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ADDIO A ENZO JANNACCI, CANTORE DEGLI ULTIMI

Marzo 29th, 2013 Riccardo Fucile

IL CANTAUTORE SI E’ SPENTO A MILANO ALL’ETA’ DI 77 ANNI… DA TEMPO ERA MALATO

Si è spento Enzo Jannacci cantautore, cabarettista, attore e cardiologo italiano, tra i maggiori protagonisti della scena musicale italiana del dopoguerra.
LA LUNGA MALATTIA
Jannacci aveva 77 anni ed era da tempo malato di cancro. Il cantautore è morto alla clinica Columbus.
Dopo gli inizi della carriera negli anni Cinquanta, Jannacci da jazzista ha suonato con i più grandi tra cui Chet Baker .
Dopo i primi 45 giri incisi con Gaber, debutta come solista con canzoni quali «L’ombrello di mio fratello» e «Il cane con i capelli».
Ma a farlo conoscere al grande pubblico nel 1968 è «Vengo anch’io. No, tu no».
DALLA MEDICINA AL JAZZ
Jannacci era nato a Milano.
Il padre di origine pugliese da parte di padre. Il nonno, Vincenzo era emigrato a Milano da Bari poco prima dello scoppio del primo conflitto mondiale, ed il padre di Jannacci nasce già  a Milano.
Il padre di Enzo era ufficiale dell’aeronautica e lavora all’aeroporto Forlanini citato in «El portava i scarp del tennis».
La madre era invece lombarda.
Dopo la maturità  classica, Jannacci si laurea in medicina all’Università  degli Studi di Milano, specializzandosi in chirurgia generale ed esercitando la professione di medico chirurgo per alcuni anni.
Nel frattempo però inizia la carriera di musicista: dopo il diploma in armonia ed otto anni di pianoforte al Conservatorio di Milano, si accosta al jazz e comincia a suonare in alcuni locali milanesi.
I POVERI E MILANO
Enzo Jannacci è stato una figura dalla forza dirompente nella storia della musica italiana, perchè è riuscito, pur nella sua milanesità , a portare un linguaggio nuovo, surreale, all’interno della canzone nazionalpopolare.
E anche dal punto di vista musicale, ha contribuito a svecchiare la proposta allora dominante.
Il suo repertorio entra di diritto all’interno del canzoniere italiano del secondo dopoguerra.
Ha cantato i poveri, gli ultimi, gli emarginati, ha cantato soprattutto la sua amata Milano.

(da “il Corriere della Sera”)

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PRENDE FORMA IL PIANO B E A SORPRESA SPUNTA IL CANTO DEL GALLO

Marzo 29th, 2013 Riccardo Fucile

IL PRESIDENTE DELLA CONSULTA SAREBBE UNA FIGURA IDEALE PER RIFORMARE

La revoca del pre-incarico a Pier Luigi Bersani apre la strada ad un incarico pieno che il Capo dello Stato conferirà  al termine del nuovo giro di consultazioni che avrà  inizio questa mattina.
È per questo motivo che da ieri sera nel Palazzo è ripartito il tam-tam delle voci e delle indiscrezioni sui papabili, sui possibili incaricati a guidare il primo governo post-elettorale.
Voci flebili e senza gran fondamento per una ragione paradossale: l’incarico di formare un governo sarà  conferito molto celermente, ma a Napolitano mancano ancora gli ultimi elementi per una scelta ponderata.
La prima questione che il Capo dello Stato dovrà  risolvere riguarda la forza della pregiudiziale del Pdl sul prossimo inquilino del Quirinale: è vero o no che Berlusconi è disposto a votare candidati alla presidenza della Repubblica soltanto di provenienza di centro-destra?
È vero o no che, una volta risolta questa querelle, per il Pdl un premier vale l’altro?
E dunque, anche Bersani?
Soltanto al termine del nuovo giro di consultazioni, il Capo dello Stato sarà  in grado di avere tutti gli elementi per poter calibrare l’incarico.
Anche se gli eventi degli ultimi giorni e il riaccendersi di focolai speculativi hanno risollevato le quotazioni di personalità  come Fabrizio Saccomanni e Giuliano Amato, mentre per un governo di breve durata (riforma elettorale, misure essenziali per l’economia, elezioni in ottobre) ha preso quota l’ipotesi di una figura di assoluta garanzia come quella del Presidente della Corte Costituzionale Franco Gallo.
Si sono invece ristretti i margini per un incaricato di area Pd.
Nelle ultime settimane, dopo il risultato incerto delle elezioni e attendendo le determinazioni dei principali partiti, il Capo dello Stato nella più assoluta riservatezza ha studiato profili, scenari, immaginato soluzioni.
Per non farsi trovare impreparato nella malaugurata ipotesi che le esplorazioni degli incaricati si concludessero con un nulla di fatto.
In una prima fase è stata valutata l’ipotesi di un premier di forte caratura economica e di prestigio internazionale – il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco – ma una catena di controindicazioni hanno rapidamente indotto a cercare nuove strade.
Nelle settimane scorse, al Quirinale hanno preso in considerazione anche un’ipotesi molto spiazzante, rimasta copertissima, la ulteriore prova della fantasia politica del Capo dello Stato: quella del presidente dell’Anci Graziano Delrio.
Sindaco di Reggio Emilia (provincia nella quale il Pd ha ottenuto la percentuale più alta d’Italia), cattolico, padre di 9 figli, medico internazionale, eletto da una maggioranza bipartisan alla presidenza dell’Anci (gestita con un piglio indipendente apprezzato dai sindaci di centrodestra), Delrio è un personaggio nuovo, estraneo alla «vecchia politica» ma con un profilo istituzionale e, avendo parteggiato per Renzi alle Primarie Pd, anche una personalità  che – vista con gli occhi degli ex Ds – capace di garantire un’alternativa al sindaco di Firenze.
Ma negli ultimi giorni il riaccendersi di segnali speculativi hanno preoccupato il Capo dello Stato, riportando i riflettori su personalità  capaci di «parlare» ai mercati, anche nel caso di un governo di breve durata.
Ecco perchè è riaffiorato il nome di Fabrizio Barca, ministro alla Coesione nel governo Monti. Cinquantotto anni, ex Fgci, laurea in Scienze Statistiche a Roma, master (vero) a Cambridge, una carriera in Banca d’Italia interrotta dalla chiamata di Carlo Azeglio Ciampi al Tesoro, «Barca potrebbe essere un Prodi numero due», ha detto di lui Angelo Rovati, uno dei migliori amici dell’ex premier.
Ma una serie di motivi, interni ed internazionali, e l’impossibilità  di «provocare» il Pd, nelle ultime ore sembrano riavvicinare la candidatura di Fabrizio Saccomanni, direttore della Banca d’Italia, di cui è stato per anni lo sherpa nei grandi summit internazionali, una grande conoscenza del mondo finanziario.
Ma ieri sera è rientrato a Roma da Ansedonia, dove si trovava, Giuliano Amato, di cui tutti – in Italia e all’estero – conoscono l’esperienza politica, la cultura giuridica ed economica.
Anche se l’apprezzamento internazionale gioca a favore pure di una personalità  poco citata nel toto-premier di questi giorni: Emma Bonino.
Una radicale amica del Pd ma che nel 1995 è stata indicata da Berlusconi per la Commissione europea.

