Marzo 28th, 2013 Riccardo Fucile
SU SITI E BLOG I MILITANTI CINQUESTELLE “MASSACRANO” ANTONIO VENTURINO, IL GRILLINO CHE HA IMPARATO PRESTO A FARE IL FURBINO
Dopo la missione con l’auto blu, alla quale aveva rinunciato pubblicamente, scoppia un’altra grana per Antonio Venturino, il vice presidente grillino dell’Assemblea regionale siciliana, già finito al al centro delle polemiche con i sostenitori del movimento per l’entità della cifra restituita alle casse pubbliche.
Adesso Venturino, che dichiara di non possedere un’auto, tra gennaio e febbraio dall’Ars ha incassato 1100 euro di rimborso carburanti.
Un dettaglio che ad alcuni attenti osservatori del Movimento 5 Stelle non è sfuggito: “Ma visto che avevi dichiarato di non avere un auto, a cosa ti servono gli oltre 1.100,00 euro di rimborso carburante? Ma scusa non avevi detto che eri stato costretto ad usare l’auto blu di servizio al gruppo perchè non avevi l’auto?” chiede Ciccio sul blog ufficiale “Sicilia5Stelle”.
Aggiunge Max Ros: “Ma se non hai la macchina come mai hai preso 1100 Euro di rimborso carburante?”
E Carmine Lentini rincara la dose: “Scusate, ma dopo aver pubblicato il certificato di rinuncia all’autoblu, come si giustifica l’utilizzo di quest’ultima per scopi istituzionali?”
C’è anche chi la butta sull’ironia: “Sei male informato, Antonio ha dichiarato: “qualcuno dirà che era un’auto blu, ma non lo è” Infatti si vede chiaramente nella foto che è rosa fucsia” scrive Gabriele B.
E’ la dichiarazione che compare anche sul blog “Assurdita5stelle”, dove il caso Venturino tiene banco.
Le dichiarazioni del vice presidente dell’Ars in occasione della trasferta di Niscemi vengono impetosamente confrontate con i suoi rimborsi spese pubblicati sul blog ufficiale: “Perche mi fa questa domanda? Perche non avete che cosa scrivere?” aveva detto ai cronisti a Niscemi, “non è un’auto blu, ma di servizio. Ovviamente siamo venuti con l’auto di servizio. Qualcuno dirà che era un’auto blu, ma non lo è. Siccome noi oggi siamo venuti da Palermo e dobbiamo fare un altro giro, e siccome io la macchina non ce l’ho e a piedi sarebbe stato complicato, in bicicletta sarebbe stato un po’ difficile anche perchè avrete visto lo stato fisico in cui mi trovo. Quindi per motivi di tempo abbiamo usato un’auto di servizio, chiamiamola auto aziendale, dell’azienda Assemblea regionale siciliana”.ù
Poi le dichiarazioni: “Gennaio 2013. Oltre ai 2500 Euro netti, ho trattenuto la somma di 773.30€ per la benzina (tot. km effettuati: 2090, calcolati in base alla tabella ACI), di 170.00 Euro di spese varie e di 140€ per i pasti. Febbraio 2013. Oltre ai 2500 Euro netti, ho trattenuto la somma di 387.02 Euro per la benzina (tot. km effettuati: 1046, calcolati in base alla tabella ACI), di 175.00 Euro per il trasporto su mezzi pubblici, di 500.00 Euro per l’alloggio, di 728.00 di spese varie e di 108 Euro per i pasti”.
E giù commenti: “Non so quanto costi in Sicilia un abbonamento per il trasporto pubblico, ma quei 175 € sanno tanto di taxi”, dice Visenna Zilla.
Che aggiunge: “Farei anche notare che, non avendo l’auto di proprietà , con il tappeto volante a benzina fa mezzo chilometro al litro (usufruisce del tipo di rimborsi chilometrici non esattamente favorevole all’amministrazione)”.
Arrigo Toffolatti punta il dito sui “728 di spese varie a febbraio”. “Pensa – scrive – c’è gente che ci deve vivere un mese”.
(da “la Repubblica“)
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Marzo 28th, 2013 Riccardo Fucile
IL SENATORE ROSSI RACCONTA AI PM LE OFFERTE DEL COLLEGA PDL TOMASSINI
Anche Paolo Rossi, senatore del Pd, era finito nel mirino della “campagna acquisti” che Silvio
Berlusconi aveva messo a segno nel 2007 per far cadere il governo Prodi.
