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PAPA, BOOKMAKER SPIAZZATI, BERGOGLIO ERA QUOTATO 30 A 1

Marzo 13th, 2013 Riccardo Fucile

LE SCOMMESSE PUNTAVANO SU SCOLA

Bookmaker spiazzati dall’elezione del nuovo Papa. A partire dall’identità  del successore di Benedetto XVI fino alla sua età , i quotisti internazionali (in Italia non si poteva scommettere sul prossimo Pontefice) hanno «toppato» su tutta la linea.
Il favorito dell’ultima ora era Angelo Scola, tanto che nei minuti tra la fumata e l’annuncio la sua quota era crollata da 3,75 a 1,45.
E invece l’ha spuntata Jorge Mario Bergoglio, poco considerato dagli esperti delle scommesse, che, come si legge su Agipronews, lo davano intorno a 30 volte la posta.
Sbagliata, di conseguenza anche la previsione sulla nazionalità : si puntava su un papa italiano, opzione favorita a 1,80, mentre un Sua Santità  sudamericano – il primo Papa extraeuropeo da 1300 anni – era piazzato a 4,00.
E anche riguardo all’età  del Pontefice i pronostici non hanno fatto centro: l’opzione di un Papa con più di 75 anni (Bergoglio ne ha quasi 77) era la più alta in tabellone, a 5 volte la scommessa.
L’unica previsione azzeccata era quella sulle prime parole pronunciate dal nuovo Papa che ha esordito con un classico «Fratelli e Sorelle», offerto a 1,08.
Dopo l’elezione di Papa Francesco I, però, i bookmaker non hanno perso tempo e hanno già  aperto scommesse sul suo destino: il premio Nobel per la Pace è bancato a 15,00, a 4,50 la prima visita in Brasile mentre si gioca a 3,50 che anche lui, come Benedetto XVI, deciderà  di lasciare il Soglio volontariamente.

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NEL 2005 LA SFIDA CON RATZINGER, QUANDO BERGOGLIO DISSE DI NON SENTIRSI PRONTO