Fabio Martini
(da “La Stampa“)

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IL SENATORE CINQUESTELLE VA DALLA D’URSO, ORA RISCHIA L’ESPULSIONE

Marzo 29th, 2013 Riccardo Fucile

MARINO MASTRANGELI NON RESISTE ALL’INVITO A POMERIGGIO 5, A NULLA SONO VALSI I TENTATIVI DI DISSUADERLO

Barbara D’Urso ospita un esponente 5 Stelle a Pomeriggio Cinque.
E scoppia un altro caso che potrebbe sfociare in una nuova espulsione dal Movimento, come era successo alla consigliera del Comune di Bologna Federica Salsi.
Dopo Matteo De Vita, attivista che, come ha spiegato Grillo, “si arroga il diritto di parlare a nome di un movimento al quale non appartiene se non virtualmente”, è il senatore Marino Mastrangeli che finisce al centro delle polemiche, perchè accusato dai colleghi di aver contravvenuto alla regola del codice di comportamento che stabilisce che i parlamentari devono “evitare la partecipazione ai talk show televisivi”.
Anche perchè pesa ‘l’aggravante’ di aver già  una volta deciso in contrasto con il gruppo, quando è stato tra i ‘dissidenti’ che hanno votato per Pietro Grasso alla presidenza del Senato.
Il senatore frusinate, che nel fascione di Pomeriggio 5 diventa ‘Mastrangelo’, si fa intervistare da Barbara D’Urso senza il contraddittorio con gli altri ospiti politici della trasmissione.
“Da solo”, forse per eludere il veto di Beppe Grillo sui talk show, tradotto in una norma del regolamento degli eletti 5 Stelle.
Ma non basta a risparmiargli disapprovazione e possibili grane.
Al Senato dell’intervista non se sanno niente: l’ufficio comunicazione e lo stesso Vito Crimi vengono informati a cose fatte.
Volano urla.
A nulla valgono gli ultimi tentativi di dissuaderlo dal partecipare.
I deputati, l’area più dura dei 5 Stelle, si riuniscono alla Camera e guardano in tv la “performance” del senatore.
Il giudizio è durissimo: “Lo sapevamo che avremmo avuto anche noi i nostri Scilipoti”, commenta un deputato.
Mastrangeli spiega in tv di aver chiesto e ottenuto di essere intervistato da solo, senza altri politici in studio, per non creare l’effetto talk show.
Formalmente, dunque, nessuna violazione delle regole, sembra sostenere, mentre esprime parole di elogio per Gianroberto Casaleggio (“Un genio politico”) e parla del taglio degli stipendi dei parlamentari.
Poi, alla D’Urso che gli chiede se abbia chiesto un permesso per la sua partecipazione televisiva, risponde: “Non devo mica chiedere il permesso a qualcuno? Siamo tutti cittadini liberi”.
Tornerà  dunque in trasmissione?, chiede la conduttrice.
“Se gentilmente mi invitano, io gentilmente vado”.
Alla fine Daniela Santanchè compare in studio e chiede se possa fare una domanda: “No — risponde Mastrangeli — Se vuole ci vediamo in Parlamento”.
Ma l’effetto è sgradevole, per i parlamentari 5 Stelle.
Che non possono non notare cosa succede nello studio Mediaset quando finisce l’intervista a Mastrangeli.
Inizia il talk show e la pidiellina Santanchè chiosa divertita di essere felice della partecipazione del senatore grillino alla trasmissione: “Sicuramente ha fatto perdere voti al movimento”.
C’è chi tra i parlamentari ammette di essere d’accordo.