Come Giuseppe Caforio, anche Rossi non cedette a quella proposta e lo racconta lui stesso ai pm napoletani che lo hanno sentito lo scorso 10 marzo nell’ambito dell’indagine che ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio per corruzione nei confronti di Silvio Berlusconi, Sergio De Gregorio e Valter Lavitola.
Ad avvicinarlo fu il senatore Pdl Antonio Tommasini, che di Rossi è concittadino, sono entrambi di Varese.
“Il 30 agosto 2007 — dichiara Rossi — Tomassini mi invitò a cena e mi disse che lui, particolarmente vicino a Berlusconi era stato incaricato direttamente da Berlusconi —unitamente ad un gruppetto di senatori di Forza Italia— per fare “campagna acquisti” tra senatori del centrosinistra”.
Lo chiamava il “piano Marshall” e Rossi annota che il piano americano del dopoguerra riguardava “un intervento più finanziario che politico”.
E per metterlo a segno “Berlusconi era disposto a raggiungere anche cifre elevatissime che per uno come lui erano insignificanti e che invece a una persona normale come me avrebbero potuto cambiare la vita”.
Paolo Rossi però non accetta e ne informa subito “l’onorevole Franceschini, la senatrice Finocchiaro, e il senatore Zanda” .
Ma non fu l’unico episodio di compravendita, perchè racconta Rossi ai pm, “il Tomassini mi disse che nella sua attività di campagna acquisti erano a un buon punto con i tre senatori del Sudtiroler Volkspartei”.
Insomma quella del 2007 fu una campagna acquisti molto più ampia di quanto si sapeva finora.
Anche l’allora presidente del Consiglio Romano Prodi, che sentito come persona informata sui fatti a Napoli, racconta di “voci insistenti e continue sui tentativi da parte dell’opposizione di traghettare alcuni senatori” ma l’ex premier non immaginava la portata del fenomeno: “quando in questi giorni ho saputo dai giornali quanto era addebitato a Berlusconi e De Gregorio in relazione a fatti di corruzione parlamentare, sono rimasto scandalizzato. Se veri, questi fatti sono di una gravità inaudita. Ho fatto mente locale tuttavia non mi sono venuti in mente fatti ulteriori”.
Anche il senatore Idv Giuseppe Caforio ha raccontato un approccio di Antonio Tomassini.
Ma è Sergio De Gregorio a fargli una vera offerta.
La storia è nota: Caforio si presentò all’incontro con un registratore Il nastro venne consegnato a Di Pietro e oggi non si sa che fine abbia fatto.
Di Pietro ai magistrati dichiara di averlo consegnato al “responsabile di pg del ministero, capitano Scaletta”.
Che presto sarà sentito dai pm romani che indagano sul caso Scilipoti-Razzi.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 28th, 2013 Riccardo Fucile
“CREDO CHE IL BLOG FOSSE UN’IDEA DI CASALEGGIO, GRILLO NON HA SPESO UN EURO”…E A PROPOSITO DEI TROLL: “LA DENUNCIA DI GRILLO E’ CURIOSA: HA FATTO ESATTAMENTE QUELLO CHE LAMENTA ORA”
Dodici anni in società con Gianroberto Casaleggio, un profilo internazionale, un’araldica complessa, scrittura e relazioni, economia e Internet, poi Enrico Sassoon ha scritto una lettera, lo scorso settembre, per sigillare proprio quei dodici anni.
E in poche righe, pubblicate in evidenza sul Corriere della Sera, si è liberato di quelle ricostruzioni su complotti, massoneria, servizi segreti che — dice — l’hanno perseguitato.
Non adora parlare ai giornalisti.
Ci riceve in una sala riunioni costellata di oggetti elettronici antichi e moderni, che un neofita vedrebbe bene in un museo.
Riflette su ogni sillaba e la registra anche.
Quando ha incontrato Casaleggio?
Ci siamo conosciuti nel 2000, quando sono entrato a far parte del Cda di Webegg come consigliere indipendente. Quando nel 2004 Casaleggio fonda la sua società di consulenza e strategie di rete (che cura il sito di Grillo), mi propone di acquisire una quota e io entro come socio di minoranza con il 10%. In quell’epoca ero l’ad di American chamber of commerce. Ho lasciato la Casaleggio Associati perchè c’erano fazioni in rete, esterne e interne al Movimento, che mi diffamavano. Nè Grillo nè Casaleggio mi hanno difeso. Sono stato costretto a lasciare pur non avendo mai scelto di fare politica con il M5S. Non mi ha colpito la rete, ma persone che hanno trovato la mia figura professionale poca consona al Movimento.
