BERLUSCONI BLOCCA LA TRATTATIVA: “IO O GIANNI LETTA AL QUIRINALE. SOLO COSI’ MI SENTO GARANTITO”
UNA PARTE DEL PDL AVREBBE VOLUTO ARRIVARE A UN’INTESA
I telecomandi a distanza hanno funzionato alla perfezione e in serata, dal fortino di Arcore, Silvio Berlusconi ha fatto saltare per aria gli ultimi ponti della trattativa col Pd.
«Sulle nostre condizioni non trattiamo. Vogliono il nostro sostegno ma questi signori non si sono degnati nemmeno di chiamarmi di persona» si è lamentato nel lungo vertice telefonico serale con Alfano, Verdini, Lupi, Schifani e gli altri riuniti in via dell’Umiltà .
«Bersani vuole Palazzo Chigi? Mandi me o Gianni Letta al Quirinale, il resto non ci interessa».
È stato l’ultimo, messaggio tranciante con cui si è licenziato dai suoi. Sebbene chi gli ha parlato fino a tardi sostiene che «il presidente attende» un segnale, un’offerta a questo punto pubblica dal Pd.
Ma certo che non arriverà .
A Roma il leader Pdl potrebbe rimettere piede oggi, ma molto più probabilmente dalle sabbie mobili della Capitale si terrà lontano ancora.
Questo non vuol dire che per tutto il giorno il quartier generale berlusconiano non abbia interagito con quello di Bersani. Anzi.
Verdini e Migliavacca, ormai abituali ambasciatori dai tempi della riforma elettorale (mai nata) si sono assentati a lungo entrambi dalla seduta del Senato, mentre Monti riferiva sui Marò.
Un faccia a faccia tra i tanti, protrattosi nel primo pomeriggio, e che ha fatto circolare con insistenza voci su un possibile spiraglio.
Voci spente poi in serata, con la porta chiusa della nota di Alfano, sintesi del pensiero del Cavaliere dopo il niet definitivo dei democratici a un uomo di centrodestra al Colle.
«La roba dell’uscita dall’aula per dar vita a un governo di maggioranza è roba da Prima Repubblica, non ci interessa» ha rincarato Berlusconi coi dirigenti.
Al massimo disposto ad allargare la rosa dei “papabili” al Quirinale all’ex presidente del Senato Schifani.
Ma non più di quello. Di Bersani e di un suo esecutivo, pur di minoranza, dice di non fidarsi, teme l’«agguato» giudiziario, le condanne e una legge pesante» sul conflitto di interessi.
Dunque, linea dura.
Si sarebbe aspettato che da Largo del Nazareno qualcuno lo chiamasse personalmente, data la delicatezza della situazione e della crisi. Invece, nemmeno quello.
E allora, ripete a questo punto, «così si va dritti al voto a giugno: per noi va bene, siamo pronti più degli altri».
La nomina di Daniela Santanchè quale responsabile dell’organizzazione del partito, al ruolo di vertice che era stato occupato finora dal vicepresidente della Camera Maurizio Lupi, è un chiaro segnale di guerra (elettorale) alle porte.
La fedelissima e super falco del resto rilancia la posizione del capo: «O Bersani fa il presidente del Consiglio e Berlusconi il presidente della Repubblica, o viceversa». Tertium non datur.
No categorico anche a una rosa di nomi per il Quirinale indicata dal Pd, siano pure dei moderati.
Dalla segreteria Alfano vengono bollate come prive di fondamento e frutto di «veleni interni» le voci rincorse per tutto il pomeriggio su un segretario più trattativista e disposto a tenere aperto fino alle prossime ore il canale con Bersani.
Magari intravedendo davvero per sè all’orizzonte la presidenza della Convenzione, la nuova “costituente” proposta e offerta dal premier incaricato: «Mai interessato agli strapuntini, sarebbe pure stata una deminutio» ha ripetuto Alfano parlando in serata coi deputati più amici: «Se avessi ambito a posti di potere, avrei puntato alla presidenza di una delle due Camere».
Certo è che nelle dichiarazioni ufficiali dell’ala moderata del partito non tutto viene considerato perduto.
I contatti proseguiranno anche oggi, prima della salita al Colle di Bersani.
Del resto lo stesso Alfano nella sua nota rimandava ancora al segretario Pd le ultime mosse: «Sta a lui, ora, rovesciare la situazione, se vuole e se può, nell’interesse del paese».
Così il vicecapogruppo alla Camera Mariastella Gelmini, che si appella a un «maggior senso di responsabilità e minore impulsività , che possono essere ingredienti politicamente molto utili in queste ultime ore».
Sul successo del premier incaricato tuttavia in pochi sono disposti a scommettere, non solo ad Arcore ma anche a Roma, in via dell’Umiltà . «La trattativa sulle larghe intese si può aprire con un altro premier incaricato dal presidente», tra un paio di giorni, è una considerazione attribuita ad Alfano da chi è stato con lui ieri. Insomma, se Napolitano tirasse fuori dal cilindro il classico coniglio, allora i giochi potrebbero riaprirsi.
Per un governo «vero», di lunga durata, non balneare.
Per le riforme e non solo.
In fondo è il ragionamento del capogruppo Pdl al Senato Renato Schifani, che spera ancora che la «politica si riappropri del governo del Paese e che sotto la guida del presidente della Repubblica dia corso ad un governo forte, stabile e coeso, frutto del sacrificio di ciascuna forza».
Un esecutivo trasversale ma «politico».
Ma ormai, tra poche ore, tutto tornerà nelle mani del capo dello Stato.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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