Marzo 4th, 2013 Riccardo Fucile
CRIMI RACCOGLIE SOLO IL CONSENSO DI 34 SENATORI SU 54, VA PEGGIO ALLA LOMBARDI: 37 SU 109… ALLA FINE EMERGONO 15 CANDIDATI SU 163: UNO OGNI DIECI GIA’ AMBISCE ALLA CARICA
Dopo l’ennesimo depistaggio ad uso dei media (“la conferenza dei capigruppo del M5S non si terrà “), il
presidente “in pectore” dei senatori del Movimento 5 Stelle Vito Crimi, alla fine, incontra la stampa assieme a Roberta Lombardi, indicata capogruppo alla Camera.
E annuncia: “Qualunque proposta alternativa al governo dei partiti, noi la valuteremo”. “Non sta a noi – aggiunge – individuare il governo. Non siamo la coalizione che dice di aver vinto le elezioni e sta a chi dice di aver vinto le elezioni e a Napolitano di individuare un governo”.
Domanda chiave: il M5S voterà “no” o si asterrà sulla fiducia a un ‘governo dei partiti’?
“E’ una valutazione che faranno i gruppi di Camera e Senato nei prossimi giorni. Il Movimento 5 Stelle non ha ancora deciso come eserciterà il suo ‘non voto’ a un eventuale governo Bersani”.
Con Crimi si torna a parlare di governo tecnico, per il quale il M5S “non esclude il sostegno”.
“Vediamolo, prima vediamolo – spiega ancora Crimi -. Se ci viene proposto un governo di tecnici lo considereremo, ma confermiamo il no al governo dei partiti. È per loro che abbiamo fatto una campagna elettorale chiamata tsunami, sono loro i responsabili della situazione del Paese”.
Anche un Monti bis? “Qualunque scelta che sarà fatta da Napolitano, la valuteremo”.
E’ stato proprio Beppe Grillo, presente assieme a Gianroberto Casaleggio al meeting all’Hotel Universo a Roma con i neoeletti del Movimento 5 Stelle, trasmesso in streaming, ad annunciare i due capigruppo “designati” per il primo trimestre: la romana Roberta Lombardi alla Camera e al Senato, appunto, il siciliano Vito Crimi, nato e cresciuto al Brancaccio di Palermo ma eletto in Lombardia.
Entrambi sono stati scelti per alzata di mano, ma i numeri della votazione, rivelati proprio da Crimi, raccontano di una elezione complicata.
Venti senatori del M5S, infatti, non hanno condiviso la designazione di Crimi.
“Ho avuto i voti di 34 aderenti su 54 – racconta lo stesso Crimi in conferenza stampa- mentre alla Camera sono stati 37 su 109 i voti favorevoli a Roberta Lombardi”.
Per la carica di capogruppo a Montecitorio si è presentata “una decina di persone su 100. Per quella di capogruppo al Senato, 5 su 54. E’ la democrazia”.
Diciamo che piuù che la democrazia si potrebbe chiamare anche un po’ di ambizione de parte di molti.
Crimi e Lombardi sono “i primi due capigruppo temporanei, perchè tra le tante regole che ci siamo dati per cambiare la prassi una è quella di individuare i capigruppo pro tempore. Saremo anche portavoce dei gruppi con la stampa”.
Fondi, nessuna gestione Grillo-Casaleggio.
Crimi ha poi affermato che non passerà per Grillo e Casaleggio la gestione dei fondi dei gruppi di Camera e Senato. “La gestione dei fondi sarà ad esclusivo utilizzo dei gruppi. Non saranno gestiti da Grillo e Casaleggio”.
“Non abbiamo fatto richiesta di rimborsi elettorali. Noi non li prendiamo e per noi il discorso è chiuso qui” mette però in chiaro Crimi. “La trasparenza è nel nostro dna – aggiunge Roberta Lombardi – abituatevi a questa nuova modalità di fare politica”.
“Alcuni strumenti, come l’assenza di vincolo di mandato o i rimborsi elettorali, che nascono come garanzia per tutelare la libertà sono diventati strumenti perversi” aggiunge Roberta Lombardi, a cui fa eco Crimi: “Il vincolo di mandato per la Costituzione non esiste per tutelare l’elettore dal cambio di casacca. È un dato di fatto”.