Marzo 13th, 2013 Riccardo Fucile

I SEGRETI E I VOTI NELL’ELEZIONE DI BENEDETTO XVI… TUTTO DURO’ 24 ORE

Nella storia dei Conclavi quello del 2005 che elegge Benedetto XVI ha caratteristiche tutte sue che si direbbero «miste», trattandosi di un Conclave con esito a sorpresa nonostante il fatto che elegga il cardinale per il quale era previsto il più alto numero di voti al primo scrutinio.
La sorpresa sta nel fatto che gli osservatori propendevano per ritenere Ratzinger il più votato in partenza, ma difficile a eleggere stante una notevole opposizione al suo nome, che avrebbe potuto attestarsi su un qualche antagonista «minoritario», obbligando a individuare un candidato di compromesso.
L’antagonista in effetti ci fu e fu impersonato – malgrado lui – dall’italo-argentino e gesuita Jorge Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires (sarà  in Conclave anche stavolta e oggi ha 76 anni), che arrivò a raccogliere al terzo scrutinio 40 voti sufficienti a sbarrare la via al decano Ratzinger.
Ma pare che Bergoglio durante la pausa del pranzo abbia scongiurato i propri sostenitori a cessare di votarlo, «non sentendosi pronto all’elezione», e Ratzinger fu eletto al quarto scrutinio con – si dice – 84 voti.
Non ci sono fonti documentali ovviamente, ma le indiscrezioni sull’andamento degli scrutini sono ormai consolidate e attendibili.
Secondo le migliori ricostruzioni i cardinali Ratzinger e Bergoglio sono stati i più votati al primo e all’ultimo scrutinio del Conclave dell’aprile 2005.
L’andamento degli scrutini è stato raccontato dal Tg2 serale del 22 settembre 2005, appena cinque mesi dopo la fumata bianca, sulla base del «diario» di un cardinale elettore restato sconosciuto.
I cardinali sono tenuti al segreto, ma se «parlano» non incorrono nella scomunica che è invece prevista per gli altri partecipanti al Conclave.
E qualcuno che parla c’è sempre
I dati contenuti in quel diario e anticipati da quel telegiornale furono poi pubblicati per esteso dal vaticanista Lucio Brunelli sulla rivista Limes nel fascicolo 4/2005.
Gli elementi portanti della ricostruzione fornita da Brunelli risultano coincidenti con un’indiscrezione fornita tre mesi prima dal superiore della Fraternità  San Pio X Bernard Fellay e sono ora confermati da una nuova ricostruzione fornita tre giorni addietro da lastampa.it .
Il Conclave del 2005 dura 24 ore, dal pomeriggio di lunedì 18 aprile al pomeriggio di martedì 19.
Il primo scrutinio si svolge nel tardo pomeriggio del 18 aprile, subito dopo il giuramento dei cardinali elettori. Ratzinger ottiene 47 voti, Bergoglio 10, Martini 9, Ruini 6, Sodano 4.
C’è un’ampia dispersione su altri nomi. Il quorum è di 77 voti (lo stesso del Conclave che inizierà  martedì) e a Ratzinger ne mancano 30 per essere eletto.
Il «consiglio» apportato dalla notte – che si può immaginare fitta di conciliaboli – fa salire Ratzinger a 65 voti al secondo scrutinio, che si svolge a partire dalle 9,30 del 19 aprile.
I votanti sono 115 e dunque più della metà  dei voti sono andati a lui. Sodano ne ha ancora 4, mentre quelli di Ruini sono andati a Ratzinger e quelli di Martini a Bergoglio, che balza a 35 preferenze.
Il terzo scrutinio vede Ratzinger salire a 72 preferenze: gli mancano cinque voti per essere eletto.
Ma sale anche Bergoglio, che arriva a 40. Fumata nera e pausa pranzo.
È il momento decisivo del Conclave. Ratzinger ha quasi il doppio dei voti di Bergoglio, ma se i sostenitori dell’argentino tengono duro possono impedirne l’elezione.
Più che sulla personalità  del cardinale decano, nota a tutti e da tutti apprezzata, la febbrile consultazione ruota intorno alla timida figura dell’arcivescovo di Buenos Aires e allo spavento che i cardinali elettori gli hanno visto salire in volto con il crescere dei suffragi.
Sono due gli interrogativi su Bergoglio che convincono una parte dei suoi sostenitori a spostarsi su Ratzinger: se lo schivo gesuita argentino viene scelto, accetta l’elezione? E se si va a uno stallo, su chi ci si può spostare?
Il diario dell’anonimo cardinale racconta che con l’aspetto e con i gesti – più che a parole – Bergoglio lasciava intendere, a chi l’avvicinava, che non avrebbe accettato l’elezione.
Inoltre i suoi sostenitori si resero conto ben presto che non avevano un altro nome da proporre, tale da giustificare la resistenza a votare il decano.
E il decano fu votato.
All’ultima votazione Ratzinger ottiene 84 voti: vuol dire che 21 cardinali su 115 non l’hanno votato.
Quelli che non avevano votato Wojtyla nell’ottobre del 1978 erano stati 12 su 111 e quelli che non avevano votato Luciani nell’agosto dello stesso anno erano stati 11 su 111: dunque Ratzinger non ebbe la maggioranza plebiscitaria dei suoi predecessori.
La migliore tra le ricostruzioni di quel Conclave, prima di questa del collega Brunelli, era venuta da una fonte insospettabile: il vescovo tradizionalista Bernard Fellay, superiore della lefebvriana Fraternità  San Pio X, che in una conferenza del giugno precedente aveva descritto così il primo scrutinio: «Una cinquantina di cardinali diedero il voto al cardinale Ratzinger, una ventina al cardinale Martini e altrettanti al cardinale Bergoglio, il cardinale Sodano ne ha avuti quattro».
L’indisponibilità  di Bergoglio all’elezione, Fellay l’ha raccontata così: «Il cardinale Bergoglio si impaurì, o comunque si rese conto che avrebbe potuto anche essere eletto e, non sentendosi pronto per un tale compito, si ritirò».
Nella sostanza i dati forniti dal «diario» anonimo, quelli di Fellay e quelli del sito lastampa.it , coincidono.
Le tre ricostruzioni rendono comprensibile la battuta del cardinale belga Godfried Danneels (che è ancora tra gli elettori) all’uscita dal Conclave: «L’elezione del cardinale Ratzinger ha dimostrato che non era ancora il momento per un Papa latinoamericano».