Come può un sito attirare milioni di visite che diventano milioni di voti?
Perchè Grillo ha toccato corde di carattere sociale e politico che hanno persuaso un numero crescente di persone. Credo che il blog sia un’idea di Casaleggio, penso che Grillo non sapesse proprio nulla di Internet quando gli fu proposto. Casaleggio ha notato il successo di Grillo che faceva spettacoli con una componente di critica sociale e politica molto aggressiva. Ha pensato che potesse essere utile sfruttarlo e inserire Internet, le connessioni immediate, negli spettacoli in maniera tale che potesse far vedere le cose di cui parlava, ricordo ad esempio la vicenda Telecom. Hanno usato molto la famosa mappa del potere, elaborata da Casaleggio e Associati, che dimostrava come poche persone controllano molti Cda.
È stato anche un affare economico?
È convenuto per un breve periodo di tempo. Che io sappia, Grillo non ha mai pagato niente, non ha speso un euro, ma ha dato in concessione la vendita di dvd e libri. Pubblicità ? Non ho idea. La Casaleggio ha un passivo non drammatico per una società che non supera 1,5 milioni di fatturato. Pura fantasia che la Casaleggio Associati abbia costruito un impero con quel fatturato.
Otto anni governando la rete, ora Grillo segnala “gruppi pagati per gettare fango”, i troll.
Mi sembra strano che si lamenti di interventi in rete di cui lui è stato il primo esempio. Come leggo nei commenti al blog, quelli più seguiti e votati, la maggior parte sono molto critici con la sua denuncia. La presa di posizione di Grillo è oggettivamente molto curiosa: lui ha fatto esattamente quello che lamenta in questo momento, e solo perchè è rivolto contro di lui…
Ma Internet è davvero sinonimo di trasparenza?
La rete è uno strumento come il telefono o come la televisione, ma ha barriere di accesso più basse. La rete non significa democrazia, se usata male può anche significare attentato alla democrazia. Chi vuole identificare la rete come democrazia, e si immagina un popolo della rete, dice cose sostanzialmente sbagliate. La rete è lo strumento più potente per fare politica, nessuno, però, la usa in maniera sistematica come loro.
L’hanno usata per le Parlamentarie: poca partecipazione, tante polemiche.
Quando si selezionano persone per creare dei candidati queste persone dovrebbero essere selezionate per capacità , competenze, onestà , storie personali, quanto tutto questo sia stato possibile verificarlo attraverso le Parlamentarie, non ne ho idea e non ce l’ha nessuno se non chi le ha organizzate mettendo i filtri.
Quanto durerà il M5S in Parlamento?
La proposta politica di Grillo dipenderà dalla capacità di trasformare in programmi quelle che sono finora essenzialmente parole d’ordine peraltro abbastanza elementari e in parte solo di protesta. Per fare questo mi sembra che venga utilizzata una tecnica che ricorda molto quella economica del crowdsourcing (chiedere supporto alle folle, ndr), cioè quando un’azienda o una persona si rivolge a una comunità online, più o meno specialistica, per risolvere un problema e ricevere proposte che poi dovrà scegliere, premiare e infine utilizzare. Questo richiede due condizioni: la prima che esista un pensiero strutturato, la seconda che ci sia un’organizzazione capace di filtrare quello che arriva. Ascoltando Grillo che utilizza questi termini in maniera piuttosto confusa, che sono certamente patrimonio culturale di Casaleggio, ho la netta sensazione che si illudano di fare crowdsourcing politico non avendo per ora nè una struttura organizzata nè un pensiero realmente definito.
Chi è imprescindibile per il Movimento: Casaleggio o Grillo?
Mi pare che l’uno non viva senza l’altro. La parte ideologicamente più preparata mi sembra sia quella di Casaleggio, Grillo è un megafono che ripropone delle elaborazioni che non necessariamente gli appartengono.
Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 28th, 2013 Riccardo Fucile
LA LISTA DEL PD: MARINI, GRASSO E DE RITA…IL CAVALIERE: NO, PERA
Sono i numeri – sempre i numeri – la maledizione del Partito democratico. 
Non bastano per ottenere una maggioranza autonoma al Senato. E non sono sufficienti neanche per consentire alla coalizione di centrosinistra di votarsi il presidente della Repubblica in splendida solitudine.