(da “il Fatto Quotidiano“)

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LA LINEA BERLUSCONI RESTA LA GRANDE COALIZIONE O LE URNE

Marzo 29th, 2013 Riccardo Fucile

“VA BENE ANCHE BERSANI, MA CHE SIA UN GOVERNO POLITICO DI LARGHE INTESE”

Al Colle questa volta sale lui, con Napolitano va a parlare di persona, non è più tempo di ambasciatori. «Il mio è un gesto di rispetto, staremo a sentire le condizioni, ma sappiate che a questo punto se nulla cambia noi puntiamo dritti al voto» racconta Silvio Berlusconi ai capigruppo Pdl e ad Alfano preannunciando a sorpresa il suo arrivo a Roma questa mattina per varcare con loro il portone del Quirinale.
Cantano vittoria, i berlusconiani, dicono che Bersani si è cacciato «in un vicolo cieco».
In realtà  è il Cavaliere ad aver preso atto che ormai la battaglia per il successore di Giorgio Napolitano è persa: il Pd non ha ceduto, nè lui nè Gianni Letta potranno aspirare alla carica più alta.
E allora se anche l’ultima trincea è perduta, se le garanzie di salvaguardia saltano, non vale più la pena tenere in vita un qualsiasi governo.
A febbraio, l’eventuale, temuta condanna definitiva Mediaset, col suo carico esplosivo dell’interdizione dai pubblici uffici, lo spazzerà  via, in assenza di un suo uomo al Colle.
Oppure, è il suo ragionamento di Berlusconi, se lui stesso non sederà  di nuovo a Palazzo Chigi.
L’unica chance insomma è giocarsi il tutto per tutto tentando il colpaccio alle urne, forte di sondaggi col segno più: riconquistare la maggioranza e il governo presto, subito, ora.
Parecchi i dirigenti Pdl che hanno martellato il centralino di Arcore per chiedere lumi, in un giovedì sera di incertezza e fibrillazione.
Dal capo dello Stato il Cavaliere dice a tutti di attendersi stamattina una moral suasion di un certo vigore, tra lo spread tornato a salire e i mercati che da martedì rischiano di travolgerci.
Berlusconi arriva a dire ai suoi interlocutori che «su una cosa Vendola ha ragione: se le cose non cambiano, la gente ci rincorrerà  per strada».
E allora, preannuncia allo stato maggiore del partito che «se ci verranno offerte le condizioni dettate da Bersani, ebbene, per noi restano improponibili».
E il riferimento è al cosiddetto «doppio binario» proposto dal Pd: un’intesa trasversale sulle riforme, per consentire però la nascita di un governo di centrosinistra. Nulla da fare. Capitolo chiuso, per i pidiellini.
Dunque? «Diremo che siamo pronti a sostenere Bersani, anche un governo guidato da loro, a patto che il presidente della Repubblica sia nostro: da ventuno anni è espressione del centrosinistra, non è più tollerabile. Non vogliono me? Allora Gianni Letta. Non vogliono Letta? Ci indichino pure loro tre esponenti del nostro schieramento» è stato il ragionamento del capo al telefono, che sa tanto di provocazione.
C’è tuttavia una subordinata importante che potrebbe ancora sbloccare la situazione, nella crisi vista dal Cavaliere.
L’ex premier intende ripetere al capo dello Stato la disponibilità  a sostenere un governo di larghe intese, di «concordia nazionale».
Nel Pdl, lasciano già  trapelare che nomi quali quello del direttore generale di Bankitalia Fabrizio Saccomanni o del ministro degli Interni Annamaria Cancellieri non sarebbero affatto sgraditi.
A una condizione, appunto. «Che Napolitano resti al suo posto»: Il Cavaliere conta di tornare alla carica proprio oggi, di persona, sulla conferma del presidente della Repubblica.
«Anche a tempo, anche solo per due anni» è il suo ragionamento.
Forte del convincimento che il Pd a quel punto non potrebbe rifiutare, puntare su altro, tirar fuori dal cilindro Prodi, Marini o altri uomini di area, piuttosto invisi a Palazzo Grazioli.
Perchè resta il Quirinale, il fortino da espugnare, nell’ottica berlusconiana.
Ma fa già  tremare in queste ore la prospettiva più «cupa», da destra: il rischio che, saltato ogni accordo, ogni intesa, una maggioranza Pd-M5s elegga il 15 aprile un capo dello Stato per nulla di garanzia, per l’articolato mondo degli interessi berlusconiani. E allora, per loro, meglio elezioni, piazza, nuova campagna.
Il Pdl terrà  la linea della fermezza, questa mattina.
Il pressing per l’esecutivo di «concordia nazionale» resta alto.
Purchè sia politico, non certo tecnico.
Con gli uomini di Berlusconi nei posti chiave.
Giustizia, in primo luogo.
Silvio Berlusconi, al termine dell’incontro con Napolitano ha ribadito la posizione del Pdl: “Siamo disponbili a governo con Pd, Lega e Monti”, ha detto il Cavaliere.
In caso di accordo per un goverissimo al Pdl “va bene la candidatura di Bersani come ci vanno bene anche altre candidature del Pd”.
”Un governo politico”, ha scandito Silvio Berlusconi rispondendo ai giornalisti dopo il colloquio con il Capo dello Stato, ribadendo il no del Pdl a un governo tecnico.
”Basta con i tecnici – ha insistito -. La nostra posizione rimane quella, solo quella che esce dalle urne: un governo di larghe intese tra forze disponibili, deve essere un governo politico, vista l’esperienza tragica del governo tecnico”.
Poi ha precisato che non c’è stata alcuna proposta per quanto riguarda il Quirinale.