Quanto a Grillo, “non ci ha detto niente di più che un saluto, come si fa tra vecchi amici che si rivedono dopo un po’ di tempo. L’intervento di Beppe è durato massimo 5-10 minuti” spiega ai cronisti Crimi.
A chi gli chiede perchè la prima parte della riunione non sia stata trasmessa in streaming, Crimi risponde: “Anche noi abbiamo diritto a un po’ di riserbo”.
Lombardi diceva: “Via finanziamenti ai giornali”.
Prima delle elezioni , da semplice candidata del M5S, Roberta Lombardi così illustrava le sue priorità : “Le prime cose da fare secondo me sono la legge sul conflitto d’interessi, quella sulla corruzione e una nuova legge elettorale. Inoltre bisogna abolire il finanziamento pubblico ai partiti e ai giornali. Ci vuole una legge per una vera class action, tema di cui mi sono occupata per anni. Ora è in mano alle associazioni di categoria, bisogna restituirla ai cittadini”.
I 109 deputati e i 54 senatori si sono presentati uno a uno: come mi chiamo, da dove vengo, che cosa faccio. Hanno parlato di ambiente, di banda larga, dello stop alla fuga dei cervelli fino al piano energetico nazionale, fino all’impegno di arrivare da Fiumicino al Senato in bicicletta.
Vito Crimi ha 40 anni e fa l’assistente giudiziario alla Corte d’Appello di Brescia. E’ stato il primo degli eletti in Lombardia nelle ‘Parlamentarie’ del Movimento 5 stelle. Roberta Lombardi, romana, 39 anni è laureata in Giurisprudenza.
“Ora lavoro da poco più di 9 anni in un’azienda italiana, anzi romana, che fa arredamento d’interni chiavi in mano per clienti Top Spender (emiri, miliardari vari, oligarchi russi etc etc) in tutto il mondo”, si legge sul suo profilo in rete.
Entrambi resteranno in carica per un trimestre, come previsto dal codice di comportamento del M5S.
Neanche il tempo di capire il meccanismo che già subentreranno altri…Scelta demagogica a uso interno, così si accontentano più persone.
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Marzo 4th, 2013 Riccardo Fucile
DEMOCRATICI DIVISI: IL 40% PUNTA SUI 5 STELLE
Tutti i commentatori sottolineano come il nostro Paese si trovi oggi in una situazione drammatica.
L’esito delle elezioni ha portato a un assetto parlamentare nel quale appare assai difficile, se non impossibile, la formazione di una maggioranza di governo.
Al riguardo sono state ipotizzate negli ultimi giorni diverse alternative, tutte però caratterizzate da molti limiti e difficoltà .
Cosa ne pensano i cittadini? Quali sono le soluzioni più diffuse e apprezzate in questo momento dall’opinione pubblica?
Quest’ultima appare al riguardo assai divisa: un terzo degli italiani pare approvare l’idea di formare un’altra «strana» maggioranza che veda nuovamente il Pd e il Pdl assieme per approvare alcune riforme essenziali e per andare poi a nuove elezioni.
Ma una percentuale simile vede invece con maggior favore un’alleanza più o meno stabile tra il centrosinistra e il Movimento 5 Stelle per cercare, in qualche modo, di governare il Paese. Minore consenso trovano invece le proposte di formare un governo tecnico, capeggiato da una personalità esterna alla politica, ma appoggiato dai maggiori partiti e quella di un governo di minoranza del centrosinistra che, di volta in volta, cerchi degli accordi con gli altri partiti per approvare le leggi.
Naturalmente, queste diverse soluzioni ottengono differente consenso tra gli elettorati dei vari partiti. In particolare, come era facile aspettarsi, i votanti del centrodestra – e quelli del Pdl in particolare – appoggiano (al 72%) la proposta di un esecutivo di unità nazionale che veda il Pd e il Pdl assieme.
Tra l’elettorato del Pd, una maggioranza relativa (40%) appoggia invece l’ipotesi di una alleanza, più o meno organica, tra il centrosinistra e il Movimento 5 Stelle.
