BERSANI CONGELATO, NAPOLITANO IN CAMPO
OGGI UN NUOVO GIRO DI CONSULTAZIONI LAMPO
Napolitano si rimette al lavoro: «Se è vero che Berlusconi rifiuta l’accordo perchè vuole farsi eleggere al Quirinale, me lo deve dire chiaramente».
Parte da qui il terzo giro di consultazioni della nuova legislatura.
Per trovare finalmente una via d’uscita, anche con quella che il capo dello Stato, ieri sera, definiva «una soluzione repubblicana ».
Un ultimo sforzo, spiegavano gli uomini del Presidente, per verificare se lo stallo sul nome di Bersani può essere superato «o si deve passare ad altre scelte».
Ovvero trovare un nome alternativo. Il confronto nello Studio alla Vetrata ieri sera non è stato semplice. Nonostante i toni pacati, Bersani e Napolitano sono rimasti sulle rispettive posizioni.
Con il presidente a ribadire l’impossibilità di mandare un governo di minoranza davanti alle Camere e il leader del Pd a sottolineare l’esito delle elezioni.
Confuso sì ma con la certezza dei numeri alla Camera: «Un governo contro il Pd non si può fare».
Il nodo rimane il rapporto col Pdl.
Il premier incaricato ha fatto l’elenco di tutte le «proposte indecenti» presentate dagli ambasciatori del Cavaliere. Come lo scambio «irricevibile» palazzo Chigi-Quirinale: «Berlusconi per il Colle propone solo due nomi: il suo o quello di Gianni Letta». Niente Pera o Schifani, «il Cavaliere pensa solo a se stesso o al suo braccio destro».
E proprio la verifica di questa condizione sarà stamane al centro del colloquio che Napolitano avrà con la delegazione del centrodestra.
«Voglio accertare se è davvero questa l’ultima parola del Pdl». Perchè evidentemente anche al Quirinale quel diktat viene considerato non in linea con lo spirito di condivisione necessario a scegliere il prossimo capo dello Stato.
Bersani dunque non molla, si definisce semplicemente «congelato».
Prima della salita al Quirinale, solo i suoi fedelissimi hanno potuto parlare con lui. Telefonino spento per tutti gli altri. Chiuso negli uffici dell’Arel, il think tank fondato da Nino Andreatta a un passo dalla sua abitazione romana, con Vasco Errani, Enrico Letta, Miro Fiammenghi e Maurizio Migliavacca, il segretario ha fatto il punto sulla trattativa con il Cavaliere.
Registrando la distanza e preparandosi a un esito non positivo: «Sembra quasi che Berlusconi abbia in mente soltanto il voto, altrimenti non si capirebbe perchè rifiuta tutte le nostre offerte. Ogni altra soluzione per lui sarà più onerosa».
Nel Pd infatti, nel caso non ci fosse alcun accordo, sono determinati ad andare avanti da soli per la partita più importante: la successione a Napolitano.
I numeri parlano chiaro.
Il centrosinistra dispone di 480 grandi elettori su un quorum a maggioranza semplice di 505. Basta poco.
E anche sui provvedimenti su cui Grillo ha sfidato il Pd — dalla cancellazione della legge Gasparri al conflitto di interessi, fino all’ineleggibilità di Berlusconi — i democratici fanno sapere di considerarsi «con le mani libere».
Insomma Berlusconi, mandando a gambe all’aria Bersani, rischia di trovarsi con un capo dello Stato «alla Scalfaro» e vittima di maggioranze variabili centrosinistra-cinquestelle.
Nel Partito democratico per ora il «congelamento » del segretario nel ruolo di presidente incaricato impedisce al tappo di saltare e nessuna voce si alza in contro tendenza.
Così Bersani tiene duro, continuando a presentarsi al capo dello Stato come l’unica alternativa allo scioglimento anticipato.
Nel faccia a faccia il leader del Pd lo ha detto a chiare lettere a Napolitano: «Presidente, io mi posso anche fare da parte, ma tutti devono prendere atto della difficoltà a dar vita a soluzione tecniche alternative».
Insomma, è un no preventivo a un governissimo guidato da un’altra personalità .
«Non si governa contro il Pd — ha ripetuto Bersani noi abbiamo la maggioranza assoluta alla Camera ».
Questa impostazione ha fatto breccia anche nell’analisi del Presidente.
Napolitano al momento deve alzare le mani. Tanto che il nuovo giro di consultazioni sarà limitato a un ennesimo “stress test” sul nome di Bersani.
Poi il capo dello Stato si prenderà una notte di riflessione — oggi la Borsa è chiusa e lo resterà fino a martedì — e solo sabato mattina comunicherà la sua decisione sul premier incaricato.
Nel caso fosse certificato il fallimento del segretario democratico, Napolitano avvierà un quarto giro di consultazioni e il nome del prescelto sarà comunicato soltanto dopo Pasqua.
I tempi quindi si allungano, tanto che l’ex segretario della Dc, Arnaldo Forlani, ieri scherzava con un amico passeggiando vicino a Montecitorio: «Sembra una cosa dei tempi nostri». Ossia, una liturgia da Prima Repubblica.
Chi potrebbe essere il premier che incarna la «soluzione repubblicana» auspicata sul Colle? Quello più a portata di mano è Pietro Grasso, il presidente del Senato, che anche ieri ha insistito sulla necessità di «dare subito» un governo al paese.
Oltretutto, come fa notare un senatore vicino a Berlusconi, «portare Grasso a palazzo Chigi libererebbe per noi il posto a palazzo Madama».
Nascerebbe un governo del presidente per riformare la legge elettorale e affrontare la crisi economica con alcuni provvedimenti d’urgenza.
Già si parla della data delle prossime elezioni, da tenersi dopo le europee di maggio 2014.
Ma nel Pd, che si prepara alla sanguinosa resa dei conti del dopo Bersani, si punta piuttosto sul nome di Fabrizio Barca, il ministro più vicino all’ala sinistra del partito, e con le caratteristiche e il curriculum giusti per governare i conti pubblici.
Gli altri due candidati naturali a guidare un governo di scopo sono il direttore generale di Bankitalia, Fabrizio Saccomanni, o Giuliano Amato.
Il Pdl aprirà su nomi diversi da Bersani. Confermerà la linea delle larghe intese. Ma oggi, al Quirinale, si capirà dove vuole davvero arrivare Berlusconi, se la sua prospettiva è il ritorno alle urne a breve.
Sull’onda dei sondaggi che danno sia il Pd che Grillo in calo. Il Cavaliere è convinto di poter strappare il premio di maggioranza a Montecitorio grazie al Porcellum e di avere così le garanzie che cerca per i suoi problemi giudiziari.
Fare da solo, cioè, non fidarsi di nessuno.
Francesco Bei e Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica“)
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