Per questa ragione la strategia studiata a largo del Nazareno per convincere Silvio Berlusconi ad acconsentire alla nascita del governo Bersani è fallita
Il segretario del Pd tramite Alfano ha fatto avere al Cavaliere la lista dei candidati al Quirinale che potrebbero non dispiacergli: Franco Marini, Giuliano Amato, Pietro Grasso e Giuseppe De Rita.
Un elenco breve e due postille. La prima: potremmo mettere tre ministri non sgraditi al leader del Pdl. La seconda: «Se Berlusconi non fa partire il nostro governo, noi non cercheremo la convergenza dei due terzi del Parlamento per votare il presidente della Repubblica, ma ce lo sceglieremo da soli o con i grillini».
Berlusconi, però, è andato a vedere il bluff e ha rilanciato, proponendo al Partito democratico non più Gianni Letta (come aveva ipotizzato l’altro ieri), bensì Marcello Pera.
Di fronte a questa mossa Bersani è rimasto spiazzato perchè ha capito che l’esile filo a cui si era attaccato si è già spezzato.
Eppure, nella speranza di mandare in porto il suo tentativo, il segretario ha cercato all’inizio di sondare gli umori del suo partito sul nome di Pera.
I cattolici ex margheritini si sono inalberati subito: il Quirinale spetta a noi, tanto più dopo che persino Sel ha avuto una poltrona istituzionale con Laura Boldrini. Insomma, Bersani ha avuto la conferma di quel che aveva immaginato quando gli è stata prospettata l’ipotesi di votare Pera al Quirinale: proposta irricevibile da rinviare al mittente.
E pensare che il leader del Partito democratico riteneva di avere margini di manovra ben più ampi.
«Ci vorrà un supplemento di indagine», aveva spiegato a tutti i suoi interlocutori del centrodestra.
Come a dire: con il tempo le cose possono aggiustarsi. Infatti il segretario pensava di andare al Quirinale domani, ma ora ha capito che non sarà il trascorrere dei giorni a salvarlo e ha fatto sapere che salirà al Colle già oggi, verso le sei di sera.
Inutile indugiare oltre: il Pd non può riuscire a votare Pera.
Magari qualcuno non sarebbe contrario – è stato il ragionamento fatto nelle riunioni informali del Pd che si sono susseguite per tutta la giornata – ma per il nostro elettorato equivarrebbe all’inciucio.
Perciò, meglio lasciar perdere.
Ora il rischio è quello di un governo del Presidente che giungerà in aula senza consultazioni.
Potrebbero guidarlo Giuliano Amato o Luciano Violante, dicono al Pd.
Ma questi nomi non rendono meno dolorosa la sconfitta.
Spiega Bersani ai suoi: «Noi potremmo anche contribuire a far nascere un governo del genere, ma quanto durerebbe? Certo dopo la fiducia non potrà contare sui voti del Pd per ogni provvedimento: non sarà – non potrà mai essere – il nostro governo. Avrebbe vita breve: se Berlusconi lo vuole deve anche sapere che così andrà a sbattere».
Parole amare. Parole che confermano che ormai anche i dirigenti del Pd hanno compreso che tornare alle urne tra qualche mese è impossibile.
E che perciò ci si deve acconciare.
In un modo o nell’altro. «Sarà difficile spiegare ai nostri elettori per quale motivo voteremo con il centrodestra, dopo che avevamo detto che non avremmo mai più replicato la strana maggioranza del governo Monti», diceva ieri a qualche amico Dario Franceschini.
Mentre Rosy Bindi in pieno Transatlantico minacciava: «Se si fa l’inciucio io mi dimetto da presidente del partito».
Non sarà governissimo, certo, ma non sarà nemmeno facilissimo far capire ai militanti quel che è successo.
«Gli italiani – è il ragionamento fatto ieri da Bersani – hanno bocciato sia le larghe intese che i governi tecnici.
Il Paese ci ha chiesto altro e ci ha detto di non cercare compromessi obbligati o alleanze necessitate. Non ascoltare il responso dell’elettorato sarebbe un suicidio». Una riflessione ad alta voce venata di tristezza, come di chi è consapevole che le cose non sono andate per il verso giusto: «In queste condizioni basta che Berlusconi alzi il telefono per far saltare tutto».
E Berlusconi, effettivamente, quel telefono lo ha alzato per dire ad Alfano di dichiarare chiusa la trattativa, a meno che Bersani non ci ripensi e non dica di sì a un candidato del Pdl per il Colle.
Eppure nello staff del segretario ci sperano ancora: «Aspettiamo la nottata, che potrebbe portare consiglio: eppoi c’è un altra giornata ancora per tirare le somme».