Ma una parte non piccola degli elettori del partito di Bersani (27%) preferirebbe invece un governo di minoranza formato principalmente dal loro partito.
Si riconferma dunque l’esistenza di una accentuata pluralità di opinioni (se non di una vera e propria frattura) all’interno del Pd.
Ma è interessante notare come invece l’ipotesi di un diretto coinvolgimento dei 5 Stelle al governo, attraverso la partecipazione del M5S a un esecutivo col Pd sia, tra le alternative proposte, la preferita da una larga parte (70%) dello stesso elettorato grillino.
Ciò potrebbe mostrare un qualche maggior grado di apertura dei votanti per il M5S rispetto al nucleo dei militanti.
Si tratta di un fenomeno peraltro evidenziato da Biorcio e Natale nel loro ultimo saggio sul movimento di Grillo (Politica a 5 stelle, Feltrinelli).
Al tempo stesso ciò potrebbe suggerire la possibilità , indicata da alcuni osservatori, che qualche eletto del movimento si possa, al momento della decisione di appoggiare o meno un governo, far convincere dallo «scouting» che Bersani certamente intraprenderà .
Si tratta però di una mera ipotesi, la cui realizzazione appare in questo momento piuttosto improbabile.
La gran parte degli italiani è infatti convinta che il Movimento 5 Stelle – che ha ribadito anche in questi giorni la propria indisponibilità a partecipare a una alleanza di governo con i partiti tradizionali – non accetterà , almeno in una prima fase, una soluzione del genere.
Tanto che alla domanda sui possibili futuri comportamenti degli eletti grillini, solo il 16% degli intervistati crede che essi acconsentiranno a stipulare un accordo con la coalizione di centrosinistra.
La maggioranza (53%) degli italiani (e i due terzi degli elettori per il M5S) ritiene infatti che gli eletti di Grillo potranno collaborare all’approvazione di alcune riforme importanti, ma che si guarderanno bene dallo stringere alleanza organiche.
Insomma, gli italiani si rendono ben conto dell’impasse in cui siamo finiti.
E rimangono profondamente divisi circa le possibili soluzioni.
Renato Mannehimer
(da “il Corriere della Sera“)
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Marzo 4th, 2013 Riccardo Fucile
INSIEME HANNO PERSO NOVE MILIONI E MEZZO DI ELETTORI
Ammetto di essermi sbagliato.. 
L’ho già scritto alcune volte, di recente, nell’incipit delle mie Mappe, analizzando i cambiamenti politici in atto.
Anche alcuni risultati delle elezioni appena avvenute mi hanno spiazzato.
Ad eccezione di uno — peraltro importante. La prestazione del Centrodestra e del PdL, guidati da Silvio Berlusconi.
Sostengo, infatti, da tempo, che il “berlusconismo” è finito.
Ebbene, almeno su questo non mi sono sbagliato. A dispetto delle letture che parlano di “rimonta” e perfino di “miracolo” di Berlusconi.
Il Pdl e il Centrodestra hanno toccato il punto più basso della loro storia elettorale, che coincide con la biografia della Seconda Repubblica.
Partiamo dai dati (che ricavo dal Dossier Lapolis dell’Università di Urbino).
Il PdL ha ottenuto il 21,6% dei voti validi. Il 23,6% se si considerano anche i “Fratelli d’Italia” (e del PdL).
Circa 14 punti meno delle precedenti elezioni, quando aveva superato il 37%.
Ma 11 punti e mezzo in meno anche rispetto alle europee del 2009.
Quanto alla coalizione, il discorso cambia poco.
Il Centrodestra, guidato da Berlusconi, in questa consultazione, ha ottenuto il 29%. Cioè: quasi 18 punti meno del 2008.
In valori assoluti, la distanza rispetto alle precedenti elezioni appare ancor più eloquente (come ha rilevato puntualmente l’Istituto Cattaneo). Abissale.
Il PdL, infatti, ha subito un calo di 6.300.000 elettori. E si è ridotto a circa metà , rispetto al 2008.