Luigi Accattoli

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BERGOGLIO, IL PAPA DEL POPOLO CHE VIAGGIA IN METROPOLITANA

Marzo 13th, 2013 Riccardo Fucile

NON HA NE’ AUTISTA, NE’ MACCHINE BLU… I SUOI PREDILETTI SONO QUELLI CHE LAVORANO NELLE “VILLAS MISERIAS”, LE BARACCOPOLI DELLA CAPITALE ARGENTINA

Il nuovo Papa, l’argentino Jorge Mario Bergoglio, gesuita, 76 anni era stato il cardinale più votato dopo Ratzinger già  all’ultimo conclave.
Bergoglio è stato un porporato anomalo. Ha sempre rifiutato incarichi nella Curia romana, e in Vaticano è sempre venuto soltanto quando era proprio indispensabile. Fra i vizi degli uomini di Chiesa quello che meno sopporta è la «mondanità  spirituale»: carrierismo ecclesiastico travestito da ricercatezza per le forme clericali. Nato a Buenos Aires, la città  di cui diventerà  arcivescovo, il 17 dicembre 1936, da una famiglia di origini piemontesi, si è diplomato come tecnico chimico, quindi è entrato nel noviziato della Compagnia di Gesù, ha compiuto studi umanistici in Cile e quindi in Argentina ha conseguito la laurea in filosofia e successivamente in teologia.
Ha fatto il professore e il rettore del collegio massimo e delle Facoltà  di Filosofia e Teologia e al contempo parroco del Patriarca San Josè, nella diocesi di San Miguel. Nel 1986 ha completato in Germania la sua tesi di dottorato, quindi i superiori lo hanno destinato alla chiesa dei gesuiti di Cordoba come direttore spirituale e confessore.
Nel 1992 Giovanni Paolo II l’ha nominato vescovo ausiliare di Buenos Aires, nel 1997 è diventato coadiutore e un anno dopo è succeduto al cardinale Antonio Quarracino, per sei anni, fino al 2011 è stato presidente della Conferenza episcopale argentina.
Non ha nè autista nè macchine blu. A Buenos Aires usa la metropolitana. Anche a Roma si muove a piedi o con i mezzi pubblici.
Chi lo conosce lo considera un vero uomo di Dio: la prima cosa che ti chiede, sempre, è di pregare per lui.
Il nuvo Papa, nelle congregazioni pre-conclave aveva parlato di un cristianesimo della misericordia e della letizia.
I suoi preti prediletti sono quelli che lavorano nelle «villas miserias», le baraccopoli della capitale argentina.
Senza scantonamenti dottrinali, cerca ogni soluzione possibile per far sentire a casa loro, nella comunità  cristiana, anche i più lontani.
La Chiesa, ripete, deve mostrare il volto della misericordia di Dio.

Andrea Tornielli
(da “la Stampa”)

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PD, QUANTO CI COSTI. VELENI E QUERELE SUL “DOSSIER RENZI”

Marzo 13th, 2013 Riccardo Fucile

I CONTI DEL NAZARENO NELLE MANI DEL SINDACO DI FIRENZE

Lo scoop alla fine l’ha fatto Dagospia .
Il “dossier Renzi” sui costi del proprio partito, il Pd, è in rete di mezza mattina, con nomi, cognomi e cifre più o meno sbagliate.
Lavoratori delle segreterie, impiegati arrivati dalla storia interrotta dei Ds e della Margherita, livelli retributivi i più vari.
Una due diligence con tanti “credo” e tanti “forse”, ma che ha la capacità  di creare un certo malumore al Nazareno e una prima reazione del tesoriere democratico Antonio Misiani: “Più che un dossier, il documento pubblicato da Dagospia è una patacca che contiene una quantità  di informazioni errate e di cifre campate per aria”.
Nessuno in giornata chiarisce ufficialmente quali siano quegli errori, ed anche il dibattito che solleva all’interno dei Democratici sulla opportunità  di pubblicare o meno un rendiconto completo (senza nomi) di ruoli e stipendi percepiti dai circa 190 assunti nella articolazione centrale del partito, non sortisce risultati apprezzabili. L’unica notizia resta quindi Misiani che attacca: “La cosa inaccettabile è che questa squallida operazione — la cui strumentalità  è evidente — chiama in causa persone che lavorano e che meritano rispetto. Per questo, ho dato mandato ai legali di mettere in atto tutte le azioni necessarie in sede civile e penale contro gli autori di questo squallido dossier”.
Tra i nomi citati nel documento c’è anche quello di Chiara Geloni.
La direttrice di You- Dem, è scritto, riceverebbe 90 mila euro l’anno (non è chiarito se netti o lordi) più altri 20 mila di un’ulteriore consulenza.
Su Twitte r è lei a rintuzzare, perdendo anche l’aplomb, alle richieste di chiarimento che piovono da ogni dove.
“Cosa devo spiegare scusa? che mi pagano per venire in ufficio la mattina e lavorare? pensavi lo facessi gratis?”.
E ancora: “Ma cosa vuoi che facciamo? Lavoriamo. Io faccio il direttore di YouDem , una segretaria fa la segretaria”.
Alla deputata Pina Picierno che scrive “partito come casa di vetro significa anche rendere pubblici compensi di dirigenti e dipendenti.
Così si evitano dossier e notizie false”, si accende: “Perchè non anche la cartella clinica, elenco degli ex fidanzati e la panoramica dentaria? meglio andare sul sicuro”. Da par loro Matteo Orfini e Rosy Bindi annunciano querele.
Orfini, però, scagiona il sindaco “anche perchè come tutti i dirigenti del Pd ha accesso ai documenti del partito quindi non avrebbe mai scritto delle cose così false”.
Matteo Renzi si tiene alla larga dal documento ormai in rete, e continua a dichiarare sul tema dell’abolizione del finanziamento pubblico: “Non so se abolire il finanziamento serva a far pace con Grillo; sicuramente serve a far pace con gli italiani che hanno votato un referendum e che anche alle elezioni ci hanno dato un segnale”. Online, frattanto, i dipendenti del Pd continuano a trovare errori.
Luca Di Bartolomei, del forum Sicurezza, pubblica la propria busta paga (leggermente superiore al dato di 2.000 euro al mese denunciato nel dossier).
Valentino Filippetti scherza: “Il mio stipendio nella notte è cresciuto del 33%…”.

