Marzo 22nd, 2013 Riccardo Fucile
SUL WEB IL POPOLO DEI GRILLINI TORNA A DIVIDERSI SULLA STRATEGIA
«Attenzione a non riconsegnare il Paese di nuovo al Cavaliere, evitiamo di cadere dalla padella alla brace».
L’allarme è lanciato e il popolo dei grillini torna nuovamente a dividersi sul blog del Fondatore.
A dare fuoco alle polveri è il pollice verso di Beppe Grillo al governo Bersani.
In poche ore si contano cinquemila post, una buone dose di polemiche e parecchi “vaffa”.
Rispetto alle ore tempestose della rivolta interna per Piero Grasso, però, l’ala dura del M5S resiste: «Le merde stanno per andare a casa — sintetizza senza garbo Salvo — Forza ragazzi, non li appoggeremo mai!».
Ma in centinaia osano comunque contestare il Capo.
Come sempre, il blog più cliccato d’Italia assomiglia a un ring.
Tanti escono allo scoperto per implorare un’intesa con i democratici. E qualche crepa pare aprirsi nel muro grillino: «Sono molto deluso — scrive Vincenzo — mi sembra si stare in una dittatura. La cosa più democratica sarebbe fare un bel referendum online, solo per gli iscritti al movimento, per capire esattamente cosa vogliono».
La trincea anti berlusconiana è argomento comunque sentito nel movimento.
E a sostenere la fronda interna ci pensano anche alcuni simpatizzanti del Pd, subito individuati e ancora più in fretta insultati.
Uno di loro scrive: «Sono un elettore di Bersani. Avete la possibilità di governare, perchè non sfruttare questa occasione unica? Il discorso del “tutti a casa” non ha senso!!!».
Ma nella piazza del grillismo stavolta il vento sembra soffiare a favore della creatura di Casaleggio.
«Avete mandato ai mittenti le foglie di fico — ricorda Gabriele — ora vedremo se vogliono sputtanarsi sostenendo che il movimento non si assume responsabilità ». Tabula rasa invoca anche il perugino Leonardo: «I partiti si stanno autodistruggendo. Bisogna andare avanti così senza cedere a lusinghe e/o inciuci e/o premi di consolazione».
L’arena più amata dal movimento lascia poco spazio a manovre diplomatiche. «Gargamella vuole gestire il “cambiamento”! È vero non sono tutti uguali — attacca Pierpaolo — per me è peggio di tutti». Avanti «come caterpillar», sembra quasi gridare Paolo.
La ferita provocata dal primo voto del Senato ha segnato il movimento.
Molti utenti mettono nero su bianco il consenso al Fondatore anche solo con un generico «forza Beppe» o «avanti così».
L’obiettivo è fare massa critica e diluire i distinguo.
L’approccio è più ruvido del solito: «Ai piddini un messaggio — scrive Ottaviano — la vostra missione di infiltrarvi nel blog è miseramente fallita. Ma non andatevene , ci piace insultarvi».
La vittima preferita è sempre più spesso il Pd: «Potete dare la fiducia al Movimento e metterlo alla prova, visto che dite sempre che non saprebbe governare. Siete solo chiacchiere e distintivo!».
Tommy si spinge anche oltre, minaccioso: «Troll (nel gergo del web un “provocatore”, ndr) falliti, lasciate in pace il nostro blog e sperate che alle prossime elezioni riusciamo a cacciarvi via democraticamente, perchè vi cacceremo via in tutti i casi».
La riflessione amara di tal Gregory fotografa comunque il vicolo cieco di un intero Parlamento: «Come no — provoca in romanesco — un governo targato Cinque stelle… Certo, il primo partito d’Itaglia… A Beppe Gri’, te ne potevi rimane’ a casa, a ‘sto punto che ce sei venuto a fa’, rappresenterete sì e no il 18% degli itagliani e non avete i nomi all’altezza per un governo? O ce mandi la massaia con tre figli e la mettiamo all’Economia?».