La coalizione di Centrodestra, da parte sua, ha perso oltre 7 milioni sui 17 ottenuti nel 2008. Cioè, oltre 4 elettori su 10.
Un arretramento così pesante ha prodotto conseguenze molto rilevanti e molto evidenti anche sul profilo territoriale.
Basta guardare il posizionamento del PdL che emerge dalla geografia del voto nelle due ultime elezioni.
Nel 2008 era il primo partito in 67 province, il secondo in altre 40.
In pratica, era diffuso in tutta Italia.
Forte, secondo tradizione, nel Nordovest, nel Centrosud e nelle Isole.
Oggi, invece, il PdL è il primo partito in 17 province e il secondo in altre 26.
Insomma, ha rarefatto — ridotto a meno di un terzo — la sua presenza sul territorio nazionale, concentrandola largamente nel Mezzogiorno.
D’altronde, se si ripercorre la parabola del voto del PdL e dei suoi antecedenti, è evidente come queste elezioni segnino il punto più basso del “partito personale” di Berlusconi, in quasi vent’anni di elezioni.
Oggi, infatti, il PdL ha ottenuto pochi consensi più di FI, da sola, all’esordio, nel 1994.
Se questo è un “miracolo”, allora, è lecito attendersi, presto, un nuovo passaggio di Grillo attraverso lo stretto. Ma a piedi. Camminando sulle acque.
Anche la presunta “rimonta” è una leggenda.
Se facciamo riferimento ai (vituperati) sondaggi, il PdL è effettivamente risalito negli ultimi due mesi.
Nel corso del 2012, “abbandonato” da Berlusconi, era sceso al 17% (Demos).
Secondo altri istituti, anche più in basso.
Da dicembre a febbraio, è risalito, fino a superare il 20%. Merito di Berlusconi? Certo. Ma solo perchè senza Berlusconi il PdL non esiste. Non ha “senso”.
Il ritorno del Cavaliere ha permesso al PdL di riallinearsi sul livello precedente alle dimissioni, nel novembre 2011.
Quando il declino del berlusconismo si era già consumato.
Non mi interessa, qui, partecipare alla ricerca dello “sconfitto più sconfitto” degli altri.
Perchè in queste elezioni c’è un solo vincitore: Beppe Grillo insieme al Movimento 5 Stelle.
Tutti gli altri sono stati sconfitti. Per primo, ex aequo con altri, Silvio Berlusconi.
L’uomo-che-rimonta per (de)meriti altrui più che propri.
In effetti, il risultato del PdL e del Centrodestra non si è scostato di molto rispetto alle stime dei sondaggi.
Al massimo 1-2%.
Se Berlusconi ha rischiato il pareggio e perfino il sorpasso è perchè il Centrosinistra e in particolare il PD lo hanno quasi raggiunto.
In discesa. In caduta. È questo il vero miracolo.
Che il PD e il Centrosinistra non siano riusciti a vincere neanche stavolta.
D’altronde, neppure i sondaggi del Cavaliere immaginavano il PD così in basso.
Poco sopra il 25%. Al punto di essere superato dal M5S.
Così il Centrodestra è divenuto competitivo non per la “rimonta” del Cavaliere, ma per la “riSmonta” del PD. Il quale, rispetto al 2008, ha perduto 8 punti percentuali. In termini assoluti: quasi tre milioni e mezzo di voti — il 28% della propria base elettorale precedente.
La leggenda della “rimonta” del Cavaliere, in effetti, mi sembra auto-consolatoria.
Non solo per Berlusconi e il Centrodestra. Ma anzitutto per il PD.
Che ha ceduto pesantemente, quasi di schianto, proprio quando il PdL ha ottenuto il peggiore risultato della sua storia.
Una coincidenza non casuale ma semmai “causale”. Perchè il PD, come osservò Eddy Berselli proprio a commento delle elezioni del 2008, è rimasto un “partito ipotetico”.
Senza una “chiara idea complessiva”. Ha, invece, coltivato con Berlusconi e il PdL un rapporto mimetico.
Fino a diventarne quasi complementare.
Il PD: ha perduto — o almeno: non ha vinto — perchè, in fondo, si è progressivamente berlusconizzato. Per modello organizzativo, immagine, comunicazione.
