Marzo 1st, 2013 Riccardo Fucile
AL PD 45,8 MILIONI, TRE IN PIU’ CHE AI GRILLINI, AL PDL 38
Il conteggio delle schede uscito dalle urne è appena finito. I commenti si sprecano e le
previsioni sul futuro politico impazzano. Alcuni cantano vittoria, altri si leccano le ferite. Ma c’è chi se la gode in silenzio: i tesorieri dei partiti che contano i voti e sono pronti a spartirsi nei prossimi cinque anni una torta di circa 159 milioni di euro definiti rimborsi elettorali.
A gioire però saranno però solo gli amministratori che vigilano sulle casse dei gruppi che hanno portato alle Camere almeno un parlamentare.
Gli altri, alla luce delle nuove norme approvate nel luglio dell’anno scorso, resteranno a bocca asciutta.
E tutti avranno un moto di nostalgia nel vedere “ballare” solo 159 milioni e penseranno al 2008 quando il “bottino” ammontava a ben 407 milioni
La regola è che tanti voti prendi tanti soldi incassi.
E dunque per ironia della sorte una bella fetta del grande del banchetto post-elettorale, 42,7 milioni di euro, dovrebbe toccare al Movimento Cinque stelle di Beppe Grillo che della lotta contro questa elargizione dello Stato ai partiti ha fatto uno dei temi forti della battaglia elettorale.
I grillini combattono una lotta senza quartiere a quello che viene considerato un finanziamento pubblico vero e proprio mascherata da rimborso.
Una lotta basata sulla rinuncia a questa piccola montagna di soldi. Soldi che allo stato attuale però Grillo e i suoi militanti non potrebbero neanche ricevere.
Perchè le nuove norme richiedono che il partito per godere del rimborso deve avere uno statuto .
E fino ad oggi Grillo si è sempre vantato di avere un “non statuto” e di essere un “non partito”.
Comunque ancora ieri la questione dei soldi dei rimborsi era al centro della “discussione” fra Pd e Movimento Cinque Stelle con Beppe Grillo che da Twitter annunciava: «Se Bersani vorrà proporre l’abolizione dei contributi pubblici ai partiti sin dalle ultime elezioni lo voteremo di slancio».
E con i neo eletti grillini alla regione Lombardia, sulla scorta di quanto hanno fatto i colleghi siciliani, che proclamavano il loro rifiuto dei rimborsi e il taglio del loro stipendio.
In attesa di vedere sviluppi politici sulla faccenda, i tesorieri fanno i conti.
Quello del Pd, Antonio Misiani, per esempio, dovrebbe incassare 45.856.037 euro che darebbero fiato alle casse del partito.
Al Pdl, invece arriverebbero 38.060.750 euro che aiuterebbero Rocco Crimi, che è tornato al suo posto dopo avere dato le dimissioni.
Soldi che farebbero molto comodo anche alla luce delle notizie circolate durante la campagna elettorale sulle casse pidielline completamente vuote.
Soldi arriveranno anche a chi viene giudicato sconfitto nelle urne.
Mario Monti e il suo movimento Scelta civica, potranno contare su 7.126.437,5 euro della Camera a cui si aggiungono gli 8.002.312,5 del Senato.
Ma questi 15 milioni non sono tutti del Professore che dovrà fare i “conti”, nel vero senso della parola, con gli alleati dell’Udc e di Fli con cui ha presentato una lista unica a Palazzo Madama.
Casini, intanto, in proprio racimola un altro milione e 500 mila euro.
Il partito del presidente della Camera invece non vedrà neanche un euro perchè non ha eletto direttamente nessuno.
Ma qui entra in gioco la legge elettorale pensata nel 2005 da Roberto Calderoli.
Perchè Fini ha ottenuto 159.249 voti e non ha alcun deputato.
Gli autonomisti altoatesini della Svp con 146,409 voti hanno invece eletto cinque deputati e porteranno a casa 366 mila euro.
E soldi pubblici avranno anche Grande Sud di Gianfranco Miccichè, 350 mila euro e il Megafono di Rosario Crocetta, il “governatore” siciliano.
Resta invece a bocca asciutta Rivoluzione civile di Antonio Ingroia e con lui i partiti della coalizione: Rifondazione, Verdi, Italia dei Valori e Pdci.
Silvio Buzzanca
(da “La Repubblica“)
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Marzo 1st, 2013 Riccardo Fucile
BERSANI : “NESSUNA TRATTATIVA SOTTOBANCO”… IL PAESE E’ ALLO SFASCIO E QUESTI OGNI GIORNO SPARANO CAZZATE
Grillo chiude al Pd. Lo fa dal suo blog parlando di proposte che somigliano a un “mercato delle vacche”.
“In questi giorni è in atto il mercato delle vacche – scrive il leader del Movimento 5 Stelle – . Al M5S arrivano continue offerte di presidenze della Camera, di commissioni, persino di ministri. Il Pdmenoelle ha già identificato a tavolino le persone del M5S per le varie cariche dando loro la giusta evidenza mediatica sui suoi giornali e sulle sue televisioni”.
Definisce i tentativi di accordi “il solito modo puttanesco di fare politica” e attacca: “Per attuarlo però ci devono essere persone disposte a vendersi. E il M5S, i suoi eletti, i suoi attivisti, i suoi elettori non sono in vendita”.
Non si fa attendere la risposta del Pd che smentisce che siano in atto trattative nascoste con parlamentari grillini per trovare anche in Senato una maggioranza pronta a sostenere un governo Bersani.
“Nessuna trattativa nè calcoli sottobanco come scrive il Corriere”, si spiega su un tweet dell’account ufficiale del Pd.
“Il Pd gioca a viso aperto. Lo spiega bene Bersani” nell’intervista di oggi a Repubblica, si legge ancora.