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GRILLO, OBIETTIVO RAGGIUNTO: CENTRODESTRA IN TESTA, PDL PRIMO PARTITO

Marzo 29th, 2013 Riccardo Fucile

SONDAGGIO SWG: PDL 26,2%, PD 26%, M5S 24,8%… CASALEGGIO E’ RIUSCITO A RIESUMARE LA SALMA, I POTERI FORTI APPLAUDONO

Secondo il sondaggio elaborato per Agorà  di Rai Tre, il partito di Berlusconi sale di due punti in una settimana e diventa il primo nelle intenzioni di voto con il 26,2 percento di consensi.
Anche Bersani in lieve flessione, mentre Grillo perde oltre il 2 percento
A più di un mese dalle elezioni e al termine del primo giro di consultazioni “non risolutivo”, l’unico partito a guadagnarci è il Pdl.
La linea prezzolata di Grillo punisce i 5 Stelle, che scivolano per la prima volta sotto la soglia raggiunta alle elezioni di febbraio e si collocano al terzo posto.
Secondo il Pd, ma anche i democratici sono in lieve flessione.
E’ quanto emerge da un sondaggio realizzato dall’Istituto Swg in esclusiva per Agorà , su Rai Tre, che ha anche verificato l’opinione degli italiani sui ‘no’ opposti dal partito di Grillo alle proposte di governo.
Il partito di Silvio Berlusconi sale di due punti in una settimana e diventa il primo nelle intenzioni di voto con il 26,2 percento di consensi.
Scende invece dello 0,4 Pier Luigi Bersani, al secondo posto con il 26 percento.
In forte calo il Movimento 5 Stelle (-2,1%), che perde il suo primato e scivola in terza posizione con il 24,8 percento, per la prima volta sotto la soglia raggiunta alle elezioni di febbraio.
Secondo il 60% degli intervistati, questo comportamento farà  perdere voti al M5S.
Di opinione diametralmente opposta una uguale percentuale di elettori del movimento, che invece ritengono che questa posizione di chiusura allargherà  i consensi.
Queste le intenzioni di voto con, tra parentesi, la variazione percentuale rispetto alle elezioni del 24-25 febbraio: Lega Nord 4,3% (+0,2), Fratelli d’Italia 1,0% (-1,0), La Destra 0,6% (= ).
E il totale del centrodestra è al 32,5% (+3,3).
Con Sel, il centrosinistra arriva a 29,6 (-0,1),
Scelta Civica 6,8% (-2,0), Udc 1,9% (+0,2), Fli 0,5% (=)
Rivoluzione Civile 1,0% (-1,3), Fare 1,1% (= ).
Il partito del ‘non voto’ è al 37,0%, gli indecisi al 25,0% e gli astenuti il 12,0%.