Senza, peraltro, proporre un leader come Berlusconi. Preferendo, invece, “l’usato sicuro”.
Così Grillo e il M5S hanno sfondato nelle zone rosse, verdi e azzurre.
Insomma, dovunque. Sfruttando la fine del berlusconismo, che ha trascinato con sè anche il PD. Un po’ come nei primi anni Novanta, quando il crollo del muro di Berlino travolse non solo il PCI e i post- comunisti, ma prima ancora la DC e l’anticomunismo.
Il centrosinistra, per ricominciare, non deve guardare gli altri, non deve guardare indietro.
E neppure avanti. Deve guardarsi dentro.
Ilvo Diamanti
(da “La Repubblica“)
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Marzo 4th, 2013 Riccardo Fucile
EMESSA POCO FA LA SENTENZA DAL TRIBUNALE DI NAPOLI… I PM AVEVANO CHIESTO QUATTRO ANNI
L’ex direttore de «L’Avanti» Valter Lavitola è stato condannato a 2 anni e otto mesi per tentata estorsione ai danni di Silvio Berlusconi.
La sentenza è stata emessa dal gup Francesco Cananzi al termine del processo con rito abbreviato.
L’accusa – i pm Vincenzo Piscitelli ed Henry John Woodcock – aveva chiesto 4 anni di reclusione.
LA SENTENZA
La sentenza del Tribunale di Napoli coincide cronologicamente con le rivelazioni dell’ex senatore Sergio De Gregorio, ex sodale di Lavitola, che ha riferito ai pm che fu Silvio Berlusconi attraverso proprio l’ex direttore dell’«Avanti!» a persuaderlo di lasciare la maggioranza del governo guidato da Romano Prodi e passare con la Casa della Libertà .
In cambio di tre milioni di euro.
Per questa vicenda, Berlusconi è indagato per corruzione.
Sul presunto scenario di «compravendita», Lavitola avrebbe premuto sul Cavaliere per ottenere vantaggi economici personali.
Da qui la tentata estorsione.
IL DIFENSORE DI «VALTERINO»
«La decisione del giudice ridimensiona i fatti riconducendoli a limiti molto meno allarmanti rispetto a quelli prospettati dall’accusa», commenta l’avvocato Gaetano Balice, legale di Lavitola.
«L’ipotesi delittuosa – ha aggiunto il difensore – è a mio avviso fantasiosa e priva di qualsiasi ancoraggio con la realtà ».
IL PROCURATORE DI NAPOLI
Sulla condanna di Lavitola per tentata estorsione ai danni di Berlusconi interviene poi il procuratore di Napoli Giovanni Colangelo.
E dichiara: «Non commento mai le sentenze, posso solo dire che ci riteniamo soddisfatti perche’ l’impianto accusatorio e gli atti posti in essere dalla Procura sono stati confermati dalla valutazione di un giudice e non in un provvedimento cautelare bensi’ all’esito di un giudizio. Questo al di la’ delle valutazioni sulle singole posizioni».
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Marzo 4th, 2013 Riccardo Fucile
IL GIORNO DELLA TESTIMONIANZA DELLA PM CHE RICOSTRUISCE LA VICENDA: “NESSUN MAGISTRATO L’AVREBBE MAI AFFIDATA ALLA MINETTI”
“Sospettai che la ragazza facesse la prostituta”. Al processo Ruby è il giorno della testimonianza del pm
Anna Maria Fiorillo, decisiva per l’accusa di concussione per cui è imputato Silvio Berlusconi.
Fiorillo fornisce la sua ricostruzione di quanto accadde la notte tra il 27 e il 28 maggio 2010, quando la ragazza marocchina fu portata in Questura per un furto.
Il pm si è soffermato anche sulle telefonate ricevute dal Commissario Iafrate in quelle ore concitate, affermando di essere rimasta “infastidita” dall’atteggiamento della dirigente della Polizia.