Nessuna apertura a Renzi. Sono parole pesanti quelle scelte da Grillo per chiudere a un governo di coalizione con il Pd. Il leader politico non perde l’occasione per criticare Bersani che, a suo parere, “è fuori dalla storia”.
“I giochini sono finiti e quando si aprirà la voragine del Monte dei Paschi di Siena forse del pdmenoelle non rimarrà neppure il ricordo – aggiunge – . Renzi che come uniche credenziali ha quelle di aver fatto il politico di professione senza nessun risultato apprezzabile ora si candida a premier, ma non aveva perso le primarie? Questi hanno la faccia come il culo”.
“Nessuna alleanza”.
Grillo accusa i vertici del Pd di comportarsi come “volgari adescatori”.
E dice: “l M5S è composto da persone responsabili che vogliono un cambiamento radicale della morale pubblica, fermarlo è impossibile, in particolare con i soliti giochini da palazzo.
Il M5S voterà in aula ogni legge che risponda al suo programma, non farà alleanze”. La sua è una chiusura non solo al Pd, ma anche ad altri partiti: “I gruppi parlamentari del MoVimento 5 Stelle non dovranno associarsi con altri partiti o coalizioni o gruppi se non per votazioni su punti condivisi” è presente nel Codice di comportamento degli eletti portavoce del Movimento 5 Stelle in Parlamento.
E’ stato firmato da tutti i candidati e reso pubblico agli elettori prima delle elezioni, Queste regole erano note a tutti, al politburo del pdmenoelle compreso”
Renzi: “Non sarò premier”.
Intanto questa mattina il sindaco di Firenze Renzi ha smentito la voce che lo vedeva pronto a guidare il governo. “Ciò che volevo per l’Italia l’ho detto nelle primarie. Ho perso. Adesso faccio il sindaco”, ha scritto “.
Lo ha scritto su Twitter Matteo Renzi, sindaco di Firenze, smentendo le voci di una sua disponibilità a fare il presidente del Consiglio.
Secondo un articolo pubblicato oggi dal Corriere della Sera Renzi sarebbe pronto a fare il premier alla guida di una grande coalizione. “Non ci possiamo permettere neanche i rimpianti”, ha aggiunto Renzi.
Poco dopo Marco Agnoletti, portavoce di Renzi, puntualizza su tweeter: “La ricostruzione del Corriere della Sera su @matteorenzi, ‘sono pronto a fare il premier’ non è vera”.
Passano poche ore e in tarda mattinata Renzi sceglie Facebook per un secondo intervento: “Adesso leggo incredibili interpretazioni, ricostruzioni, commenti. Ho evitato di fare dichiarazioni dopo il voto perchè non volevo finire nel festival di chi la spara più grossa e nei pastoni degli addetti ai lavori”.
“Quello che volevamo per l’Italia lo abbiamo proposto alle primarie. Dagli stati uniti d’Europa fino all’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, noi ci abbiamo messo la faccia, presentando un progetto serio”.
Anche oggi insomma va avanti il Circo Barnum della politica italiana sulla pelle dei cittadini tutti che hanno ben altri problemi.
La smentita. La notizia, smentita da Renzi, era nata da un’intervista della portavoce di Pierluigi Bersani, Alessandra Moretti, al Corriere della Sera.
“Mettiamo che Napolitano faccia questa scelta…. Se Renzi fosse ritenuto decisivo per un approccio diverso, saremmo tutti pronti a lavorare per questa soluzione – ha detto – . Ma mi appello alla responsabilità dei renziani. Che senso ha accanirsi contro Bersani come se fosse l’unico responsabile della sconfitta? la resa dei conti sarebbe un suicidio”.
Anche oggi insomma va avanti il Circo Barnum della politica italiana sulla pelle dei cittadini tutti che hanno ben altri problemi.
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Marzo 1st, 2013 Riccardo Fucile
SVOLTA NEL PD: IN MINORANZA I BIG A FAVORE DEL GOVERNISSIMO
Per il secondo giorno consecutivo, Pier Luigi Bersani non deflette dal suo orgoglio paziente e
disperato allo stesso tempo: “Come noi rispettiamo gli elettori anche Grillo li rispetti. I numeri li vede anche lui. Non pensi di scappare dalle sue responsabilità con le battute. Ci si vede in Parlamento e davanti agli italiani”.
È la risposta, quella del segretario del Pd, all’esortazione grillina di giornata: “Pd e Pdl votino la fiducia a un governo del Movimento 5 Stelle”.
“Ci si vede in Parlamento”, dice Bersani.
E su questo, almeno per il momento, non ci sono dubbi.
IL candidato premier del centrosinistra va avanti sulla sua linea, da sottoporre alla direzione del partito: un governo di minoranza o di scopo con un programma in grado di attrarre i consensi parlamentari del M5S.
L’ultima indiscrezione di rilievo riguarda anche la candidatura di Stefano Rodotà al Quirinale, che potrebbe essere gradito ai grillini.
In ogni caso, per Bersani l’unico dialogo possibile rimane questo.
Nonostante l’intervista di Massimo D’Alema al Corriere della Sera.
Ieri, l’ex premier ha lanciato “una proposta del Pd aperta a Grillo e Pdl”, escludendo però l’ipotesi del fatidico governissimo con Silvio Berlusconi, peraltro fresco indagato per la compravendita di senatore che fece cadere Prodi nel 2008.
Bersani non avrebbe preso bene l’intervista. Anzi.
Raccontano alcuni fedelissimi del segretario: “Ma come si fa a pescare insieme Grillo e Berlusconi? È un chiaro tentativo per far saltare tutto e tornare alle vecchie logiche della politica. Stiamo ricevendo telefonate furibonde dalla base, qualcuno non ha capito che stavolta la nostra gente ci lincia”.