Eduardo Di Blasi
(da “il Fatto Quotidiano“)

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IL PDL ORA VUOLE IL QUIRINALE: “RIVENDICARLO E’ UN DIRITTO”

Marzo 13th, 2013 Riccardo Fucile

BERLUSCONI: “BASTA CON I CANDIDATI DI SINISTRA”

Si scrive rivendicazione del Quirinale, si legge panico da Prodi.
Silvio Berlusconi sta per lasciare il San Raffaele: salvo sorprese lo farà  domattina, per continuare la terapia da Arcore, disertando comunque l’insediamento delle Camere di venerdì.
Ma anche dal letto della clinica ieri si è già  proiettato sulla battaglia campale, quella che più gli preme, quella che più teme e che si è già  aperta: il Quirinale.
Il sospetto del leader Pdl è che il Pd abbia già  messo un cappello sulla poltrona del Colle. E la figura di Romano Prodi si staglia nei suoi incubi come uno spettro, racconta chi lo ha frequentato anche in clinica in questi giorni.
Il Cavaliere torna sulle ricostruzioni con cui ieri i giornali (Repubblica in particolare) gli hanno attribuito la disponibilità  a sostenere candidati trasversali, da Amato a D’Alema. La nega: «Per il Quirinale, il centrodestra non ha bisogno di chiedere a nessuno, e tanto meno alla sinistra, candidati in prestito – scrive – perchè dopo tanti presidenti di un solo colore, ha invece diritto a rivendicare un candidato diverso e di altra estrazione». Berlusconi un candidato di bandiera ce l’ha e su quello, va ripetendo, punterà  da subito. Si tratta di Gianni Letta, braccio destro di sempre che ieri è stato visto all’ingresso di Palazzo Chigi ancora occupato da Monti.
Tutto è in movimento, si tratta su più tavoli. Ecco perchè sembra che anche ieri, a margine del colloquio al Colle, Alfano, Cicchitto e Gasparri abbiano lasciato trapelare con discrezione la loro disponibilità  a confermare al suo posto proprio Napolitano (per nulla intenzionato).
Fosse pure per uno o due anni.
In via dell’Umiltà  non fanno più mistero di sentirsi garantiti da lui – tanto più dopo la nota post Csm di ieri sera – più che da tanti altri.
E vivono come fumo negli occhi il rischio che il Pd tenti di temporeggiare sulla formazione del governo fino al 15 aprile, quando inizieranno le votazioni per il nuovo presidente della Repubblica.
E poter contare così su una sponda più «flessibile ». L’attacco di Berlusconi a Bersani, non a caso, è frontale. «Il centrosinistra è ormai diviso su tutto.
Non meraviglia la vera e propria guerra scatenata intorno al governo e alla presidenza delle Camere con l’obiettivo di sempre: il Quirinale – si legge ancora nella nota – Ma che qualcuno, per combattere questa guerra, faccia ricorso al centrodestra per farsene scudo, è addirittura grottesco ».
Il Cavaliere parla di «lotte di potere» e di «manovre meschine e strumentali» in seno al Pd. Sullo sfondo, c’è la paura di essere tagliati fuori dai giochi. Coi processi e con la spartizione delle cariche parlamentari tra Bersani e Grillo.
La lunga e animata riunione dei dirigenti Pdl in via dell’Umiltà  del pomeriggio non ha sciolto il nodo sui capigruppo.
Quasi scontato il ritorno di Renato Schifani alla guida della squadra al Senato.
Si trasforma in un caso invece la successione a Cicchitto alla Camera.
Berlusconi avrebbe designato Renato Brunetta.
Peccato che quasi l’80 per cento dei deputati abbia notificato in privato al segretario Alfano il proprio “no”, motivato con le «asprezze caratteriali » dell’ex ministro.
Se dovessero spuntarla loro, Maurizio Lupi (molto più vicino al segretario) diventerebbe capogruppo.

Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)

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SPUNTA IL PIANO B DEL GOVERNO ISTITUZIONALE E IL CAVALIERE VUOLE RIENTRARE IN PARTITA

Marzo 13th, 2013 Riccardo Fucile

L’INCARICO A UN PRESIDENTE DEL SENATO TARGATO PD SE BERSANI FALLISCE

C’è di nuovo l’ombra di un governo del Presidente a oscurare il pallido tentativo di Bersani di formare una maggioranza con i Cinquestelle.
«Strada in salita», ha ammesso lo stesso segretario del Pd, preso a pesci in faccia ogni giorno da Beppe Grillo.
Così rimbalza tra i palazzi romani una possibile via d’uscita, che sarebbe stata esaminata in recenti conversazioni anche al Colle.
Se l’incarico esplorativo a Bersani dovesse sgretolarsi di fronte al muro di incomunicabilità  eretto dai grillini, il “piano B” potrebbe essere gestito dallo stesso Napolitano, inizialmente rassegnato a lasciare al suo successore il compito di individuare un nuovo presidente del Consiglio.
L’incarico sarebbe invece essere affidato al presidente di uno dei due rami del Parlamento, possibilmente il Senato, per dar vita a un «governo istituzionale».
Già , ma con i voti di chi?
Nel Pd – nonostante la sceneggiata sudamericana dei berlusconiani al palazzo di Giustizia di Milano – si sta facendo strada la consapevolezza che una qualche forma di collaborazione vada trovata con il Cavaliere.
Senza intavolare trattative segrete, ma chiedendo il voto in Parlamento «a tutti, senza preclusioni».
Nella convinzione che convenga anche al Pdl assicurare la partenza di un «governo istituzionale» uscendo dall’isolamento politico in cui si è avvitato il centrodestra.
A largo del Nazareno in molti stanno svolgendo questi ragionamenti.
Anche per non lasciare che l’unica alternativa siano le elezioni anticipate, asfaltando in questo modo un’autostrada senza caselli per Matteo Renzi.
È così che lettiani e franceschiniani si stanno silenziosamente rassegnando all’idea di un governo sostenuto, magari all’esterno, dal Pdl. Un governo che nasca con il voto di Pd e Scelta Civica, il “no” dei grillini e l’uscita dall’aula del Pdl.
Guidato da Anna Finocchiaro, che sarebbe prima eletta presidente di palazzo Madama per poi traslocare a Palazzo Chigi.
Il segnale più esplicito è venuto lunedì da Francesco Boccia, vicino a Enrico Letta, che all’assemblea dei neoparlamentari di fatto ha impiombato il dialogo con i cinquestelle: «Noi che nella nostra storia abbiamo De Gasperi, Moro e Berlinguer, non possiamo inseguire nessuno, nemmeno Grillo e Casaleggio.
Venendo qui qualche collega mi ha detto che ci possono essere convergenze con il M5S. E su cosa? Sul referendum sull’euro?».
A questa strategia l’atteggiamento di benevola comprensione tenuto ieri da Napolitano verso il Cavaliere offre senza dubbia una sponda politica.
Il presidente della Repubblica ha definito «comprensibile» la preoccupazione del Pdl «di veder garantito che il suo leader possa partecipare adeguatamente alla complessa fase politico-istituzionale già  in pieno svolgimento, che si proietterà  fino alla seconda metà  del prossimo mese di aprile».
È come se il capo dello Stato abbia voluto dare una mano al Pdl per rientrare in partita, aiutandolo a uscire dal vicolo cieco della protesta eversiva contro la magistratura.
In cambio Berlusconi dovrebbe dimostrare di aver capito, rinunciando alla manifestazione contro i pm del 23 marzo.
E i segnali che arrivano da via dell’Umiltà  vanno appunto in questo senso, visto che la protesta di piazza, su consiglio di Gianni Letta, potrebbe trasformarsi in un innocuo convegno sulla riforma della giustizia.
La partita del governo è legata strettamente, se non altro per problemi di calendario, con quella della presidenze delle Camere.
La strategia del Pd di apertura a tutto campo comporta anche un tentativo di “parlamentarizzazione” del fenomeno M5S.
A questo serviva l’incontro di ieri al Senato tra i tre sherpa del Pd e i (diciotto!) parlamentari grillini. «I Cinquestelle – racconta Luigi Zanda – hanno preso atto che il Pd non intende accaparrarsi tutte le cariche, ma procedere con un metodo più… proporzionale».
In sostanza il Pd potrebbe cedere la presidenza di Montecitorio, quella ambita dai grillini (la giovanissima Marta Grande in pole position), contando sulla maggioranza bulgara comunque assicurata dal premio di maggioranza.
Al Senato invece andrebbe un esponente Pd, pronto a essere chiamato da Napolitano per formare il «governo istituzionale».
E il nome è, appunto, quello di Anna Finocchiaro.
Incassata la fiducia, ci sarebbe una staffetta tra Senato e Palazzo Chigi e Mario Monti chiuderebbe il cerchio diventando il numero uno di palazzo Madama.
Il “Great game” delle presidenze comprende, ovviamente, anche la più importante, quella della Repubblica.
Per evitare di ritrovarsi tagliato fuori da tutto, con Romano Prodi al Quirinale, il Cavaliere ha iniziato a far circolare l’idea di gettare tra i piedi dei democratici la candidatura di Amato o D’Alema per scompaginare i giochi.
E la nota di ieri in cui rivendicava il diritto del centrodestra ad avere un proprio capo dello Stato, raccontano nel Pdl, va letta correttamente come un modo per alzare la posta e sedersi al tavolo delle decisioni.
Insomma, Berlusconi sa che al quarto scrutinio una maggioranza ostile potrebbe mandare sul Colle Prodi, ma spera ancora di poter evitare il danno maggiore. In questa partita di certo sarebbe un grande aiuto per il Cavaliere partecipare da subito a un’intesa sul governo.
Senza entrarci direttamente, ma facendo in modo che il Senato sia in numero legale il giorno del voto di fiducia al «governo istituzionale».