“Quella sera ricevetti numerose telefonate — è il suo racconto — più di quelle poi effettivamente documentate, ma non meno di quattro. Ho viva memoria della prima con l’assistente di polizia Cafaro e di una telefonata col commissario Iafrate. La prima giunse mentre ero a casa di mia madre tra le sette e le nove e mezza. Cafaro mi disse che erano intervenuti in corso Buenos Aires perchè una donna, poi identificata in Caterina Pasquino, aveva incontrato in un centro estetico una ragazza che aveva riconosciuto come autrice di un furto ai suoi danni e, per questo, aveva chiamato la polizia”.
SOSPETTAI CHE FOSSE UNA PROSTITUTA
“Cafaro — prosegue il pm — mi disse che c’erano due versioni. La derubata sosteneva di avere incontrato Ruby in discoteca, di averla ospitata a dormire a casa sua e che lei le aveva rubato tremila euro. La minorenne diceva che era da molto tempo a casa della Pasquino, che le pagava l’affitto e che c’erano stati dei dissensi tra loro due. Cafaro aggiunse che era scappata da una comunità siciliana. La ragazza gli disse che per pagare l’affitto faceva la danza del ventre. Sospettai subito che la ragazza facesse la prostituta e diedi disposizioni per collocarla in comunità e che prima venisse fotosegnalata. Era necessario fare luce anche sulla notizia di reato del furto”.
NIPOTE DI MUBARAK?
“Quando il commissario Iafrate mi disse che la Minetti si offriva di prendere in affido Ruby perchè era la nipote di Mubarak, rimasi incredula e dissi: “Ma se mi avete detto che è marocchina, tutt’al più è la nipote del re del Marocco…“.
Lo ha affermato il pm dei Minori Anna Maria Fiorillo, sentita nel processo Ruby. “Dissi che avrebbero potuto affidarla alla Minetti — è la versione della Fiorillo — solo a due condizioni: che fosse identificata e che ci fossero i documenti chiesti dalla legge per avere titolo a chiedere l’affidamento. Che ci fosse un intervento del Consolato o dell’ambasciata, in mancanza di comunicazioni coi genitori”.
MARONI DISSE IL FALSO
Quando l’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni “andò in Parlamento a dire che la polizia aveva affidato” a Nicole Minetti la minorenne Ruby “secondo le mie disposizioni” riferì “cose non vere”, ha aggiunto il pm Fiorillo sentita come testimone al processo sul caso Ruby a carico di Silvio Berlusconi, parlando del procedimento aperto nei suoi confronti davanti al Csm.
“E’ stato un attacco ala mia onorabilità — ha spiegato il pm — perchè in una situazione simile nessun magistrato avrebbe preso una decisione diversa dalla mia”, cioè la comunità .
NESSUN MAGISTRATO L’AVREBBE AFFIDATA ALLA MINETTI
”Nessun magistrato degno di questo nome” avrebbe affidato la minorenne Ruby alla consigliera Minetti e non a una comunità , ha proseguito Fiorillo. Un’attività , quella tra Fiorillo e gli uomini della Questura, “meramente orale”, ossia “conversazioni telefoniche”, poi “non ho più avuto visione degli atti che arrivarono molto dopo”, cioè a giugno.
“Non mi sono mai occupata dei procedimenti che riguardano la minore, nè dell’affidamento del procedimento penale. Io risposi solo al telefono e diedi delle disposizioni”.
Quella sera Fiorillo diede “disposizioni che la minore fosse affidata a una comunità ”, ma ricorda anche che nelle due telefonate con la Iafrate che “lei parlava come se svolgesse un monologo, avevo difficoltà a inserirmi nel discorso. Il suo obiettivo era molto chiaro, ossia affidarla alla Minetti”.
IAFRATE? NON VOLEVA ASCOLTARMI
Non si è definista solo “infastidita” sull’atteggiamento del commissario di Polizia Giorgia Iafrate.
Per il pm minorile Fiorillo, il commissario di polizia, alla quale aveva dato indicazioni di affidare la minore a una comunità , fu “una telefonata indimenticabile perchè non è mai successo che dall’altra parte ci fosse una persona che non voleva ascoltarmi”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 4th, 2013 Riccardo Fucile
IL SINDACO HA DECISO DI AVERE UN RUOLO ATTIVO NELLA POLITICA NAZIONALE IN VISTA DI UN RITORNO ALLE URNE
Per ora Matteo Renzi si limita ad ascoltare e motivare i suoi «ragazzi».