Il Pdl ha apprezzato l’apertura di D’Alema, ma lo stesso presidente del Copasir avrebbe smentito le letture dietrologiche alla sua conversazione sia con il segretario di Stato americano John Kerry (incontrato a pranzo con Prodi, Amato, Monti, Gianni Letta e Frattini) sia con Bersani: “Un governo con Berlusconi sarebbe un suicidio”. Non solo, in serata in un’intervista al Tg1 si è schierato con Bersani senza se e senza ma: “O Grillo si assume le sue responsabilità oppure si rivota. Governare con Berlusconi sarebbe un errore mortale”. Insomma, una correzione, se non una retromarcia. La verità è che all’interno del Pd è in corso una mutazione genetica epocale, rispetto al ventennio della Seconda Repubblica.
Dopo anni trascorsi a dividersi sull’opportunità o meno di dialogare con B. (dalla bicamerale di D’Alema alla campagna di Veltroni nel 2008 quando non citò mai il Cavaliere) e sul tormentone delle alleanze con sinistra radicale e “giustizialisti”, il terremoto delle urne di febbraio ha azzerato lo schema moderato dei professionisti della politica.
Ossia i cosiddetti big che oggi sono o sarebbero contro la linea unilaterale del segretario: i già citati Veltroni e D’Alema, poi Fioroni, Franceschini e così via.
Ma la nomenklatura, stavolta, non avrebbe il peso del passato, quando per esempio impose a Bersani, nel novembre 2011, l’amaro calice del governo Monti.
Il segretario può contare sui “giovani turchi”, sul cento per cento dei vertici regionali, sulla la maggioranza dei gruppi parlamentari e soprattutto sulle paure materializzatesi dopo il voto: operazioni “responsabili”, dal sapore inciucista e su ispirazione del capo dello Stato, farebbero perdere un altro milione di voti al Pd, se non di più.
Stabilito il senso di marcia, Bersani continuerà a stanare Grillo, tentando di capire se il leader del M5S ha in mente un altro nome di area Pd (Barca?) per un governo di uno o due anni. Il suo sospetto è questo e solo le consultazioni al Quirinale chiariranno le ombre di questi giorni.
Fino a quel momento, ha confidato Bersani ai suoi, “ognuno terrà le sue carte coperte”.
Un riferimento ad ampio raggio, non solo a Grillo e Napolitano ma anche a Prodi, che avrebbe un canale aperto con il M5S.
Se poi il segretario del Pd andrà a sbattere sul muro del mandato esplorativo, facendosi male, si aprirà un’altra fase.
Ancora più gravata da incognite, dal voto anticipato alle ambizioni di Renzi passando per un governo tecnico.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 1st, 2013 Riccardo Fucile
E INVOCA LA MANIFESTAZIONE DI PIAZZA CONTRO CHI SI PERMETTE DI INDAGARE SU DI LUI
“Il 23 marzo scenderemo in piazza contro questo cancro della nostra democrazia”.
A Milano per rilasciare dichiarazioni spontanee al processo Mediaset che lo vede imputato per frode fiscale, Silvio Berlusconi torna ad attaccare la magistrature e a usare parole come “patologia”.
E sulle rivelazioni dell’ex senatore Sergio De Gregorio, che ha ammesso di aver ricevuto tre milioni di euro per passare con in Pdl e far saltare la maggioranza del govenro Prodi, il Cavaliere punta il dito sugli inquirenti: “De Gregorio ha detto ai pm quello che volevano per evitare il carcere”.
Secondo quanto raccontato oggi fuori dall’aula, lo stesso De Gregorio si sarebbe messo in contatto con gli avvocati di Berlusconi per chiedere ulteriori aiuti economici, affermando di aver subito la pressione dei pm perchè facesse rivelazioni sul conto dell’ex premier.
Aiuti respinti, a quanto dice oggi Berlusconi, che nega l’esistenza di una cassetta di sicurezza a suo nome presso il Monte dei Paschi di Siena, la stessa che nei giorni scorsi la magistratura avrebbe messo sotto sequestro e che Nicolò Ghedini ha dichiarato appartenere al Pdl.
Un nuovo complotto nei confronti di Berlusconi, dunque, figlio di “un uso politico della giustizia”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 1st, 2013 Riccardo Fucile
REDDITO DI CITTADINANZA, LAVORO, TASSE, CONTI PUBBLICI, IMPRESE, CASTA, GRANDI OPERE, CORRUZIONE
Ci sono un paio di settimane per inventarsi un governo. 
E al momento, pur tra polemiche e incomprensioni, la sola ipotesi di cui si discute è quella di una collaborazione tra Partito democratico e Movimento Cinque stelle.
I programmi, su entrambi i fronti, sono poco dettagliati.
Ma se Pier Luigi Bersani vuole coinvolgere i grillini dovrà offrire loro qualcosa sui temi qualificanti del movimento: casta, grandi opere, giustizia, redistribuzione del reddito.
Il punto di incontro più immediato è sui tagli ai costi della politica: dimezzamento del numero dei parlamentari e taglio ai rimborsi elettorali ai partiti.
Sull’economia le intese sono possibili su vari dossier: il reddito di cittadinanza caro a Grillo — una forma di sussidio di disoccupazione da 600 euro per tutti — è tecnicamente possibile, ma richiede una complessa riforma degli ammortizzatori sociali, o il suo costo sale a 45 miliardi di euro.
Il Pd ha le sue proposte in materia, è semplice trovarsi a metà strada.
Idem per il patto di stabilità interno dei Comuni, la regola che blocca gli investimenti anche negli enti locali virtuosi.
