo il suddetto Tempo proceduto per conto suo.
Filippo Ceccarelli
(da “La Repubblica“)
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