Tommaso Ciriaco
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Marzo 22nd, 2013 Riccardo Fucile
IL COCIR DELLA MARINA ESPRIME “SCONCERTO”, LA UE E’ STATA TENUTA ALL’OSCURO… MARTEDI IL GOVERNO RIFERIRA’ ALLE CAMERE: SI PRESENTI COI NOMI DELLE AZIENDE ITALIANE CHE FANNO AFFARI MILIONARI IN INDIA E SE HANNO CONTRIBUITO ALLE SPESE ELETTORALI DI QUALCUNO
«Siamo militari, noi andiamo avanti e andremo avanti». Questo è lo stato d’animo con
Massimiliano Latorre e Salvatore Girone hanno preso l’aereo per riportarli in India per affrontare il processo per la morte di due pescatori locali.
Un processo che, spiega il ministro indiano degli Esteri Salman Khurshid si terrà in un «tribunale speciale».
Così mentre i due marò sono arrivati a Nuova Delhi, in Italia scoppia la polemica.
Nel mirino il governo e la gestione del caso.
ALLA CAMERA
Tanto che martedì i ministri Terzi e Di Paola riferiranno alla Camera. Lo ha deciso la Conferenza dei capigruppo.
Sel, spiega il capogruppo Gennaio Migliore, ha chiesto che lo faccia attraverso i ministri degli Esteri e della Difesa che hanno avuto un comportamento «assai censurabile».
Si è deciso di posporre a martedì, il dibattito sui marò, ha spiegato per parte sua il capogruppo del Pdl Renato Brunetta, «in cambio di un approfondimento» della vicenda per capire come vi si è arrivati.
«Di fronte all’orrenda figura dell’Italia sulla pelle dei marò e sulla credibilità nazionale del Paese», serve «chiarezza e chi ha sbagliato si assuma le responsabilità ».
Ma sarebbe oppurtuno che il governo martedi, invece che raccontare le solite palle sul rischio evitato della pena di morte (in India solo cinque casi in 15 anni e applicata a stupratori seriali) si presenti von un bell’elenco: quello delle aziende italiane che fanno affari milionari con l’India, magari accompagnato da una informativa circa gli eventuali contributi elettorali elargiti a chi e quando.
«SCONCERTO» –
E intanto il Cocer della Marina esprime «lo sconcerto e il disorientamento del personale della Marina di ogni grado e ruolo in merito alla tragica vicenda che ha coinvolto nuovamente il destino di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone».
I due sono arrivati a Nuova Delhi uno speciale aereo militare partito la notte scorsa. Con loro Steffan De Mistura, sottosegretario agli Esteri.
UNIONE EUROPEA
Proprio la partenza dei due militari ha stupito Buxelles.
L’Unione europea, infatti, non è stata preavvisata dal governo italiano della decisione di rinviare i marò in India, così come non lo era stata prima della decisione opposta. «Non conosciamo ancora i dettagli della decisione, di cui abbiamo preso nota», si è limitata a dichiarare la portavoce dell’alto rappresentante per la Politica estera Ue Catherine Ashton.
«Siamo in stretto contatto con le autorità italiane dall’inizio della vicenda», ha ricordato, «ma devo verificare se in questo caso c’è stata una comunicazione».
In ogni caso, l’Ue auspica che «la controversia fra Italia e India venga risolta nella sostanza».
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Marzo 22nd, 2013 Riccardo Fucile
SCONTRO TRA PRESIDENTE E SEGRETARIO: “SENZA DI ME, IL VOTO”
La faccia di Pier Luigi Bersani, quando esce alle sette e venti di sera dalla porta sorvegliata da due corazzieri, la faccia, dicevamo, è la stessa di questi giorni.
Contrita, pensosa, senza un sorriso che sia uno.
Lo scatto d’orgoglio arriva nelle dichiarazioni alla stampa. Per la serie: “Voglio l’incarico”, anche se non lo dice esplicitamente.
Nella sala della Vetrata si sente solo il ronzio dei clic fotografici. Bersani parla.
Dietro i capigruppo parlamentari del Pd, Luigi Zanda e Roberto Speranza, più defilato il portavoce Stefano Di Traglia.
L’attesa consultazione con il capo dello Stato, l’ultima di questa due giorni al Quirinale, si può riassumere in questa formula densa di superlativi: “cordialissima” nella forma, “malissimo” nella sostanza politica.