Tutte le forze politiche ne chiedono una revisione, qualcosa si potrà fare.
I guai sono maggiori quando si passa ai conti pubblici nazionali: Grillo ha nel programma l’abolizione dell’Imu sulla prima casa, dell’Irap, l’aumento delle risorse per scuola e sanità . E non indica alcuna fonte di copertura.
Il Pd può essere d’accordo, se si trovano i soldi.
Il punto di partenza può essere applicare la proposta dei democratici sull’Imu, cioè toglierla a chi paga fino a 500 euro scaricando il peso sui grandi patrimoni immobiliari.
Lo scoglio maggiore, forse insuperabile, è quello del Tav, la linea ad alta velocità e dubbia utilità tra Torino e Lione: molti degli eletti a 5 stelle vengono dal movimento di protesta della Val di Susa, mentre il Pd (piemontese e non solo) si batte da anni a difesa della grande opera.
Lì non ci sono compromessi: o si fa o non si fa.
Magari si può prendere tempo, in modo tipicamente italiano, creando qualche tavolo o commissione.
E intanto si fa il governo.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 1st, 2013 Riccardo Fucile
MA LA RABBIA DIVENTA PREOCCUPAZIONE PER LE CARTE IN MANO ALLA MAGISTATURA
Fa trascorrere 24 ore, lascia sbollire la rabbia, rinvia a questa mattina lo showdown contro i pm.
Quelli che lo stanno processando e quelli che aprono nuove inchieste.
Accuse, queste ultime, che nel chiuso di Villa San Martino Silvio Berlusconi definisce «farneticanti », frutto della «manovra della solita sinistra giudiziaria» che diventano «quasi un golpe» per tentare di cancellarlo giusto ora che ha vinto per metà le elezioni.
De Gregorio che confessa e lo chiama in ballo diventa la bomba del post elezioni.
Per il Cavaliere è solo «giustizia a orologeria».
E quella del suo ex senatore acquisito sarebbe «la vendetta di un escluso: quando per lui le cose si sono messe male, si è messo a disposizione delle procure e si è fatto condizionare».
Ma a preoccuparlo di più è la conseguenza politica dell’affondo.
«È un colpo d’ascia sul negoziato che abbiamo aperto col Pd per tentare di dar vita a un governo», trattative sotto traccia che a sentire i pidiellini vanno ancora avanti.
Ora Berlusconi invoca la piazza, una «sua» grande piazza, magari la stessa San Giovanni dello tsunami di Grillo, in concomitanza con l’apertura delle Camere, ipotesi 15 marzo.
Nel giro di poche ore Angelino Alfano riceve l’input e la preannuncia, contro «l’aggressione giudiziaria».
Ma le colombe frenano e non poco, quei giorni coincideranno col pieno delle trattative per la formazione del nuovo governo.
Ma soprattutto, a Roma, con il Conclave.
Il leader Pdl in mattinata non sente ragione: «Devo spiegare al nostro popolo, bisogna mobilitarsi contro accuse assurde».
Poi riflette, prende tempo. E anche il nuovo video messaggio che sembrava stesse per mettere in rete nel pomeriggio, viene annullato.
Gli avvocati consigliano di soprassedere, di attendere cosa verrà fuori dalle nuove carte.
Appuntamento a stamattina, processo Mediaset, l’imputato Berlusconi si presenterà a deporre – salvo ripensamenti notturni – e sarà un fiume in piena.
All’uscita si preannuncia qualcosa di molto simile a una conferenza stampa per rispondere alle procure di Napoli e Reggio Emilia e ai loro due nuovi fronti aperti: l’ipotesi di compravendita di senatori e quella di voto di scambio per la promessa di restituire l’Imu.
Una doppia doccia fredda che raggiunge l’inquilino di Arcore ieri mattina mentre è in piena full immersion sulle carte del processo con i legali Ghedini e Longo.
«Inchiesta destituita di fondamento» è il primo commento di Ghedini, che spiega come la cassetta al Montepaschi che i magistrati vogliono aprire «non è in uso a Berlusconi, ma al Pdl, e i pm possono accedervi senza bisogno di chiedere alla Camera».
La prima reazione di Berlusconi è dunque rabbiosa.
«Con De Gregorio ho avuto solo rapporti ufficiali e sempre corretti, nulla di illegale, provano a intimidirmi ma io non mi piego».
Da Arcore parte l’ordine per scatenare la batteria di dichiarazioni in difesa del capo.
In poche ore tutti i parlamentari attaccano i pm, i toni sono durissimi, le donne più degli altri: la Bernini parla di «tentativo di golpe», la Ronzulli di pm che vogliono «annientare l’unico leader degli ultimi 20 anni». Daniela Santanchè due giorni fa, in un’intervista a Repubblica, aveva quasi preannunciato nuovi colpi in arrivo con «armi improprie per far fuori il vincitore delle elezioni».
Ora dice: «Temo non si fermino qui. Ma se la sinistra continua a usare questi sistemi, manda il paese allo sbando. La manifestazione stavolta la facciamo davvero».
La Biancofiore azzarda un «Berlusconi meglio del Papa, lui non lascia».
Ma ad Arcore, la rabbia di Berlusconi col passare delle ore si trasforma in preoccupazione.
Rischia di chiudersi la doppia tenaglia giudiziaria e politica, se le nuove inchieste e i processi che vanno a sentenza spingessero grillini e Pd a chiudere un accordo di governo.
«Siamo in una fase politica complessa ed è intervenuto un altro elemento che complica il rebus» per dirla con Paolo Bonaiuti. Anche perchè nel frattempo, molto sotto traccia, i canali di comunicazione con il Pd vengono tenuti aperti. Gianni Letta, in particolare, indossa ancora una volta i panni dell’ambasciatore, si parla di contatti con Massimo D’Alema.