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QUEL NO AL GOVERNO DEL PRESIDENTE, L’UTIMA SFIDA DI BERSANI

Marzo 29th, 2013 Riccardo Fucile

AL COLLE DICE: DA NOI APPOGGIO ESTERNO…E NEL PD RENZI E’ DI NUOVO IN CAMPO

Pier Luigi Bersani tenta di giocarsi le ultime carte al tavolo della presidenza del Consiglio. Il segretario del Partito democratico va al Quirinale e non sfugge al confronto con l’inquilino del Colle.
Nè rinuncia a giocare duro: «Non c’è un altro tentativo oltre il mio, non esiste un governo che prenda più voti di quanti ne possa prendere io. Noi non possiamo fare compromessi obbligati: il nostro elettorato ci guarderebbe malissimo. Faremmo un regalo a Grillo e anche a Berlusconi».
Poi, per perorare la sua causa il segretario del Pd spiega: «Non è possibile che chi ha perso le elezioni possa indicare il candidato alla presidenza della Repubblica».
Quindi Bersani lascia intravedere uno spiraglio a Napolitano: «Maroni mi ha detto che preferisce me a un tecnico, perchè dice che so quello che si deve fare…».
A onor del vero, però, non sono queste le parole che hanno mosso Giorgio Napolitano a un supplemento d’indagine.
È stato un altro discorso quello che ha colpito il capo dello Stato, che non pensava di trovarsi di fronte un Bersani così poco propenso a gettare la spugna di fronte all’evidenza: «Se vuoi fare il governo del Presidente, sappi che noi possiamo al massimo garantirti un appoggio esterno. Nel senso che lo faremo nascere ma non lo sosterremo in nessun modo e ogni volta che ci capiterà  di dover votargli contro lo faremo senza problemi».
Al Pd raccontano che dopo le parole di Bersani il presidente della Repubblica si sia inquietato.
Già , perchè sempre a largo del Nazareno giurano e rigiurano che il patto tra il capo dello Stato e il segretario era chiaro: tu provi a formare un governo, ma se non ci riesci sai che non si va alle elezioni, bensì a un esecutivo di scopo che mandi in porto poche fondamentali cose: riforma della legge elettorale, revisione radicale del finanziamento pubblico dei partiti, riduzione dell’Imu, legge di stabilità .
È su questo patto che è nato il tentativo Bersani.
Ma ora il segretario del Partito democratico ha spinto più in là  la frontiera del confronto: «Io sono pronto ad andare in Parlamento a cercarmi la maggioranza nelle aule sugli otto punti del mio programma. Se tu pensi che non si possa andare così, mi devi dimostrare che c’è una maggioranza alternativa: a quel punto io mi farò da parte»
Ma mentre il segretario gioca la sua partita per palazzo Chigi, nel partito si è aperta la corsa alla premiership prossima futura.
In aprile verrà  convocata una direzione straordinaria, cui spetterà  il compito di indire le procedure per il congresso del Pd che si terrà  in autunno.
A quel punto Matteo Renzi dovrà  rettificare la sua road map.
Lui non avrebbe voluto incrociare la sua rincorsa a quella interna al Pd.
La sua idea era quella di giocarsi la partita per la premiership evitando quella per la segreteria. Ora diventerà  più difficile tenersi lontano da quella tenzone.
Renzi lo sa e prepara le contromosse con un unico punto fisso: «Non mi farò mai cooptare da quelli».
Quelli sono lì, che lo aspettano. Alcuni speranzosi di coinvolgerlo e di mettersi dietro di lui per evitare l’ondata grillina. Non a caso ogni giorni il sindaco di Firenze parla con Enrico Letta, Dario Franceschini e Vasco Errani.
Ossia con gli esponenti che in questi giorni stanno seguendo da vicino le trattative di Bersani. Errani poi è uno dei membri del cosiddetto “tortello magico”, ossia del circolo degli emiliani di cui il segretario si fida ciecamente.
Comunque il sindaco rottamatore sta scaldando i motori per riavviare la sua campagna elettorale.
In questi giorni, lontano dalle luci dei riflettori e dai microfoni dei cronisti, Renzi ha incontrato sia Massimo Zedda, sindaco Sel di Cagliari, che il primo cittadino di Napoli Luigi de Magistris.
Formalmente incontri tra colleghi, in realtà  colloqui che servono a Renzi per rafforzarsi sul fianco sinistro, quello che è risultato il più debole nelle primarie combattute contro Bersani.
Il sindaco rottamatore sa che è a sinistra che gli mancano ancora i consensi, come sa che in quel mondo stanno pensando a una candidatura alternativa a lui: quella della presidente della camera Laura Boldrini o del primo cittadino di Milano Giuliano Pisapia.

Maria Teresa Meli
(da “il Corriere della Sera“)

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OGGI I NOMI CINQUESTELLE DA FARE AL QUIRINALE: “MA CHI LI HA SCELTI?”

Marzo 29th, 2013 Riccardo Fucile

AVREBBERO DOVUTO SCATURIRE DALL’ ASSEMBLEA DEI PARLAMENTARI, NON DALLE SEGRETE STANZE “GRILLO-CASALEGGIO”