L’eterno scontro, da un anno e mezzo da questa parte, tra il segretario del Pd e il capo dello Stato si è espresso nei tanti “non detto”, da una parte e dall’altra.
Uno su tutti, nella testa di Bersani: “O me o il voto”.
Che poi dopo, davanti ai giornalisti, abbia precisato che l’incarico “non è un problema personale”, questo appartiene più alla forma che alla sostanza.
Oggi, sia chiaro, il candidato premier del centrosinistra si aspetta un mandato dal Quirinale per varare il governo di minoranza di cui tanto si discute.
Un mandato esplorativo almeno, nel senso che poi dovrebbe ritornare da Napolitano e riferire sul giro di incontri.
Al momento è questa l’unicai potesi in campo, al netto di scenari e retroscena, che Bersani difende con una frase dall’incipit paradossale: “Non ho piani B ma non ho neanche un piano A, ho portato la nostra riflessione e poi rispetto il ruolo del presidente della Repubblica per dire come uscire da soluzione difficile. Non abbiamo avanzato subordinate se stiamo alla politica, questo è uno ragionamento per l’avvio della legislatura”.
Senza “subordinate”, significa che oggi eventuali nomi diversi fatti dal capo dello Stato per un incarico sarebbero interpretati come “uno schiaffo” al maggior partito del Paese.
Ne sono convinti tutti nel Pd, anche chi non è troppo vicino a Bersani ammette: “Domani mattina (oggi per chi legge, ndr) è impensabile che Napolitano dia l’incarico a Grasso per un governo di scopo o del presidente”.
Su questo si scommetterà per tutta la notte nel partito, centellinando e interpretando, ancora una volta, il resoconto del colloquio durato più di un’ora al Quirinale.
Il segretario del Pd a Napolitano ha ribadito che “governabilità e cambiamento” sono “inscindibili”.
Sulle strategie e sulle valutazioni di Napolitano, teorico delle larghe intese, in questa lunga partita a scacchi che sta per concludere la sua prima fase, Bersani ha piantato un paletto grosso: “Io sento, e il mio partito sente, di avere una responsabilità da esercitare per fare qualcosa per il Paese. La nostra intenzione è di mettersi al servizio per trovare una soluzione non qualsiasi, un governo che non è di cambiamento porterebbe il Paese a guai peggiori”.
Evidente la chiusura al Pdl in quella “soluzione non qualsiasi”.
L’unico punto di contatto tra Quirinale e Pd è quando Bersani introduce il tema delle riforme istituzionali e della legge elettorale perchè su “certi temi si parla con tutti”. Ma quando poi chiede “corresponsabilità a tutte le forze” sul programma di “cambiamento” del suo progetto di governo di minoranza, anche qui ritorna la pregiudiziale sul partito di Silvio Berlusconi: “Ci rivolgiamo a tutto il Parlamento anche per quel che riguarda i punti del cambiamento. Naturalmente ci sono punti che dalla destra sono stati impediti in questi anni, anche in quest’ultimo anno, quindi immagino che su questi punti di governo sarebbe una singolare via di Damasco”.
La navigazione a vista del segretario democratico resta la stessa della vigilia.
Giocarsi in Senato le sue carte, sperando in una non ostilità di quasi tutti i partiti, compresa la Lega, evocata ieri implicitamente con la proposta di una Camera delle autonomie.
La partita delle prossime ore dovrebbe essere questa, se Napolitano cederà alla richiesta di Bersani.
Per un giorno, massimo due, si allontana l’ipotesi di un governo istituzionale da affidare al neopresidente del Senato Piero Grasso.
Nell’incontro di ieri, nessuno ha fatto questo nome. Nè altri.
È stato un match a due. Bersani e Napolitano e a questo punto inizia a profilarsi seriamente l’orizzonte delle elezioni anticipate in estate.
Perchè su un punto il Pd non si smuove: nessun dialogo con il Pdl per un governo di larghe intese.
La direzione è opposta. E anche se ieri il M5s ha chiuso di nuovo tutti i varchi, Bersani è consapevole in giro ci sono solo “debolezze”, compresa la sua.