L’intervista dell’ex deputato Pd al Corriere con l’offerta di una Camera al Pdl, raccontano sia stata molto apprezzata ad Arcore come in via dell’Umiltà .
E ieri sera lo stesso Letta è stato visto entrare a Palazzo Chigi, dove ancora siede Mario Monti.
Il progetto di governissimo senza Grillo resta in piedi.
Sebbene la «mazzata» giudiziaria di ieri renda il cammino assai impervio.
Carmelo Lo Papa
(da “La Repubblica”)
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Marzo 1st, 2013 Riccardo Fucile
DUE MILIONI IN NERO TRAMITE LAVITOLA… SOLDI ANCHE A ROTONDI E ALLA MUSSOLINI… CONSEGNATO CONTANTE ANCHE AL SENATO… I PAGAMENTI DI DE GREGORIO ALLA CAMORRA
Sette anni dopo l’insediamento nella primavera del 2006 di quella risicata maggioranza, all’alba
di una nuova Repubblica, un parlamentare confessa di aver venduto la propria funzione.
De Gregorio, eletto con l’Idv di Di Pietro e poi passato nel centrodestra proprio mentre diventa presidente della Commissione Difesa, fornisce le prove.
Mette a verbale la verità : «Due milioni li ho avuti in nero, il resto come sostegno al mio movimento».
Intermediario e “postino”: Valter Lavitola.
E sottolinea: «Non mi voglio giustificare, so che è un reato». Ma «avevo debiti fino al collo». I pagamenti? «Avvenivano inesorabilmente, mese dopo mese».
Dilazionati anche perchè, secondo i magistrati, Berlusconi non si fidava.
Soldi che, per uno strano giro, dai conti del senatore finiranno anche a gente di camorra.
Ora Berlusconi è indagato dalla Procura di Napoli per corruzione e finanziamento illecito ai partiti.
Stessa accusa per il senatore uscente De Gregorio, ormai in procinto di finire agli arresti domiciliari per la precedente indagine sui finanziamenti a “L’Avanti!”, e il faccendiere Valter Lavitola, in carcere da dieci mesi, che in una lettera rinfacciava all’ex premier il suo ruolo nella compravendita dei senatori. +
I pm Curcio, Milita, Piscitelli, Vanorio e Woodcock, coordinati dai procuratori aggiunti Cafiero de Raho e Greco, hanno trasmesso ieri al Parlamento la richiesta di perquisizione di una cassetta di sicurezza ritenuta riconducibile all’ex premier.
E il nucleo di polizia tributaria della Finanza ha notificato al Cavaliere l’invito a essere interrogato martedì prossimo.
De Gregorio, intanto, solo pochi mesi fa, ha cercato di ottenere dall’ex premier ulteriori «aiuti» rivolgendosi a Niccolò Ghedini, a Marcello Dell’Utri e a Denis Verdini. Tutti a conoscenza del denaro che gli era stato versato.
Per caso, De Gregorio non è di nuovo in Parlamento. «Il 19 dicembre il partito mi ha chiesto di ricandidarmi, ma io ho rifiutato», assicura. Il Pdl insorge. «È un’inchiesta priva di fondamento, la cassetta è intestata al Pdl», afferma Ghedini.
«COSàŒ MI HA PAGATO CON TRE MILIONI».
Dal luglio 2006 fino al marzo 2008, il Cavaliere ha versato tre milioni a De Gregorio. Un milione, “in chiaro”, è giustificato da un accordo federativo «tra Forza Italia e il mio movimento Italiani nel mondo».
Altri due versati “in nero” e depositati sui conti del senatore.
Che racconta. «Ho partecipato all’Operazione libertà diretta a ribaltare il governo Prodi. Già dopo il voto che mi vide eletto presidente della Commissione Difesa, discussi a Palazzo Grazioli con Berlusconi di una strategia di sabotaggio, della quale mi intesto tutta la responsabilità . L’accordo si consumò nel 2006. Il mio incontro a Palazzo Grazioli con Berlusconi servì a sancire che la mia previsione di cassa era di 3 milioni. Subito partirono le erogazioni. Ho ricevuto 2 milioni in contanti da Lavitola a tranche da 200 e 300mila euro».
«Ed è qui che entra in gioco Lavitola, che frequentava molto Palazzo Grazioli perchè era intimo del senatore Comencioli, pace all’anima sua».
De Gregorio aggiunge: «Non sto qui a giustificare di aver ricevuto 2 milioni in nero. Ho commesso un reato. Non mi domando perchè Berlusconi affidasse a Lavitola la pratica di consegnarmi il danaro».
Ribadisce: « (Quei soldi, ndr) sono una parte del patto scellerato che io fino al 2007 ho accettato da Lavitola. Inutile dirlo, è una mia responsabilità ».
«SOLDI ANCHE A ROTONDI E MUSSOLINI»
Ma De Gregorio dice d’aver nutrito dubbi sulle modalità dei pagamenti. «Io insistetti: ma perchè non me li date al partito? Che senso ha questa roba in nero? Mi venne spiegato, dallo stesso Lavitola, che gli altri partiti minori avevano ricevuto somme più o meno uguali, se non inferiori al milione di euro che mi era già stato bonificato». Precisa ancora il senatore: «Ricordo addirittura che fu indicata la cifra di 700 mila euro, e non di un milione, (nell’accordo Italiani nel mondo-Fi, ndr) per non fare irritare Rotondi, la Mussolini e gli altri che avevano ricevuto sostegno dal partito in misura più o meno equivalente a questo contratto».