E intanto Matteo Renzi è da ieri a Roma…
Maria Teresa Meli
(da “il Corriere della Sera“)
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Marzo 28th, 2013 Riccardo Fucile
OGGI ASSEMBLEA DEI GRUPPI, GIA’ MARTEDI’ NOTTE GRILLINI SPACCATI: 60 SU 109 I NO ALLA FIDUCIA A BERSANI
Ci sono molti volti, sotto la finta unanimità ostentata dal Movimento 5 Stelle.
Molte sfumature, dietro il no di Vito Crimi e Roberta Lombardi a Pier Luigi Bersani. C’è, soprattutto, la volontà di alcuni dei parlamentari grillini di discutere un piano B. Davanti a un nome lontano dai partiti, tutto potrebbe cambiare.
Nella rosa ci sono il giurista Stefano Rodotà , il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, una persona come Gino Strada ministro della Sanità .
E anche se la linea ufficiale resta «sì solo a un nostro governo», davanti a nomi nuovi sarebbe ben arduo per i capigruppo tenere insieme tutta la truppa.
Che è più spaccata di quel che si lasci intendere, visto che alla Camera — martedì notte — i no a Bersani non sono stati 109, ma solo 60. In 4 hanno votato per il “se” — la possibilità di ridiscutere davanti a una nuova proposta del segretario pd — gli altri si sono astenuti.
«Perchè non era neanche il caso di votare», spiega qualcuno, ma la storia è comunque diversa dalla versione ufficiale.
Un governo del presidente non a guida pd?
«Ne possiamo parlare», risponde Stefano Vignaroli. «Perchè no?», gli fa eco Andrea Cecconi. Non sono i soli.
Al Senato lo pensano in molti.
E quindi, mentre Beppe Grillo lanciava una nuova invettiva contro i partiti, i suoi parlamentari si interrogavano su cosa fare nel secondo round, in caso Bersani non ce la faccia.
Non sono piaciute ad alcuni, invece, le parole di Roberta Lombardi durante il colloquio con Bersani, il suo riferimento a Ballarò.
E oggi, nella riunione congiunta tra deputati e senatori in cui si parlerà della linea politica, non è escluso che qualcuno chieda un voto sulla sua gestione del gruppo.
In attesa che arrivi Grillo: vedrà i parlamentari, ma non si sa ancora quando.
L’ipotesi di questo week-end si allontana.
In molti, vogliono tornare a casa.
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Republica“)
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Marzo 28th, 2013 Riccardo Fucile
MA AUMENTA ANCHE SUL FUTURO DEL PAESE IN GENERALE
Nessuno sa in questo momento se Bersani riuscirà nel suo intento di creare una coalizione di
governo che possa ottenere la fiducia in Parlamento.
Al riguardo, si leggono, ancora in queste ore, le opinioni più diverse, da quelle più ottimiste – che ipotizzano, sulla spinta dell’esigenza di dare un governo al nostro Paese, il consenso di vari partiti (o pezzi di partiti) alla proposta del segretario Pd – ai più pessimisti, che vedono nei veti incrociati un ostacolo insormontabile al tentativo di Bersani.
Gli italiani, nella loro larga maggioranza, non sembrano credere nella possibilità che Bersani riesca a raccogliere una maggioranza.
Solo il 30 per cento appare in questo senso ottimista, mentre ben il 67 per cento la pensa in modo opposto.
Al solito, le opinioni variano però in relazione all’orientamento politico.
Emerge, in particolare, come le valutazioni più negative sulla capacità di Bersani di riuscire nel suo esperimento si manifestino tra l’elettorato dei partiti che più vi si oppongono o ne appaiono esclusi, quali il Movimento 5 Stelle o il Pdl, ove addirittura l’80 per cento ritiene che il segretario del Pd fallirà .
Viceversa, la maggioranza degli elettori per la coalizione di centrosinistra risulta più fiduciosa, tanto che il 59 per cento dichiara di prevedere che Bersani ce la farà .
Ma è molto significativo rilevare come, anche all’interno della coalizione che appoggia il segretario del Pd, una percentuale di votanti molto consistente (38 per cento) non crede nella riuscita del tentativo in corso.
Insomma, per un motivo o per l’altro, gli italiani appaiono pessimisti.
Sull’esito dell’esperimento di Bersani, ma anche – lo mostrano molte ricerche in corso – sul futuro del Paese in generale, sia dal punto di vista della crescita economica, sia, al tempo stesso, da quello della sua tenuta sociale.