Di qui nasce l’insistenza del governo di minoranza, “debolezza per debolezza”. Osserva un bersaniano: “Perchè un governo Grasso, magari con il sostegno del Pdl, dovrebbe essere forte quando nessuno di noi lo voterebbe?”.
Già , perchè? Bersani si sente a tutti gli effetti il primo non vincitore: “Il Pd è la prima forza checchè ne dica qualcuno. Noi siamo il primo partito, la prima coalizione e ci mettiamo al servizio del Paese e dell’Europa che guarda attenta e preoccupata la situazione italiana”.
Una “forza” che non insegue nessuno.
Il riferimento, stavolta, è ai grillini: “Ho sentito questa curiosa affermazione del Movimento 5 stelle in questi giorni, che noi dobbiamo votare i loro per rispetto ai loro elettori, ma loro non votano i nostri. Allora noi oggi abbiamo dimostrato rispetto per i loro elettori, loro non hanno mostrato rispetto per i nostri. Punto”.
Oggi Bersani conoscerà il suo destino.
In cima alla sua agenda di premier incaricato o di esploratore ci saranno punti come la moralizzazione e la lotta alla corruzione.
A sinistra non accadeva da tempo.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 22nd, 2013 Riccardo Fucile
“CON UN GOVERNO DI LARGHE INTESE IL QUIRINALE NON SI TOCCA”
Concordia o meno, Napolitano deve restare al suo posto. 
Con tutta la diplomazia del caso, la delegazione guidata da Silvio Berlusconi e da Alfano lo ha fatto presente al padrone di casa, nel bel mezzo della consultazione durata quasi un’ora, allo Studio alla vetrata.
«È chiaro che se si va verso un governo indicato dal presidente e sostenuto da una maggioranza ampia, allora riterremmo opportuno che lei, presidente, continuasse al suo posto in una fase così delicata» è il messaggio che al termine, quasi a margine, il Cavaliere consegna al capo dello Stato.
Del resto, è da giorni che la linea sulla quale hanno molto lavorato Gianni Letta e, dicono, Giuliano Ferrara, è stata fatta propria dal quartier generale di Palazzo Grazioli e trasmessa con vari input al Colle.
Nessuna breccia, fino a questo momento, al muro di indisponibilità più volte opposto da Giorgio Napolitano.
Il 15 aprile, fra tre settimane, si apriranno le votazioni nelle Camere in seduta comune. Il 15 maggio comunque il presidente della Repubblica lascerà il suo incarico.
I margini sono strettissimi, quasi nulli, ma sullo spiraglio minimo Silvio Berlusconi – come ha ripetuto ai suoi anche ieri pomeriggio – intende lavorare.
Considera ormai l’attuale capo dello Stato di «assoluta garanzia» per i destini del Pdl. Di certo, più di quanto non lo siano tutti gli altri nomi circolati in queste settimane e che il Pd potrebbe imporre, in forza dei suoi numeri: da Prodi a D’Alema, passando per Amato, per finire all’outsider Bonino.
Ma la battaglia sul Quirinale è da venire.
Prima incombe l’incarico di governo.
E uscendo da quel colloquio il leader Pdl, con Alfano, Schifani e Brunetta si sono detti «rincuorati».
E un certo ottimismo continuavano a far trapelare fino a sera, anche dopo l’apparente, ennesima chiusura del segretario Pd, al termine della sua ultima e decisiva consultazione.
«Bersani si conferma una testa dura, al limite dell’irresponsabilità » ha commentato il Cavaliere coi suoi dopo averlo ascoltato in tv.
«Ma noi continuiamo a mantenere un profilo basso, stiamo facendo di tutto e nutro ancora un certo ottimismo» è la lettura del capo.
Convinto che alla fine Bersani non la spunterà .
Di quell’ottimismo si è fatto interprete anche il capogruppo Renato Schifani, durante la riunione dei senatori convocata nel pomeriggio: «Siamo fiduciosi, il presidente Napolitano non darà un incarico se i numeri dell’eventuale maggioranza non saranno certi».
Berlusconi in mattinata al Colle aveva ripetuto quanto sia «inaccettabile » che il 30 per cento degli elettori italiani «resti fuori» dai giochi, dopo che il suo partito è stato già «estromesso dalla occupazione» delle cariche istituzionale da parte del Pd.