Francesco Bei
(da “La Repubblica“)

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NELLO STATUTO M5S GRILLO AFFERMA CHE ” GLI ELETTI NON HANNO VINCOLO DI MANDATO”, L’OPPOSTO DI QUANTO HA SOSTENUTO DIECI GIORNI FA

Marzo 13th, 2013 Riccardo Fucile

DEMOCRAZIA PARTECIPATA? SI’, CON UN CONSIGLIO DIRETTIVO COMPOSTO DA LUI, SUO NIPOTE E IL SUO COMMERCIALISTA… E’ L’ASSEMBLEA ENTRO APRILE COME MAI NON E’ STATA ANCORA FISSATA?

Dal cappello a cilindro di Grillo è spuntato a sorpresa lo statuto dei 5 stelle (pubblicato da l’Huffington Post).
Nell’atto costitutivo dell’ «Associazione Movimento 5 stelle», depositato il 18 dicembre scorso presso il notaio D’Amore di Cogoleto (Genova), si legge che Beppe Grillo è il presidente, suo nipote Enrico Grillo il vicepresidente e segretario è il commercialista Enrico Maria Nadasi.
L’atto costitutivo e lo statuto spiegano che il titolare del simbolo dei cinque stelle e del blog beppegrillo.it è l’ex comico.
L’obiettivo del movimento, si legge, «è la convivenza armoniosa tra gli uomini, attraverso lo sviluppo del talento e delle capacità  personali dell’individuo».
I valori fondanti sono «libertà , uguaglianza, dignità , solidarietà , fratellanza e rispetto». Tutti indicati in grassetto.
Ma nel testo, si legge anche che «gli eletti eserciteranno le loro funzioni senza vincolo di mandato».
Proprio quell’articolo 67 della Costituzione che Grillo ha recentemente demolito sul suo blog parlando di «circonvenzione di elettore».
Nello statuto si legge anche che, come tutte le associazioni, anche i 5 stelle hanno un’assemblea, da convocare almeno una volta l’anno entro il mese di aprile, e un consiglio direttivo, composto da Grillo, dal nipote e dal commercialista.
Peccato che nessuno ne sappia nulla.