Renato Mannheimer
(da “il Corriere della Sera“)
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Marzo 28th, 2013 Riccardo Fucile
UNA PARTE DEL PDL AVREBBE VOLUTO ARRIVARE A UN’INTESA
I telecomandi a distanza hanno funzionato alla perfezione e in serata, dal fortino di Arcore, Silvio Berlusconi ha fatto saltare per aria gli ultimi ponti della trattativa col Pd.
«Sulle nostre condizioni non trattiamo. Vogliono il nostro sostegno ma questi signori non si sono degnati nemmeno di chiamarmi di persona» si è lamentato nel lungo vertice telefonico serale con Alfano, Verdini, Lupi, Schifani e gli altri riuniti in via dell’Umiltà .
«Bersani vuole Palazzo Chigi? Mandi me o Gianni Letta al Quirinale, il resto non ci interessa».
È stato l’ultimo, messaggio tranciante con cui si è licenziato dai suoi. Sebbene chi gli ha parlato fino a tardi sostiene che «il presidente attende» un segnale, un’offerta a questo punto pubblica dal Pd.
Ma certo che non arriverà .
A Roma il leader Pdl potrebbe rimettere piede oggi, ma molto più probabilmente dalle sabbie mobili della Capitale si terrà lontano ancora.
Questo non vuol dire che per tutto il giorno il quartier generale berlusconiano non abbia interagito con quello di Bersani. Anzi.
Verdini e Migliavacca, ormai abituali ambasciatori dai tempi della riforma elettorale (mai nata) si sono assentati a lungo entrambi dalla seduta del Senato, mentre Monti riferiva sui Marò.
Un faccia a faccia tra i tanti, protrattosi nel primo pomeriggio, e che ha fatto circolare con insistenza voci su un possibile spiraglio.
Voci spente poi in serata, con la porta chiusa della nota di Alfano, sintesi del pensiero del Cavaliere dopo il niet definitivo dei democratici a un uomo di centrodestra al Colle.
«La roba dell’uscita dall’aula per dar vita a un governo di maggioranza è roba da Prima Repubblica, non ci interessa» ha rincarato Berlusconi coi dirigenti.
Al massimo disposto ad allargare la rosa dei “papabili” al Quirinale all’ex presidente del Senato Schifani.
Ma non più di quello. Di Bersani e di un suo esecutivo, pur di minoranza, dice di non fidarsi, teme l’«agguato» giudiziario, le condanne e una legge pesante» sul conflitto di interessi.
Dunque, linea dura.
Si sarebbe aspettato che da Largo del Nazareno qualcuno lo chiamasse personalmente, data la delicatezza della situazione e della crisi. Invece, nemmeno quello.
E allora, ripete a questo punto, «così si va dritti al voto a giugno: per noi va bene, siamo pronti più degli altri».
La nomina di Daniela Santanchè quale responsabile dell’organizzazione del partito, al ruolo di vertice che era stato occupato finora dal vicepresidente della Camera Maurizio Lupi, è un chiaro segnale di guerra (elettorale) alle porte.
La fedelissima e super falco del resto rilancia la posizione del capo: «O Bersani fa il presidente del Consiglio e Berlusconi il presidente della Repubblica, o viceversa». Tertium non datur.
No categorico anche a una rosa di nomi per il Quirinale indicata dal Pd, siano pure dei moderati.
Dalla segreteria Alfano vengono bollate come prive di fondamento e frutto di «veleni interni» le voci rincorse per tutto il pomeriggio su un segretario più trattativista e disposto a tenere aperto fino alle prossime ore il canale con Bersani.
Magari intravedendo davvero per sè all’orizzonte la presidenza della Convenzione, la nuova “costituente” proposta e offerta dal premier incaricato: «Mai interessato agli strapuntini, sarebbe pure stata una deminutio» ha ripetuto Alfano parlando in serata coi deputati più amici: «Se avessi ambito a posti di potere, avrei puntato alla presidenza di una delle due Camere».
Certo è che nelle dichiarazioni ufficiali dell’ala moderata del partito non tutto viene considerato perduto.
I contatti proseguiranno anche oggi, prima della salita al Colle di Bersani.
Del resto lo stesso Alfano nella sua nota rimandava ancora al segretario Pd le ultime mosse: «Sta a lui, ora, rovesciare la situazione, se vuole e se può, nell’interesse del paese».