Anche se lì sembra non abbia usato il termine «militare».
A Napolitano il Cavaliere ha rivolto dunque l’invito a mediare per convincere Bersani, «l’unica soluzione è quella da noi indicata: un governo di concordia, per noi andrebbe bene se a guidarlo fosse lo stesso segretario Pd o Grasso o chiunque venga indicato da lei, presidente».
Fiducia nel Colle e ottimismo, dunque.
Anche perchè il leader Pdl si è convinto che Bersani col suo arroccamento si sia messo all’angolo. In ogni caso subirà una scelta: o rassegnandosi a un governo ampio o arrendendosi e trascinando il Paese al voto.
«Comunque vada noi ne usciremo bene» va ripetendo Berlusconi ad Alfano e ai dirigenti.
E dall’esito delle consultazioni, nelle prossime ore, dipenderanno molto i toni e le sfumature della manifestazione di domani, quella dei 200 mila in piazza.
L’intenzione è di abbandonare i toni barricaderi della prima ora, per sposare il nuovo sottotitolo “Per una nuova Italia”.
Anche se l’affare Marò rischia di monopolizzare in parte la kermesse in chiave anti- Monti.
Se poi tutto dovesse precipitare, se dovesse essere il Pdl a ritrovarsi all’angolo, escluso dai giochi, allora, per dirla col Cav .
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Marzo 22nd, 2013 Riccardo Fucile
IL SEGRETARIO PD AVRA’ DUE-TRE GIORNI PER DIMOSTRARE DI AVERE L’AUTOSUFFICIENZA
Lo stallo è continuato fino a sera.
La strada per risolvere il rebus del dopo voto da stretta, anzi, strettissima, sembrava diventata un vicolo cieco.
Eppure Pierluigi Bersani non si rassegnava e non si rassegna: è pronto a combattere fino in fondo e rivendica il diritto di imboccarlo, quel sentiero.
Per quanto impervio e buio possa essere.
Attraverso un richiamo alla corresponsabilità , vuole provare a mettere in piedi il suo «governo di cambiamento».
Insomma: è determinato ad aprire la sfida (sul proprio progetto, il proprio programma, i propri nomi) a «tutte le forze parlamentari», a costo di farsi dire pubblicamente di no e di non raggiungere così l’autosufficienza di cui avrebbe bisogno in Senato.
E in ogni caso senza digerire l’idea di un passo indietro per carità di patria.
Ecco l’aggrovigliato nodo che ieri sera Giorgio Napolitano si è trovato a sciogliere, al termine di due giorni di consultazioni, facendo ricorso a tutta la sua esperienza politica e istituzionale.
È difficile, per lui, non concedere al segretario del Partito democratico questa chance, attraverso un incarico.
Difficile, per non dire impossibile, anche se sa bene – e lo sa Bersani – che un simile tentativo è esposto al rischio del fallimento e potrebbe dunque rivelarsi un azzardo, oltre che una perdita di tempo.
Tuttavia il presidente della Repubblica un tale passo lo deve fare, in forza del responso delle urne, in base al quale il Pd può vantare la vittoria, seppur mutilata.
Ora, a parte lo scatto d’orgoglio politico e personale del candidato premier, a parte il suo bisogno di tenere unita una dirigenza in tensione e sotto stress, a parte il vago sapore pre elettorale che questa mossa si porta dietro, ciò su cui ci si è interrogati a lungo era la natura del mandato.
Che, si può anticipare, non sarà pieno.
Qualcuno azzardava che potrebbe essere «esplorativo», così che Bersani in persona verificasse se è in grado di ottenere i numeri dei quali ha bisogno: ma gli «esploratori» sono di solito figure terze, quasi sempre alte cariche dello Stato, e tale scelta non si applica mai a chi deve poi mettere in piedi il governo.
Sarà quindi, comunque il Quirinale decida di qualificarlo (e la definizione risulterà dagli stessi contenuti con cui il presidente lo configurerà ), un mandato «condizionato», e in un passaggio come il nostro la condizione regina è ovviamente che ci sia una maggioranza per la fiducia.
Sarà questo il primo, e provvisorio, giro di boa del consulto quirinalizio.