Domani il sindaco incontrerà i cinquantun parlamentari a lui vicini in una saletta di convegni a Firenze.
Nessun piano di guerra, Renzi e i 51 si sono già visti altre due volte, ma la vera novità è un’altra.
Il sindaco – dopo aver spalleggiato Bersani in campagna elettorale – ha deciso di rientrare attivamente in campo, stando quotidianamente «dentro» la vicenda politica. Nella settimana post-elettorale Renzi è intervenuto di continuo, facendo proposte (sul rimborso elettorale), proponendo una lettura del risultato elettorale («abbiamo perso») che proprio ieri anche Bersani ha fatto esplicitamente propria nell’intervista a «Che tempo che fa».
Il Renzi in campo – leale in campagna elettorale e propositivo in queste ore – ha già fatto maturare negli informalissimi pourparler tra i principali notabili del Pd una sintesi che un dirigente vicino a Bersani compendia così: «Se la situazione dovesse precipitare verso le elezioni anticipate, il Pd non potrebbe che presentarsi con Renzi leader».
Una sintesi per nulla scontata sino a qualche giorno fa, per non parlare dei mesi scorsi quando il sindaco di Firenze, nel Pd e nei giornali fiancheggiatori, incarnava «una mutazione genetica», veniva criminalizzato come il «nuovo Craxi».
Per nulla scontata la futura, eventuale incoronazione, perchè incontra resistenze anche dentro la squadra bersaniana: l’ala sinistra fa sapere che una campagna elettorale-bis dovrebbe essere guidata sempre dal segretario e Stefano Fassina ieri lo ha detto chiaro e tondo: «Per quanto mi riguarda, Bersani rimane la figura più forte per la campagna elettorale».
E d’altra parte proprio il segretario del Pd, ospitato da Fabio Fazio («non voglio perdere neanche un secondo», il suo incipit), ha ribadito un concetto hard: se Grillo non ci sta, tutti a casa.
Come dire: o passa il monocolore hard, oppure per il Pd la soluzione ottimale è ridare la parola agli elettori.
Ma se davvero la situazione dovesse precipitare, che qualcosa di grosso si stia muovendo nel Pd (si sussurra che sarebbe favorevole anche Massimo D’Alema, sempre sensibile alla tenuta del partito) lo conferma proprio Bersani che, davanti ad una domanda su Renzi, risponde con queste parole: «Deciderà lui, che ruolo avrà , quando vorrà , con la direzione del partito. Ma sicuramente un ruolo lo avrà ».
Ma lo scenario delle elezioni bis per il momento è ancora lontano.
Prima ci sono molti passaggi da espletare.
Sul primo – maggioranza Pd-Cinque Stelle – Bersani ieri ha tenuto il punto e una mano in questo senso gliela dà il solito Fassina, che con energia fa fuoco preventivo su Giorgio Napolitano, o meglio su una delle possibili soluzioni che il Capo dello Stato potrebbe proporre in caso di fallimento di Bersani: «Deve stare a Palazzo Chigi chi ha ricevuto il consenso, se non è possibile, si deve tornare a chiedere il consenso agli elettori» e sull’ipotesi che il capo dello Stato sia «costretto» ad indirizzarsi su un governo del Presidente, Fassina è durissimo: «Se qualcuno pensa di riproporre un “governo tecnico”, sarebbe un suicidio per la democrazia. Spero che ci sia una rivolta di massa di tutta la base del Pd. Sarebbe una proposta becera, suicida».
Tagliente il commento del costituzionalista, ex senatore Pd, Stefano Ceccanti: «Rammento a Fassina che il potere di dare l’incarico spetta al Capo dello Stato, non a lui».
Ma la proposta di un governo del Presidente, il Capo dello Stato potrebbe avanzarla al termine di una lunga sequenza.
Nessuno può fare illazioni su come si muoverà da metà marzo, non appena le Camere avranno eletto i loro Presidenti.