“PUOI OFFRIRE FINO A 5 MILIONI DI EURO”
«Quando mi sono riavvicinato a Berlusconi abbiamo combattuto insieme una guerra. E di guerra vera si trattava, perchè Berlusconi voleva che Prodi, che aveva prevalso per una manciata di voti, ritornasse a casa. Prefigurare dal punto di vista politico la caduta del suo governo non era difficile. Berlusconi era deciso a individuare il malessere di alcuni senatori, di alcuni deputati, che potessero determinare l’evento finale».
De Gregorio cercò di portare dalla parte del centrodestra il senatore Giuseppe Caforio. Fu un boomerang. «Dissi a Berlusconi che forse Caforio poteva ascriversi al ruolo degli indecisi e lui mi disse: “Cosa gli puoi offrire?” Risposi: che magari gli diate un finanziamento alla sua forza politica. Allora lui disse: “Puoi proporgli fino a 5 milioni”. Ma Caforio mi registrò e mi denunciò». Invece De Gregorio, raggiunto l’accordo, cambiò casacca solo all’ultimo per non destare sospetti. «Avendo fatto quel ragionamento con Berlusconi – racconta sempre ai pm – chiamo il senatore Schifani e gli dico: Renato, se mi votate io accetto i voti e mi prendo la responsabilità di farmi indicare dal Presidente della commissione Difesa».
LA STRATEGIA DEL SABOTAGGIO IN AULA
«Berlusconi aveva promosso l’Operazione libertà per determinare in ogni modo possibile la fine del governo Prodi», dice De Gregorio. “Cosa facemmo noi per far cadere il governo Prodi?”»
Era il gennaio 2007. «Ci attivammo, intanto». E quando i pm chiedono, «Noi, plurale maiestatis?», risponde: «Noi come centrodestra ». Ed ancora: «Io continuavo in Commissione Difesa a respingere i provvedimenti del governo. Era sicuramente un motivo che indeboliva Prodi».
“LAVITOLA ARRIVà’ CON I SOLDI AL SENATO
Uno dei testimoni chiave dell’inchiesta ed ex collaboratore di De Gregorio, il commercialista Andrea Vetromile, offre riscontri significativi al racconto della compravendita del senatore De Gregorio.
«Mi risulta che solo Lavitola abbia consegnato a De Gregorio 4-500mila euro nella sede del Parlamento. Assistetti a quell’operazione. Ricordo che stavo con De Gregorio nel suo ufficio, all’epoca era presidente della Commissione Difesa, quando si presentò Lavitola con una borsa che io sapevo essere piena di soldi.
Fu lo stesso De Gregorio ad annunciarmi la visita di Lavitola che gli avrebbe consegnato i soldi di Berlusconi quale ringraziamento per il passaggio al suo schieramento politico.
Quando Lavitola entrò, dopo i primi convenevoli, mi chiese di uscire.
Quando rientrai, la scrivania di De Gregorio era piena di soldi».
QUEI SOLDI FINITI ALLA CAMORRA
Su De Gregorio indaga il pool anticamorra. Negli atti, appena depositati alla Camera, si fa riferimento agli esami di «flussi finanziari per decine di milioni di euro » sui conti di De Gregorio.
«Fra le numerose operazioni finanziarie emergevano alcune che apparivano ad un tempo singolari e significative».
Quel denaro, erogato dal Cavaliere a De Gregorio, finirà – all’insaputa dell’ex premier – nelle casse di personaggi vicini ai clan.
Scrivono infatti i magistrati: «All’origine e alla fine di alcuni flussi economici che passavano attraverso le società e i conti del senatore De Gregorio, si ponevano dalla parte iniziale, di origine, l’allora capo dell’opposizione Berlusconi ovvero la sua formazione politica; e dall’altro, quello di destinazione ultima, soggetti vicini a un’associazione camorristica operante nell’area napoletana».
Dario Del Porto e Conchita Sannino
(da “La Repubblica“)
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Marzo 1st, 2013 Riccardo Fucile
DIAMO ATTO A FINI CHE ALMENO UN “CALCOLO” IN DUE ANNI L’HA AZZECCATO
Perchè Futuro e Libertà si sia ridotto allo 0,5% lo abbiamo analizzato in precedenti articoli e non torniamo sull’argomento.
Qua vogliamo fare un’osservazione che i media non hanno evidenziato, certi di fare felici quegli elettori trinariciuti che, invece che vergognarsi delle vicende giudiziarie giornaliere del Cavaliere, non sanno che bearsi della scomparsa di Fli, il “nemico principale” che aveva osato ribellarsi al “padrone delle olgettine”.
A costoro, i giornali del regime berlusconiano non hanno evidenziato un dettaglio: Fini sarà pure tracollato, ma una cosa è riuscita a farla.
A farli perdere, a tagliare la testa a quasi duecento deputati becerodestri che altrimenti sarebbero stati eletti grazie al premio di maggioranza alla Camera.
Eh sì, ecco i dati: il centrosinistra ha ottenuto 10.047.603 voti, il centrodestra 9.923.109.
La differenza è di appena 124.494 voti.
E sapete quanti ne ha raccolti Futuro e Libertà ?
Esattamente 159.429.
Pochi certo, ma sufficienti a metterlo in quel posto anche a chi vorrebbe mettersi nudo sul terrazzo a mostrare le proprie ottuagenarie miserie o a chi avrebbe voluto ubriacarsi.
I molestatori della becerodestra sono serviti: il pensiero che quasi duecento pidiellini-leghisti resteranno a casa allieterà le nostre giornate per tutta la durata della legislatura.
Per una volta, almeno questa Fini l’ha azzeccata.
Ai trombati padagni e ai nipotini di Mubarak giunga il nostro salutino come da foto.