Così il vicecapogruppo alla Camera Mariastella Gelmini, che si appella a un «maggior senso di responsabilità e minore impulsività , che possono essere ingredienti politicamente molto utili in queste ultime ore».
Sul successo del premier incaricato tuttavia in pochi sono disposti a scommettere, non solo ad Arcore ma anche a Roma, in via dell’Umiltà . «La trattativa sulle larghe intese si può aprire con un altro premier incaricato dal presidente», tra un paio di giorni, è una considerazione attribuita ad Alfano da chi è stato con lui ieri. Insomma, se Napolitano tirasse fuori dal cilindro il classico coniglio, allora i giochi potrebbero riaprirsi.
Per un governo «vero», di lunga durata, non balneare.
Per le riforme e non solo.
In fondo è il ragionamento del capogruppo Pdl al Senato Renato Schifani, che spera ancora che la «politica si riappropri del governo del Paese e che sotto la guida del presidente della Repubblica dia corso ad un governo forte, stabile e coeso, frutto del sacrificio di ciascuna forza».
Un esecutivo trasversale ma «politico».
Ma ormai, tra poche ore, tutto tornerà nelle mani del capo dello Stato.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Marzo 28th, 2013 Riccardo Fucile
NEL PARTITO CRESCE L’IRRITAZIONE VERSO I GRILLINI: “INCAPACI DI PRENDERSI RESPONSABILITA'”
«Salta il Pd? Ma no, perchè?». Matteo Renzi rassicura. 
Ma il Pd è una pentola a pressione.
La paura del fallimento di Bersani è una spada di Damocle per il centrosinistra. Innescherebbe una reazione a catena e, se il segretario insistesse sulla posizione di chiusura a un “governo del presidente”, rischierebbe di passare in minoranza.
I bersaniani negano. Maurizio Migliavacca, capo della segreteria, piacentino, colui a cui Bersani affida le patate bollenti anche di queste ultime ore, lancia bordate ai 5Stelle: «Si chiariscano le idee e si assumano le loro responsabilità ».
Però il “passo B” non lo prende ancora in considerazione, Migliavacca: «Ammesso che accada il peggio, e incrociamo le dita, se il Colle volesse tentare altre strade non maturerebbero in poche ore».
Il Pd avrebbe cioè tutto il tempo per digerirle.
Ma allora le tensioni sarebbero vicine al punto di rottura. Il tam tam dei renziani per un “governo del presidente” ha messo solo la sordina. Paolo Gentiloni ha rilanciato più e più volte il “governo istituzionale o a bassa intensità politica”, che consentirebbe intese larghe: «Faccio il tifo per Bersani, ma non possiamo tornare al voto con questa legge elettorale e il Pd non potrà che assecondare la decisione del presidente della Repubblica».
Matteo Richetti, braccio destro del sindaco “rottamatore”, aveva brandito, e poi negato, la possibilità di scissione.
Roberto Reggi, “falco” renziano, non ha escluso l’ipotesi che già da subito il presidente Napolitano possa affidare un incarico a Renzi.
A parte il gioco a chi la spara più grossa, al giro di boa per la nascita di un governo Bersani e ancora nell’incertezza, c’è una resa dei conti in atto sulla strategia portata avanti fin qui di abbraccio con i 5Stelle.
Qualche giorno fa, Renzi aveva detto che l’inutile perdita di tempo dietro ai grillini, rendeva la strada verso il governo «da stretta a strettissima».
Mantra renziano di ieri, dopo la performance grillina in streaming, la conferenza stampa, gli insulti di Grillo sul blog e lo spariglio serale su un altro nome per il governo che non sia Bersani. «I 5Stelle così facendo si stanno rivelando dei matti — afferma Pippo Civati, simpatizzante dei grillini — hanno un atteggiamento impolitico, dicono tutto e il suo contrario. Sono disposti ad appoggiare un governo non guidato da Bersani? Parlassero chiaro. Per il Pd è davvero un momento difficile. Su Twitter circola la battuta: “Abbiamo cominciato con Saviano e finiamo con Miccichè”».
A pranzo con i fedelissimi — Enrico Letta, Dario Franceschini, Vasco Errani e Migliavacca — Bersani ha mostrato l’irritazione verso i 5Stelle che «hanno paura di prendersi le responsabilità e di affrontare i temi veri».
«Pier Luigi avrebbe dovuto reagire più duramente agli insulti, alle contumelie di Grillo, che si mette sotto i piedi le istituzioni», argomenta su Facebook Donatella Ferranti, cattolicodemocratica, convinta che Bersani sia da sostenere fino all’ultima possibilità , però poi si cambia registro e non si torna alle urne.