Napolitano lo formalizzerà nel pomeriggio di oggi, dopo aver completato in solitudine le sue riflessioni e tratto un bilancio dal faticoso confronto che ha avuto con tutti gli attori in campo.
Il primo dato sensibile raccolto è che esiste una larga maggioranza che, nonostante le minacce incrociate dei giorni scorsi, non vuole tornare al voto: risultato scontatissimo, se non altro per l’istinto di autoconservazione che percorre un Parlamento appena insediato.
Ha poi dovuto affrontare l’atteso faccia a faccia con il leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo (e c’è stata molta curiosità reciproca e qualche ironia sdrammatizzante), dopo il quale ha dovuto verbalizzare quel che in rete era stato già ripetuto infinite volte dal blogger: nessuna stampella al Pd, nessuna foglia di fico, nessuna fiducia a governi dei vecchi partiti.
A parte il copione già recitato del centrodestra berlusconiano, l’autentico scoglio da aggirare era l’incontro delle 18 con Bersani.
Dal Pd erano stati fatti filtrare segnali duri e preoccupanti anche per il Quirinale. Dall’entourage del vertice si continuava a bocciare qualsiasi scenario di larghe intese con il Pdl.
Un arroccamento fondato su un vero ukase: se si insiste per un accordo con Berlusconi, si deve capire che, a parte una quarantina di renziani e una decina di veltroniani, gli altri 290 parlamentari del partito si schiereranno compatti contro.
E non resterà altro che il voto.
Una pressione finalizzata a scoraggiare Napolitano e chiunque coltivi l’ipotesi di un esecutivo «del presidente», «istituzionale», «di scopo», o comunque lo si chiami (ipotesi sposata dal centrodestra nel tentativo di rimettersi in gioco), e sulla quale si erano sprecati gli identikit del possibile premier.
Da stasera toccherà a Bersani, provare a far uscire il Paese dall’impasse.
Non avrà molto tempo: due o tre giorni al massimo.
Dopo di che, se tornerà sul Colle senza dimostrare – carta alla mano – di essersi guadagnato l’autosufficienza, l’ultima mossa sarà del capo dello Stato.
E, contro ogni obliqua minaccia, c’è da giurare che un impensabile deus ex machina per un suo governo lui lo scoverà .
Marzio Breda
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 22nd, 2013 Riccardo Fucile
I CINQUESTELLE ALLA FINE PERCEPIRANNO CIRCA 5.000 EURO NETTI AL MESE, PIU’ VIAGGI GRATIS…LA RIDUZIONE DEL 50% E’ PREVISTA SOLO SULLO STIPENDIO BASE
Quando nell’aprile del 1994 arrivarono i leghisti a Roma, le idee si fecero chiare da subito:
pranzo al Pantheon, Freccia Alata, la sala vip dell’aeroporto.
Questi — intesi come i grillini — almeno per ora faticano a capire dove si trovi Fiumicino, e comunque non avrebbero i soldi per comprare il biglietto.
Guai parlare di ristoranti e sale riservate, anche perchè non sono “onorevoli, ma cittadini”.
Ma poi la realtà a volte supera ogni tipo di immaginazione, e l’impatto è forte, irresistibile per molti.
Le stanze suscitano talvolta belle emozioni, pensare a tutti quei privilegi e usufruirne è un attimo. E’ già successo, per fare un esempio, al cittadino Adriano Zaccagnini, immortalato da “Chi”, chiamato a rispondere dai giornalisti per un pranzo nel ristorante della Camera.
Zaccagnini ha spiegato ai cronisti che non sapeva “che in quel ristorante di lusso la quota a carico del deputato è di 15 euro” e il resto del conto, probabilmente 80-90 euro, è a carico dei contribuenti.
“Ammetto il mio errore aggiunge e sono pronto a restituire la parte eccedente del conto. In totale sono stato a mangiare lì tre volte, a 15 euro a pasto, quello che manca lo restituirò di tasca mia. Pensavo che in quel ristorante si risparmiasse”.
Zaccagnini è uno e vale uno.