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Marzo 1st, 2013 Riccardo Fucile
L’ACCUSA E’ DI CORRUZIONE E FINANZIAMENTO ILLECITO, UNA PARTE DEI SOLDI GIRATI IN CONTANTI A DE GREGORIO DA LAVITOLA… LE CONFERME TESTIMONIALI
Il senatore Sergio De Gregorio mette a verbale la sua verità e afferma di aver ricevuto tre
milioni di euro da Silvio Berlusconi per passare dall’Idv al centrodestra appena dopo le elezioni del 2006, con l’obiettivo di far saltare il governo di Romano Prodi, uscito vincitore dal voto con una debole maggioranza al Senato: “L’accordo si consumò nel 2006… il mio incontro a palazzo Grazioli con Berlusconi servì a sancire che la mia previsione di cassa… era di 3 milioni e che immediatamente partirono le erogazioni”.
E’ il racconto di De Gregorio ai pm di Napoli che, per questa vicenda, hanno iscritto Berlusconi nel registro degli indagati per corruzione e finanziamento illecito, notificandogli un invito a comparire per il 5 marzo.
“Ho ricevuto 2 milioni in contanti da Lavitola a tranche da 200/300mila euro”, ha aggiunto l’ex senatore.
La “compravendita” di parlamentari e senatori da parte del leader del Pdl nel 2006 contestata dall’opposizione, infatti, è sfociata in un’indagine condotta dai pm Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock e dai colleghi della Dda Francesco Curcio, Alessandro Milita e Fabrizio Vanorio
Silvio Berlusconi, si legge nella richiesta di autorizzazione “a svolgere perquisizioni locali e ad acquisire tabulati” telefonici nei confronti dell’ex premier, arrivata oggi alla Camera, fu l’”istigatore prima e l’autore materiale poi” dell”Operazione Libertà “: una strategia tesa a portare al centrodestra “il maggior numero di senatori tra quelli che avevano votato la fiducia” a Prodi, a partire da Sergio De Gregorio.
De Gregorio, dopo aver ricordato che i rapporti numerici tra maggioranza e opposizione al Senato erano di 158 a 156, ha spiegato ai pm che “ciò faceva ovviamente immaginare la possibilità di ribaltare gli elementi numerici e ricordo bene che già dopo il voto che mi vide eletto presidente della Commissione Difesa, discussi a palazzo Grazioli con Berlusconi di una strategia di sabotaggio, della quale mi intesto tutta la responsabilità …”.
La Guardia di finanza ha sequestrato anche una cassetta di sicurezza nella disponibilità di Silvio Berlusconi (preso il Monte dei Paschi di Siena) e richiesto l’acquisizione dei tabulati telefonici riguardanti utenze in uso al Cavaliere e a De Gregorio.
Contestualmente è stata depositata presso il Senato e la Camera la richiesta di autorizzazione a procedere alla perquisizione.
I due provvedimenti hanno un obiettivo preciso: cercare di comprendere i movimenti di denaro intercorsi tra l’ex premier e il senatore.
Di questi soldi, secondo la ricostruzione dei pm, un milione venne consegnato in bianco, gli altri due invece su alcune decine di conti correnti (molti dei quali aperti e chiusi subito dopo) intestati al politico campano.
L’ex senatore “ha deciso di non proseguire la sua attività politico-istituzionale sin da maggio 2012 — spiega l’avvocato di De Gregorio, Carlo Fabbozzo — e, nel contempo, ha iniziato a promuovere un’operazione di verità sulla sua vita anteatta, sia politica che imprenditoriale, avendo fiducia nell’esito delle indagini svolte dalla magistratura”.
De Gregorio, accusato di truffa per 23 milioni nell’inchiesta sui finanziamenti al giornale L’Avanti di Valter Lavitola, era stato salvato dall’arresto dal Senato grazie al voto segreto.
Su di lui pendeva un ordine di cattura e il gip aveva disposto gli arresti domiciliari.
Sul caso interviene Nicolò Ghedini, legale di Berlusconi e parlamentare del Pdl.
Che definisce il passaggio di De Gregorio al Pdl “un accordo politico alla luce del sole tra Forza Italia e il senatore De Gregorio. Tale accordo è stato depositato alla Camera dei deputati e al Senato”.
Berlusconi, continua Ghedini, “è completamente all’oscuro di altre asserite dazioni di denaro in contanti. Si tratta comunque di fatti non solo risalenti nel tempo, ma che attengono esclusivamente a dinamiche politiche”.
Il senatore De Gregorio, secondo il legale di Berlusconi, “aveva scelto di passare al centrodestra per ragioni politiche e non certo per denaro. In tal senso vi sono innumerevoli sue dichiarazioni. Comunque la decisione di riaprire questa indagine proprio in questo momento così delicato per la vita politica del Paese non può non destare un vivo sconcerto”.
L’inchiesta parte nel 2008, quando il pm Alessandro Milita indaga su un flusso di assegni tra un personaggio legato al contrabbando e il senatore De Gregorio. L’inchiesta va avanti e quando emergono i contatti tra quest’ultimo e Berlusconi, la Procura di Napoli chiede di spostare l’indagine a Roma per una questione di competenza.
Per la Procura generale di Cassazione, tuttavia, spetta ai pm partenopei indagare e il fascicolo si arricchisce di altro materiale ‘proveniente’ dall’inchiesta su Finmeccanica: si tratta della deposizione dell’ex commercialista di De Gregorio Andrea Vetromile e della lettera con cui Valter Lavitola ricattava il Cavaliere (missiva trovata dagli inquirenti sul pc di Carmelo Pintabona, l’uomo d’affari e politico di origine siciliana che con l’ex direttore de L’Avanti è indagato per tentata estorsione all’ex premier).
L’ex commercialista di De Gregorio e Lavitola a verbale: “Berlusconi pagò il senatore”.