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LA PRESA PER IL CULO: DOPO TANTI DISCORSI SUL “NON STATUTO” ORA SI SCOPRE CHE LO STATUTO DEL M5S GRILLO L’HA REGISTRATO IL 18 DICEMBRE

Marzo 13th, 2013 Riccardo Fucile

UNO VALE UNO, MA GRILLO, IL NIPOTE E COMMERCIALISTA VALGONO DI PIU’…”HUFFINGTONPOST” PUBBLICA IL DOCUMENTO, SCONCERTO NELLA BASE: MAI STATA AVVISATA… E’ LA DEMOCRAZIA PARTECIPATA DI GRILLO

Non esiste soltanto un non statuto a regolare la vita de Movimento Cinque Stelle. Esiste, come per tutti gli altri partiti, anche uno statuto vero e proprio.
Così come un atto costitutivo. Con un’appendice importante.
Beppe Grillo non è solo il megafono del Movimento, ne è anche il presidente.
Suo nipote Enrico, invece, è socio fondatore e vice presidente di M5S. Il commercialista Enrico Maria Nadasi, è il segretario.
Per capire di cosa si tratta, bisogna fare un viaggio fino a Cogoleto, vicino Genova, dove davanti al notaio Filippo D’Amore, il 18 dicembre scorso Beppe Grillo, suo nipote Enrico e Nadasi, hanno formalmente costituito l’associazione “Movimento Cinque Stelle”.
Un passaggio necessario, probabilmente, anche per poter presentare liste alle elezioni e per poter avere accesso ai contributi pubblici (per poi poter ufficialmente rinunciare), ma il documento in possesso dell’Huffington Post, è interessante anche per altre ragioni.
L’atto costitutivo e lo statuto, per esempio, spiegano oltre ogni ragionevole dubbio, che il titolare del simbolo dei cinque stelle e del blog beppegrillo.it è l’ex comico genovese. “Spettano quindi al signor Giuseppe Grillo”, si legge, “titolarità , gestione e tutela del contrassegno; titolarità  e gestione della pagina del blog”.
L’obiettivo del movimento, spiega l’atto costitutivo, “è la convivenza armoniosa tra gli uomini, attraverso lo sviluppo del talento e delle capacità  personali dell’individuo, che deve trovare piena possibilità  di cogliere tutte le opportunità  realizzabili all’interno della società  civile, nel rispetto delle regole istituite dallo Stato nella sua fondazione”.
I valori fondanti del movimento, spiega lo Statuto, sono libertà , uguaglianza, dignità , solidarietà , fratellanza e rispetto.
Tutti indicati in grassetto.
Interessante anche il passaggio successivo, quello in cui si dice che “lo Stato deve limitare il corpo delle leggi che ne regolano il funzionamento a quegli ambiti di intervento propri della tutela e salvaguardia degli interessi della collettività  e dei diritti della persona”. Sembra quasi un’ampia apertura ai precetti del liberalismo economico.
La rete, come era normale aspettarsi, ha un ruolo fondamentale per il Movimento. M5S vuole determinare la politica nazionale “mediante la presentazione alle elezioni di candidati e liste di candidati indicati secondo le procedure di diretta partecipazione attuate attraverso la rete internet”.
Interessante anche il fatto che Grillo ha specificato nello statuto che “gli eletti eserciteranno le loro funzioni senza vincolo di mandato”.
A questo precetto costituzionale l’ex comico non crede molto, ma nonostante tutto ha dovuto inserirlo nell’atto costituente del suo movimento.
Ovviamente il Movimento, come tutte le associazioni, ha un’Assemblea, che va convocata almeno una volta l’anno entro il mese di aprile.
Questo significa che a breve il comico dovrebbe tenerla. Poi c’è un consiglio direttivo e un presidente. Che, per ora, sono sempre Grillo, il nipote e il commercialista.
Che, come detto, sono rispettivamente presidente, vice e segretario.
Non compare invece nello statuto il nome di Gianroberto Casaleggio.
Inoltre i tre hanno la qualifica di soci fondatori, mentre gli altri soci, quelli ordinari, vengono ammessi solo dopo la presentazione di una domanda che deve essere approvata dal consiglio direttivo stesso (Grillo, Grillo jr e Nadasi).