“Nomi? Ma quali nomi! noi non abbiamo votato niente!”.
Da Nord a Sud, deputati e senatori si domandano che cosa stia succedendo.
Oggi alle 16 i Cinque Stelle sono riconvocati al Quirinale, secondo giro di consultazioni, e a Napolitano porteranno la loro rosa di nomi per la guida di palazzo Chigi.
Dovrebbero essere i soliti noti: Gustavo Zagrebelsky, Salvatore Settis, forse Stefano Rodotà . Ma la lista è top secret.
Talmente tanto, che nemmeno gli eletti la conoscono. È qui che si scatena la caccia grossa: come è possibile che il Movimento che si riunisce su tutto, non abbia discusso in maniera ufficiale della formazione da proporre al Colle?
Qualcuno potrebbe dire che è mancato il tempo, che solo ieri Napolitano li ha richiamati al Quirinale.
Eppure non era un’ipotesi difficile da immaginare.
Nel frattempo, però, sono tutti partiti, perfino Vito Crimi ha dovuto annullare il biglietto per casa che aveva già  in tasca.
“Possiamo essere convocati e incontrarci in qualsiasi momento — dice Roberto Fico, deputato napoletano — Molti di noi restano a Roma e gli altri ci mettono poco a tornare”.
Ma è evidente che non è così.
La lista esiste già ? è la domanda dei cronisti a Fico: “No comment”, ripete due volte, quando gli fanno notare che in gergo il silenzio equivale a un sì.
Per la prima volta, i parlamentari Cinque Stelle si sentono tagliati fuori.
E la sensazione che un gruppo ristretto stia portando avanti la partita grossa, non è piacevole da digerire.
“Non è il nostro metodo”, dice un senatore. “Sarebbe gravissimo”, aggiunge un altro.
Oggi, comunque, a gestire la patata bollente dovrebbe arrivare Beppe Grillo in persona. Qualcuno sostiene sia arrivato a Roma già  ieri sera, ma le notizie sulla partenza da Marina di Bibbona (dove il leader era arrivato due giorni fa) sono confuse e depistate: dalla villa sul mare è uscito incappucciato il custode, tre macchine hanno varcato il cancello e se su una ci fosse Beppe, non si sa.
Di certo, c’è solo una telefonata.
È quella con cui i senatori, martedì, l’hanno raggiunto dopo le consultazioni con Bersani.
La racconta Paola Nugnes su Facebook: “Credo sia giusto che le vostre cose le discutiate tra voi”, avrebbe detto Grillo stando al racconto della senatrice. Chi c’era, però, ricorda che il leader ha aggiunto altre parole: “Tenete duro, restate compatti, nessuna fiducia a Gargamella, vi vogliono fottere”.
Di telefonate, ieri, ce ne sono state molte.
Una, piuttosto lunga tra Claudio Messora e Gianroberto Casaleggio.
Ufficialmente, hanno continuato a discutere della piattaforma che deve servire alla comunicazione tra gli eletti (due giorni fa, 4 deputati sono andati a Milano per incontrarlo), segno che il filo diretto con il guru non si è mai interrotto .
La settimana prossima — tra sabato o domenica, in Toscana o in Abruzzo — si terrà  il “summit” a un mese dalle elezioni: gli eletti incontreranno i fondatori del Movimento per fare il punto su questi primi burrascosi trenta giorni di legislatura.
Si parlerà  anche dei dissidi interni, caso Lombardi compreso.
Ieri, la capogruppo che ha creato malumori per la sua gestione troppo autoritaria dei deputati, si è presentata in assemblea piuttosto abbattuta: “Mi sono svegliata malissimo. Le cose che ho letto mi hanno dato molto fastidio. Parlate chiaro, se volete che mi dimetta ditelo”.
Sulla faccenda, per il momento, pare si sia steso un velo.
Ma ogni giorno ce n’è una.
Ieri è toccato alla romagnola Giulia Sarti — che già  nei giorni scorsi, insieme a una ventina di colleghi aveva proposto di votare i nomi da proporre al Colle — polemizzare con la nomina del bolognese ‘Nik il nero’, alias Nicola Virzì, ultimo ingresso nello staff della comunicazione.
Tutto è rimasto nel chiuso delle stanze: come spiega la deputata Federica Daga la web cam “l’abbiamo dimenticata”.
Che aggiunge: “Devo portarmela pure in bagno? Se non facciamo lo streaming scrivete che manchiamo di trasparenza, ma siete fuori?”.
Di video, ieri se n’è fatto uno: sottofondo di Lucio Battisti, i Cinque Stelle cantano : “Siamo pronti, Presidente, siamo pronti per governare. Perchè no? Ci metta alla prova, signor Presidente. Non chiuda la porta, noi siamo pronti”.
Grillo, almeno fino a oggi alle 16, pensa ad un’altra soluzione: “Non è necessario un governo per una nuova legge elettorale o per avviare misure urgenti per le pmi o per i tagli delle Province”.
Il Parlamento è sovrano, dice, “si può fare”.

Paolo Zanca

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MA DOVE SONO I CANDIDATI PREMIER DEI CINQUESTELLE?