Anche perchè la maggior parte di loro oggi non ha nè il contante in tasca (buona parte di loro proviene dagli anni Duemila, lavori precari, nella migliore delle ipotesi, e liste di disoccupazione) nè la malizia di presentarsi allo sportello del Banco di Napoli, a Montecitorio, a chiedere l’anticipo sullo stipendio.
Il direttore della filiale bancaria più ambita (in quelle quattro stanze si sono sempre fatte amicizie utili) si strofinerebbe le mani a vederli apparire: sarebbero prestiti garantiti da un datore di lavoro che paga puntuale e fino all’ultimo centesimo.
Quanto? Tanto, anche se il regolamento a 5 Stelle impone dei paletti e delle riduzioni drastiche: nella sostanza i parlamentari dovranno lasciare il 50 per cento dei 10 mila 435 euro previsti in busta paga.
Dunque ne percepiranno 5.217 lordi.
Ma a questi va aggiunta la diaria che si aggira attorno ai 3.500 euro al mese e resta intatta. Purchè rendicontata.
In sostanza, al netto, spese incluse, ogni parlamentare, guadagnerà poco meno di 5000 euro netti.
Senza contare che il traghetto è gratis, l’aereo e il treno anche, idem per l’autostrada.
E a questi benefit non rinunceranno. Questo, almeno dice il regolamento in vigore.
Anche se in rete c’è chi inizia a chiedersi quanto sia corretto che un parlamentare stellato raggiunga la Val di Susa il problema si presenterà già sabato per una manifestazione contro la Tav a spese del contribuente.
E, per di più, con un treno ad alta velocità . Questione complessa. Loro obietteranno che pagheranno il biglietto.
Ma chi può verificarlo?
Oggi, comunque, capita di vederli chiedere una sigaretta, cercare un bed & breakfast “30 euro a notte, tassa di soggiorno inclusa”.
Sempre oggi può succedere che chiedano un passaggio in auto.
Marziani e senza un centesimo.
Ma dopo? “Continueremo così”, dicono in coro.
“Cerchiamo di stringere accordi con le compagnie telefoniche per strappare un contratto low cost. Anche perchè un parlamentare può godere di un rimborso telefonico di 3100 euro nette all’anno, noi contiamo di spendere 600”.
Il problema è capire — e in quei corridoi tutto diventa sempre complicato — dove verrebbero ripartiti i soldi che non spendono. Perchè va bene essere marziani, ma fessi no.
Bisogna andare a rispolverare vecchi regolamenti che i leghisti del 1994 si guardarono bene dal consultare.
Come quello che prevedeva un rimborso di taxi, forfettario e senza rendicontazione, di 3900 euro ogni tre mesi.
“Grasso ci ha dato ampia disponibilità ”, dice Crimi.
Roma era ladrona per i leghisti, ma anche loro ci sguazzavano bene.
Tanto non era loro l’acqua della piscina. E a proposito di piscine quella a Montecitorio non c’è, ma la sauna è lì, a disposizione.
Per ora i grillini manco si sono affacciati, sempre nella loro politica dell’austerity.
Lasciamo passare l’estate, magari aspettiamo novembre, sempre che ci sia un governo.
Poi tiriamo le somme.
Zaccagnini insegna.
Emiliano Liuzzi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 22nd, 2013 Riccardo Fucile
NON E’ VERO: PER 148.216 VOTI IL PRIMO PARTITO E’ IL PD
«Il Movimento 5 Stelle è primo per numero di voti per questo chiediamo ufficialmente un incarico di governo».
Ha esordito così la capogruppo del M5S alla Camera, Roberta Lombardi, nella dichiarazione ufficiale al termine dell’incontro al Quirinale tra la delegazione grillina e il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nell’ambito delle consultazioni per la formazione del nuovo esecutivo.
Un concetto ribadito anche da Beppe Grillo nel post odierno sul suo blog: «Il M5S è stato il primo per numero di voti alle elezioni. Per questo chiede ufficialmente un incarico di governo per realizzare il suo programma».
Ma questa affermazione, almeno nella parte che rivendica il primato, è sbagliata. Poteva essere valida nelle prime 48 ore dopo lo spoglio dei risultati elettorali del 24 e 25 febbraio, quando ancora non si conoscevano i numeri del voto degli italiani all’estero.
Ma di certo oggi è una dichiarazione scorretta.