Andrea.Bassi@huffingtonpost.it

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L’EDITTO DI PONZIO PILATO

Marzo 13th, 2013 Riccardo Fucile

L’ESTORSIONE DEL PDL HA FUNZIONATO: LA LEGGE E’ UGUALE PER TUTTI, MA PER QUALCUNO ANCHE DI PIU’

L’estorsione del Pdl ha funzionato. Il presidente della Repubblica (ancora per poco) ha diramato ieri l’ennesimo monito (si spera l’ultimo) e ancora una volta (si spera l’ultima) ha posto sullo stesso piano i magistrati aggrediti e i politici aggressori.
Come se indagini e processi fossero guerre per bande fra magistrati e imputati.
Dopo aver ricevuto il presunto leader del Pdl a poche ore dalla radunata sediziosa al Tribunale di Milano anzichè tenerlo fuori della porta, Napolitano ha pilatescamente espresso “rammarico per la manifestazione senza precedenti del Pdl”, ma subito dopo si è appellato “al comune senso di responsabilità ”.
Comune nel senso che anche i magistrati dovrebbero essere più “responsabili” per propiziare un “immediato cambiamento di clima”.
Escludendo che ce l’abbia con i meteorologi o con le avverse condizioni climatiche, resta da capire come i magistrati potrebbero migliorare il clima col partito del leader più imputato della storia: evitando le visite fiscali per verificare i legittimi impedimenti di un tizio che da vent’anni fugge dalla giustizia?
Evitando di condannarlo se lo ritengono colpevole?
Evitando di indagarlo se compra senatori un tanto al chilo?
Dopo l’incredibile udienza concessa al capomanipolo, il capo dello Stato gli ha offerto una sponda istituzionale convocando d’urgenza il Consiglio di presidenza del Csm, come se indagini e processi, avviati da anni o da mesi e sospesi per la campagna elettorale, fossero eventi inattesi o eccezionali tali da giustificare iniziative estreme. Non contento, al termine del summit, il Presidente ha emanato un supermonito cerchiobottista pieno di miele per la banda del buco.
Un colpo al cerchio: “È comprensibile la preoccupazione dello schieramento che è risultato secondo nelle elezioni, di veder garantito che il suo leader possa partecipare alla complessa fase politico-istituzionale già  in pieno svolgimento, che si proietterà  fino alla seconda metà  del prossimo mese di aprile…”.
E uno alla botte: “…anche se non è da prendersi nemmeno in considerazione l’aberrante ipotesi di manovre tendenti a mettere fuori giuoco — ‘per via giudiziaria’ come con inammissibile sospetto si tende ad affermare — uno dei protagonisti del confronto democratico e parlamentare”.
Dunque inquirenti e inquisiti, guardie e ladri, si mettano d’accordo: “evitare tensioni destabilizzanti per il sistema democratico”, “ristabilire un clima corretto e costruttivo nei rapporti tra giustizia e politica”, perchè “i protagonisti e le istanze rappresentative della politica e della giustizia non possono percepirsi ed esprimersi come mondi ostili, guidati dal sospetto reciproco, anzichè uniti in una comune responsabilità  istituzionale”.
Ecco: se l’ex senatore De Gregorio confessa di aver ricevuto da B. 3 milioni (di cui 2 in nero) per tradire i suoi elettori e passare da sinistra a destra, i magistrati non devono sospettare di B., ma anzi unirsi a lui nella “comune responsabilità  istituzionale”, per non apparirgli “ostili” e instaurare con lui “un clima corretto e costruttivo”, evitando “tensioni destabilizzanti”, altrimenti il suo partito, che è “risultato secondo nelle elezioni” (fosse risultato terzo o quarto le cose cambierebbero), potrebbe nutrire la “comprensibile preoccupazione” che il leader venga escluso dalla “complessa fase politico-istituzionale” eccetera.
C’è addirittura il rischio che un corruttore di senatori non possa diventare il prossimo presidente del Senato o della Repubblica.
Il che, riconosciamolo, sarebbe una bella perdita.
Ps. Siccome “è comprensibile la preoccupazione dello schieramento che è risultato secondo nelle elezioni, di veder garantito che il suo leader possa partecipare alla complessa fase” eccetera, B. potrà  inventarsi legittimi impedimenti a manetta di qui ad aprile per scampare alle sentenze. E i membri della giunta per le elezioni del Senato dovranno ben guardarsi dal dichiarare ineleggibile B. ai sensi della legge 361/1957, anche se è ineleggibile da sempre.
Insomma, siamo in buone mani (ancora per poco).

Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano“)

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