Marzo 29th, 2013 Riccardo Fucile

SI PREPARA L’INCONTRO CON COLLE, IN CRISI LA LINEA DEL MOVIMENTO

Due assemblee passate a parlare di disegni di legge e interrogazioni da presentare.
Le valigie pronte per tornare a casa, qualcuno è già  partito, perchè Pasqua è Pasqua, «non ci fermiamo da tre settimane».
E però, la notizia che arriva in Transatlantico alle sette e mezzo della sera cambia tutti i piani. Il congelamento dell’incarico a Bersani, le nuove consultazioni del presidente Napolitano, mettono in crisi la linea del Movimento 5 Stelle.
Mercoledì sera, nella riunione che è seguita ai lavori d’aula, la romagnola Giulia Sarti ha alzato la mano timidamente e ha chiesto: «Perchè non cominciamo a fare i nomi di un governo a 5 stelle? Se Bersani non ce la fa, rischiamo di farci trovare impreparati ». Una ventina erano con lei. Gli altri no.
Così — almeno ufficialmente — non se n’è parlato.
Le mosse del presidente della Repubblica però rimettono tutto in gioco.
Vito Crimi annulla il ritorno a Brescia. Al Senato i pochi rimasti restano riuniti fino a tardi.
Ci si vedrà  ancora stamattina, prima di incontrare il presidente. E lì, i nomi verranno fuori.
Riportare i 20 punti di programma non ha senso.
Stavolta bisogna avere in mano qualcosa di concreto.
«Se il capo dello Stato ci proponesse Rodotà ? O Zagrebelsky? Perchè dovremmo dire di no?», chiede più di un parlamentare. È davanti a questo scenario, che le truppe grilline rischiano di spaccarsi. È per questo, che i capigruppo in queste ore si affannano a trovare una linea che possa andar bene anche a chi non vuole continuare a dire solo no. «Si potrebbe fare un governo di scopo con 5 o 6 punti, così si tornerà  ad elezioni avendo fatto qualcosa», dice un senatore, che pure è già  in viaggio verso casa.
La rosa però è tenuta segreta. «Se facciamo i nomi prima del tempo rischiamo di bruciarli», ragiona Massimo Artini, che il giorno prima è stato a Milano da Casaleggio per parlare della piattaforma informatica, degli strumenti di cui i parlamentari hanno bisogno per coordinarsi meglio.
E del modo in cui verrà  scelto il candidato alla presidenza della Repubblica: il sistema è quasi pronto, a decidere sarà  la base, potranno votare gli iscritti al portale che hanno mandato i documenti digitalizzati, come alle parlamentarie.
In tutto questo, aleggia l’arrivo di Beppe Grillo.
Già  ieri una voce impazzita lo dava in partenza dalla villa al mare di Marina di Bibbona alla volta di Roma. «Potrebbe arrivare per le consultazioni », «Andrà  con Vito e Roberta al Quirinale», dicono i boatos. Crimi nega via sms: «Grillo non ci sarà ».
Quel che è certo, è che pochi giorni fa ha telefonato ai senatori riuniti per dire loro: «Tenete duro. Nessuna fiducia a Gargamella ( alias Bersani). Non votate nessuno sennò qui ci fregano. Bisogna restare compatti».
E che il suo incontro con tutti i parlamentari era previsto per giovedì 4 o sabato 6 aprile, a ridosso della visita che tutti quanti faranno all’Aquila il 5, nell’anniversario del terremoto.
Che non sia così facile tenere insieme il monolite a 5 stelle lo dimostra l’episodio del senatore Marino Mastrangeli, di Frosinone, già  noto alle cronache grilline per aver votato la fiducia a Piero Grasso in quanto «ex poliziotto», ospite ieri di Barbara d’Urso a Pomeriggio5.
Un deputato della sua stessa città  guarda sconfortato il telefonino: «Ecco, dalla base mi stanno già  massacrando». Altri ironizzano: «Fermi tutti, parla lo statista».
Ma anche: «Sapevamo che avremmo avuto anche noi qualche Scilipoti».
Le regole di Beppe Grillo vietano i talk show, il senatore ha chiesto di essere intervistato da solo — senza contraddittorio con gli altri politici in studio — ma potrebbe non bastargli per evitare provvedimenti.
Al Senato sanno dell’intervista solo a cose fatte, dall’ufficio di comunicazione parte un tentativo di dissuasione che va a vuoto. Volano urla.
Più di uno mormora: «Per me quello è fuori».

Annalisa Cuzzocrea
(da “la Repubblica“)

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BERSANI CONGELATO, NAPOLITANO IN CAMPO