La prima forza politica per numero di voti è infatti il Partito Democratico.
I NUMERI
Non è questione di interpretazioni, ma di pura matematica.
Il «fact checking» è piuttosto semplice, basta uno sguardo ai dati del Viminale che riepilogano l’andamento dell’ultima tornata elettorale.
Bisogna concentrarsi sulla Camera, perchè è l’unica per la quale il suffragio è davvero universale (per il Senato non votano infatti gli elettori con meno di 25 anni; in ogni caso il Pd ha ottenuto a Palazzo Madama oltre un milione di voti in più del M5s, 8.400161 contro 7.285.850).
Sul territorio italiano il Pd ha raccolto 8.644.523 voti, pari al 25,42% del totale; il Movimento 5 Stelle ne ha messi insieme 8.784.499, vale a dire 139.976 in più, per una percentuale pari al 25,55%.
Un leggero vantaggio che ha fatto proclamare, la notte dello spoglio, il M5S come prima forza politica del Paese.
Questa verità è durata però, appunto, giusto lo spazio di 24-48 ore.
Una volta ultimato lo scrutinio con i dati della circoscrizione Estero (gli aventi diritto, cioè cittadini italiani residenti al di fuori del territorio nazionale e iscritti all’apposita anagrafe, sono quasi 3 milioni e mezzo e a questo giro ha votato il 34,59% di loro), i voti per il Pd sono aumentati di 288.092, portando il totale a 8.932.615.
Quelli per il M5S sono cresciuti di 95.041, per un totale di 8.784.499.
A spoglio completo, dunque, la prima forza politica per numero di voti è il Pd che precede il Movimento di soli 148.216 voti.
Pochi, ma pur sempre sufficienti per rivendicare la primazia del consenso.
(da “il Corriere della Sera“)
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Marzo 22nd, 2013 Riccardo Fucile
SUL CASO MARO’ SI SONO SCATENATE LE LOBBIE E MONTI E’ SCATTATO SULL’ATTENTI: DA BUON CATTOLICO PRATICANTE, MEGLIO SACRIFICARE I FIGLI DEL POPOLO CHE INIMICARSI I POTERI FORTI
La scena ieri era questa: il ministro della Giustizia indiano telefona a Monti e pretende il
rientro dei due marò per “evitare atti di oltraggio alla Corte suprema di New Delhi”, quella per intenderci che da un anno ci piglia per i fondelli sulla sua presunta competenza giuridica in materia, smentita non solo da organismi internazionali ma persino dalla corte indiana.
Lo ribadiamo: la nave era in acque internazionali, è stato un abuso farla rientrare in porto, è stato un abuso far scendere i due militari dalla nave.
Se invece che italiani i due marò fossero stati americani, francesi o israeliani, sarebbero intervenute le forze speciali e qualcuno si sarebbe trovato con una pallottola in fronte.
Fermo restando che se giudicati colpevoli dalla corte di un Paese civile i due militari avrebbero dovuto subire la giusta condanna.
Ritorniamo a ieri: Monti convoca il Consiglio dei ministri a palazzo Chigi, presenti Grilli, Cancellieri, Terzi, Di Paola, Passera.
Terzi illustra la situazione e si dichiara contrario a rispedire i marò in India: scoppia una lite furibonda con Monti che accusa Terzi di averlo tenuto all’oscuro del passo precedente (ovvero la decisione di tutelare i marò trattenendoli in Italia).
Alla fine emerge che Terzi avrebbe deciso da solo senza informare nè Monti nè Napolitano, probabilmente sapendo con chi aveva a che fare.
Terzi non ci sta e fa mettere a verbale: “E’ una decisione che non condivido, assolutamente sbagliata”.
Ma Monti a quel punto si svela: “Sono a rischio commesse per milioni di euro, le aziende italiane sono preoccupate”.
E’ arrivato l’ordine dei poteri forti e i servitori scattano sull’attenti.
Non hanno rilevanza lo strazio e le urla dei familiari e dei bambini dei due militari italiani “rispediti” come un pacco postale in India, quello che conta sono le “scelte ciniche” di chi ha reso l’Italia ridicola nel mondo.
argomento: Monti | Commenta »