Il primo a raccontare della presunta compravendita era stato il commercialista di De Gregorio, Andrea Vetromile, ascoltato il 29 febbraio 2012 come persona informata dei fatti.
“Fu Lavitola che accreditò De Gregorio presso Berlusconi — dice — De Gregorio è socialista come Lavitola”.
L’uomo politico nel 2005 voleva candidarsi con Forza Italia ma venne escluso dalle liste, secondo la ricostruzione degli inquirenti, per l’intervento di Fulvio Martusciello, consigliere regionale, e quindi si candidò con Di Pietro prendendo 80mila voti.
“Una volta eletto passò nelle fila del centrodestra — racconta il commercialista — fu proprio Lavitola, forte dei suoi rapporti personali con Berlusconi che concretizzò questo accordo… voglio precisare che l’accordo venne lautamente remunerato”.
Valter Lavitola, l’ex direttore dell’Avanti coinvolto proprio nell’inchiesta sul finanziamento illecito al suo giornale e indagato insieme a Berlusconi, aveva poi raccontato il resto, due mesi dopo nell’aprile del 2012. De Gregorio “negoziò con Berlusconi l’incarico di presidente della commissione Difesa del Senato” aveva rivelato.
Insomma il politico per soldi e per una carica prestigiosa tradì il partito di Di Pietro e garantì al Pdl il sostegno.
Ai pm di Napoli Francesco Curcio, Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock, Lavitola collocò l’episodio nei giorni immediatamente successivi all’elezione di De Gregorio al Senato nella lista dell’Italia dei Valori.
A presidente della Commissione Difesa, aveva affermato il giornalista, “era stata candidata dalla sinistra una senatrice, notoriamente pacifista, di cui non ricordo il nome (Lidia Menapace, ndr), ed era uscito anche sui giornali che gran parte, diciamo così, delle Forze Armate erano contrarie a questa cosa”.
De Gregorio “che è uno intraprendente, che mica aspettava me per fare le cose, si era già messo in contatto con alcuni del gruppo di Forza Italia, dell’epoca, e precisamente, non perchè ora è morto, pace all’anima sua, e quindi non può dirlo, con il senatore Comincioli, Romano Comincioli, se non sbaglio, il quale era uno dei fedelissimi del presidente Berlusconi, e andò a negoziarsi la nomina a presidente della commissione Difesa… De Gregorio votò con il centro destra e fu eletto presidente alla Commissione Difesa, ed in quel caso sicuramente io, ma ritengo anche il senatore Comincioli, gli creammo un link con il presidente Berlusconi, link che poi fu determinante per il suo passaggio a Forza Italia”.
De Gregorio, aveva spiegato Lavitola ma è anche cronaca parlamentare, votò dunque con il centrodestra.
Ma cosa ottenne in cambio il senatore?
Lavitola: “De Gregorio disse a Berlusconi che lui non intendeva entrare in Forza Italia ma intendeva fare un suo movimento politico soprattutto all’estero, per fare…, eccetera, eccetera, e che aveva ovviamente necessità di sostegno; il presidente gli disse: non ti preoccupare, non ci sono problemi; ma non si entrò nei dettagli”.
Il 9 maggio Lavitola parlò nuovamente del passaggio di De Gregorio nelle fila del centro destra e quantificò la somma in un un milione di euro pagati dal Cavaliere.
Una lettera di Lavitola al Cavaliere tra gli atti dell’inchiesta.
Tra gli atti dell’inchiesta c’è anche una lettera sequestrata all’ex direttore del quotidiano ‘L’Avanti’.
Nella missiva scritta di suo pugno ci sono una serie di ‘favori’ che Lavitola rinfaccia a Berlusconi, tra i quali anche quello di aver ‘comprato il senatore Sergio De Gregorio’. Lavitola sottolineava i suoi presunti interventi per favorire la caduta del governo Prodi tentando di ‘comprare i senatori necessari’.
“In cambio del passaggio — diceva Lavitola ai pm partenopei nel corso di un interrogatorio dell’aprile 2012 — De Gregorio contatto’ Berlusconi e gli chiese la presidenza della commissione Difesa”.
Nel documento Lavitola elencava tutti i favori al Cavaliere: “Le cose fatte tra noi le ho fatte scientemente e come tale da uomo. Lei, non sarà mai coinvolto! Dico mai e poi mai!”, prometteva il giornalista all’allora presidente del Consiglio mentre, dall’altra parte, gli elencava tutte le “promesse” mancate: “Entrare nel governo o nel Parlamento europeo o almeno nel Cda Rai”; ottenere comunque “un incarico importante all’inizio del 2010; “collocare Iannucci nel Cda dell’Eni”; “nominare (Paolo) Pozzessere almeno direttore generale di Finmeccanica“ (poi arrestato nell’ambito dell’indagine, ndr). Gli sviluppi dell’inchiesta sarebbero legati anche alle dichiarazioni fatte proprio dal senatore De Gregorio ai magistrati della Procura di Napoli.
Nel novembre scorso a De Gregorio erano state sequestrate due case del valore di circa 9 milioni di euro emesso dal gip di Napoli il 10 luglio scorso, per le somme percepite dal 1997 al 2009 dalla società International Press che editava il giornale socialista diretto da Lavitola.
De Gregorio aveva però beneficiato della sospensione della misura di sequestro nei suoi confronti, in attesa di una pronuncia del Senato.
Che poi aveva ha deliberato l’autorizzazione.
Tra i beni sequestrati al senatore, eletto nel 2006 in Idv e rieletto nel 2008 nel Pdl dopo aver favorito la caduta di Romano Prodi, figuravano due case, una a Napoli e una in provincia di Caserta, riconducibili a De Gregorio e alla moglie.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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