Marzo 29th, 2013 Riccardo Fucile

OGGI UN NUOVO GIRO DI CONSULTAZIONI LAMPO

Napolitano si rimette al lavoro: «Se è vero che Berlusconi rifiuta l’accordo perchè vuole farsi eleggere al Quirinale, me lo deve dire chiaramente».
Parte da qui il terzo giro di consultazioni della nuova legislatura.
Per trovare finalmente una via d’uscita, anche con quella che il capo dello Stato, ieri sera, definiva «una soluzione repubblicana ».
Un ultimo sforzo, spiegavano gli uomini del Presidente, per verificare se lo stallo sul nome di Bersani può essere superato «o si deve passare ad altre scelte».
Ovvero trovare un nome alternativo. Il confronto nello Studio alla Vetrata ieri sera non è stato semplice. Nonostante i toni pacati, Bersani e Napolitano sono rimasti sulle rispettive posizioni.
Con il presidente a ribadire l’impossibilità  di mandare un governo di minoranza davanti alle Camere e il leader del Pd a sottolineare l’esito delle elezioni.
Confuso sì ma con la certezza dei numeri alla Camera: «Un governo contro il Pd non si può fare».
Il nodo rimane il rapporto col Pdl.
Il premier incaricato ha fatto l’elenco di tutte le «proposte indecenti» presentate dagli ambasciatori del Cavaliere. Come lo scambio «irricevibile» palazzo Chigi-Quirinale: «Berlusconi per il Colle propone solo due nomi: il suo o quello di Gianni Letta». Niente Pera o Schifani, «il Cavaliere pensa solo a se stesso o al suo braccio destro».
E proprio la verifica di questa condizione sarà  stamane al centro del colloquio che Napolitano avrà  con la delegazione del centrodestra.
«Voglio accertare se è davvero questa l’ultima parola del Pdl». Perchè evidentemente anche al Quirinale quel diktat viene considerato non in linea con lo spirito di condivisione necessario a scegliere il prossimo capo dello Stato.
Bersani dunque non molla, si definisce semplicemente «congelato».
Prima della salita al Quirinale, solo i suoi fedelissimi hanno potuto parlare con lui. Telefonino spento per tutti gli altri. Chiuso negli uffici dell’Arel, il think tank fondato da Nino Andreatta a un passo dalla sua abitazione romana, con Vasco Errani, Enrico Letta, Miro Fiammenghi e Maurizio Migliavacca, il segretario ha fatto il punto sulla trattativa con il Cavaliere.
Registrando la distanza e preparandosi a un esito non positivo: «Sembra quasi che Berlusconi abbia in mente soltanto il voto, altrimenti non si capirebbe perchè rifiuta tutte le nostre offerte. Ogni altra soluzione per lui sarà  più onerosa».
Nel Pd infatti, nel caso non ci fosse alcun accordo, sono determinati ad andare avanti da soli per la partita più importante: la successione a Napolitano.
I numeri parlano chiaro.
Il centrosinistra dispone di 480 grandi elettori su un quorum a maggioranza semplice di 505. Basta poco.
E anche sui provvedimenti su cui Grillo ha sfidato il Pd — dalla cancellazione della legge Gasparri al conflitto di interessi, fino all’ineleggibilità  di Berlusconi — i democratici fanno sapere di considerarsi «con le mani libere».
Insomma Berlusconi, mandando a gambe all’aria Bersani, rischia di trovarsi con un capo dello Stato «alla Scalfaro» e vittima di maggioranze variabili centrosinistra-cinquestelle.
Nel Partito democratico per ora il «congelamento » del segretario nel ruolo di presidente incaricato impedisce al tappo di saltare e nessuna voce si alza in contro tendenza.
Così Bersani tiene duro, continuando a presentarsi al capo dello Stato come l’unica alternativa allo scioglimento anticipato.
Nel faccia a faccia il leader del Pd lo ha detto a chiare lettere a Napolitano: «Presidente, io mi posso anche fare da parte, ma tutti devono prendere atto della difficoltà  a dar vita a soluzione tecniche alternative».
Insomma, è un no preventivo a un governissimo guidato da un’altra personalità .
«Non si governa contro il Pd — ha ripetuto Bersani noi abbiamo la maggioranza assoluta alla Camera ».
Questa impostazione ha fatto breccia anche nell’analisi del Presidente.
Napolitano al momento deve alzare le mani. Tanto che il nuovo giro di consultazioni sarà  limitato a un ennesimo “stress test” sul nome di Bersani.
Poi il capo dello Stato si prenderà  una notte di riflessione — oggi la Borsa è chiusa e lo resterà  fino a martedì — e solo sabato mattina comunicherà  la sua decisione sul premier incaricato.
Nel caso fosse certificato il fallimento del segretario democratico, Napolitano avvierà  un quarto giro di consultazioni e il nome del prescelto sarà  comunicato soltanto dopo Pasqua.
I tempi quindi si allungano, tanto che l’ex segretario della Dc, Arnaldo Forlani, ieri scherzava con un amico passeggiando vicino a Montecitorio: «Sembra una cosa dei tempi nostri». Ossia, una liturgia da Prima Repubblica.
Chi potrebbe essere il premier che incarna la «soluzione repubblicana» auspicata sul Colle? Quello più a portata di mano è Pietro Grasso, il presidente del Senato, che anche ieri ha insistito sulla necessità  di «dare subito» un governo al paese.
Oltretutto, come fa notare un senatore vicino a Berlusconi, «portare Grasso a palazzo Chigi libererebbe per noi il posto a palazzo Madama».
Nascerebbe un governo del presidente per riformare la legge elettorale e affrontare la crisi economica con alcuni provvedimenti d’urgenza.
Già  si parla della data delle prossime elezioni, da tenersi dopo le europee di maggio 2014.
Ma nel Pd, che si prepara alla sanguinosa resa dei conti del dopo Bersani, si punta piuttosto sul nome di Fabrizio Barca, il ministro più vicino all’ala sinistra del partito, e con le caratteristiche e il curriculum giusti per governare i conti pubblici.
Gli altri due candidati naturali a guidare un governo di scopo sono il direttore generale di Bankitalia, Fabrizio Saccomanni, o Giuliano Amato.
Il Pdl aprirà  su nomi diversi da Bersani. Confermerà  la linea delle larghe intese. Ma oggi, al Quirinale, si capirà  dove vuole davvero arrivare Berlusconi, se la sua prospettiva è il ritorno alle urne a breve.
Sull’onda dei sondaggi che danno sia il Pd che Grillo in calo. Il Cavaliere è convinto di poter strappare il premio di maggioranza a Montecitorio grazie al Porcellum e di avere così le garanzie che cerca per i suoi problemi giudiziari.
Fare da solo, cioè, non fidarsi di nessuno.

Francesco Bei e Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica“)

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