E persino la “gauche” del Pd, i cosiddetti “giovani turchi”, da Orlando a Orfini, hanno una posizione più sfumata.
Avevano sempre sostenuto: o Bersani o voto; ora sembrano più possibilisti verso una soluzione del presidente, a patto che non comporti un governissimo.
Non così, Stefano Fassina, che precisa: «Bersani ce la farà , però se così non fosse allora, meglio andare al voto e il più rapidamente possibile».
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica”)
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Marzo 28th, 2013 Riccardo Fucile
NUMERI CERTI O IL CAPO DELLO STATO NEGHERA’ L’OK FINALE
E adesso, se come tutto lascia immaginare Bersani nel pomeriggio si presenta al Colle senza una maggioranza, Giorgio Napolitano lo fermerà : niente numeri certi, dunque nessun altro passaggio successivo in Parlamento.
Non può affrontare il rischio di un naufragio sulla fiducia, privo di quel «sostegno parlamentare certo nelle due Camere» che gli aveva chiesto il presidente della Repubblica.
Ma proprio dal rapporto-consultazioni che il leader pd metterà sulla sua scrivania, il capo dello Stato pensa di prendere le mosse per il suo passo successivo.
L’obiettivo del Colle è di avviare un nuovo tentativo per dare un governo un paese, provare con un altro incarico.
E tuttavia nelle intenzioni del capo dello Stato proprio dal presidente pre-incaricato, prima di abbandonare la missione, potrebbe arrivare un’indicazione sul percorso e sul nome o la rosa di nomi giusti per provarci ancora.
Un gesto di responsabilità , e anche di altruismo politico, da parte di Bersani ma anche un modo per rimettere nelle mani del partito di maggioranza relativa il “pallino” delle trattative.
Ed evitare, così, contraccolpi e spaccature fra i democratici.
Verrà dal segretario questa investitura di un suo successore nella missione Palazzo Chigi, oppure Bersani getterà la spugna spiegando al capo dello Stato che non c’è spazio per nuove esplorazioni e che non resta che pensare alle elezioni anticipate?
Dalla risposta, dipendono mosse e calendario di Napolitano nei prossimi giorni.
Se Bersani “candida” dopo di sè un uomo del Pd (Enrico Letta? Matteo Renzi?), si apre la strada per un nuovo tentativo politico.
Ma con un segno diverso: quello di una grande coalizione.
Sei giorni fa, prima ancora di affidare il pre-incarico, Napolitano aveva insistito «sulla necessità di larghe intese, a complemento del processo di formazione del governo che potrebbe concludersi anche entro ambiti più caratterizzati e ristretti».
Quella strategia del doppio binario, osservano dal Colle, qualche passo avanti l’ha fatta, sulle riforme le convergenze sono arrivate.
E anche sul programma, sui punti presentati dal Pd, sono venuti dei sì dal centrodestra, e anche dai grillini.
Spiragli insomma si sono aperti, lo scoglio resta la fiducia.
E la trattativa sul nuovo inquilino del Colle, strettamente intrecciata alla questione governo, arenata in un muro contro muro.
Non mancano pericoli in questo scenario post-Bersani, col Pd che rischia di spaccarsi fra l’ala che insiste sul governo e la sinistra interna che pensa al voto anticipato.
Si tratta di un cammino tuttavia che il capo dello Stato può anche perseguire mettendo mano alla fatidica ipotesi B: il governo del presidente, centrato su un paio di obiettivi: crisi economica e riforma elettorale.
A tempo, un anno, per arrivare alle elezioni anticipate nella primavera prossima (magari insieme alle Europee).
I nomi in campo vanno dal presidente del Senato Grasso (che avrebbe però perso quota) al ministro Cancellieri, passando per Rodotà e Zagrebelsky (ma nel caso di un’apertura ai 5Stelle).
Cercando, in ogni caso, di far presto.
Napolitano, chiuso il tentativo Bersani, potrebbe far partire a ridosso di Pasqua un suo nuovo giro di consultazioni o magari affidare direttamente nelle mani del nuovo incaricato il giro di colloqui con i partiti.
A patto però di aver qualche garanzia che non si bruci anche questa avventura. Difficilmente ci sarebbe un terzo tentativo.
E a quel punto Napolitano potrebbe anche dimettersi qualche giorno prima, e affidare al successore la carta delle elezioni anticipate.
Umberto Rosso
(da “La Repubblica“)
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