In base ai precedenti, al Pd in modo molto informale azzardano un iter così scandito. Primo passaggio: mandato esplorativo a Bersani per verificare se sia possibile mettere assieme una maggioranza con l’appoggio esterno del 5Stelle o del Pdl.
Con una formula inedita e improbabile: nelle votazioni nelle quali si configura un passaggio fiduciario, uno dei due partiti uscirebbe dall’aula.
Se questa verifica dovesse fallire, il Capo dello Stato potrebbe incaricare il presidente del Senato per un incarico esplorativo con un mandato più ampio.
E soltanto a conclusione di questo tragitto, potrebbe prendere forma il tentativo finale, quello di verificare la fattibilità di un «governo del Presidente», affidato ad una personalità esterna alla politica.
Un sondaggio molto preliminare, come anticipato da «La Stampa», è stato fatto presso il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, soluzione ad alta garanzia per i mercati.
Fabio Martini
(da “La Stampa“)
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Marzo 4th, 2013 Riccardo Fucile
“LA PRIMA PAROLA SPETTA AL PD, HA 460 ELETTI, IL DOPPIO DEL PDL E IL TRIPLO DI GRILLO”
«Lo dico prima io di Grillo che gioca a fare l’uomo mascherato: io non apro tavolini, non sto qui a
scambiare sedie. Decida cosa fare, altrimenti andiamo tutti a casa, anche lui».
Bersani alza i toni, ma non cambia strada.
Il leader del Movimento 5 Stelle, in viaggio da Bibbona a Roma, tiene duro sul no alla fiducia ad ogni ipotesi di governo. E allora il segretario del Pd sceglie di rilanciare: se Grillo non ci sta, in pratica, ci sono solo le elezioni.
E ad una settimana dal voto, la partita di poker ingaggiata tra Pd e 5 Stelle si fa sempre più complicata.
Bersani allontana sdegnato l’idea di un governissimo col Pdl: «Immaginare che io possa fare qualche accordo con quelli che hanno sempre impedito il cambiamento è un’ipotesi dell’irrealtà », ribadisce intervistato da Fabio Fazio a “Che tempo che fa” a due giorni dalla direzione chiamata ad approvare la ‘linea’ fin qui annunciata.
E se ad oggi non ci sono state «conversazioni formali » con Grillo, è fuor di dubbio che la prima mossa tocchi comunque al Pd, rivendica il segretario: «Abbiamo 460 parlamentari, il doppio della destra e il triplo di Grillo».
E la mossa è sempre quella: «Un governo di cambiamento su un programma di otto punti che chieda su questi la fiducia».
È una partita difficile, ammette Bersani: «Nel Movimento 5Stelle ci sono cose di sinistra e cose che non lo sono affatto».
Grillo non vuole «che un figlio di immigrati nato qui sia italiano». Ed è pure «molto tiepido sull’evasione fiscale».
Senza contare la diversità sul finanziamento pubblico dei partiti, che il Movimento 5 stelle vuole abolire e Bersani invece non del tutto: «La politica una qualche forma di sostegno pubblico deve averlo, altrimenti la fanno solo i miliardari».
Altre strade per il governo però, il segretario del Pd ne è convinto, al momento non esistono. Anche se il presidente della Repubblica nutre molti dubbi su un eventuale governo di minoranza.
Sul Quirinale, dove Napolitano scadrà il 15 maggio, Bersani è comunque ottimista: «Dopo un presidente così non è semplicissimo arrivare ad una soluzione, ma penso che troveremo una convergenza».
Quanto al sindaco di Firenze Matteo Renzi, che in questi ultimi giorni è tornato a farsi sentire, «un ruolo l’avrà ». Anzi, «deciderà lui quale».
Più che dei rilanci di Bersani però, il leader del Movimento 5 Stelle sembra per ora preoccupato di ‘blindare’ i suoi neo eletti, che si riuniscono per la prima volta a Roma.
Qualcuno ha evocato cambi di casacca e salti della quaglia? Chi tradisce gli elettori e cambia partito «andrebbe preso a calci», è l’avvertimento via web del Capo ai suoi.
Soprattutto ai neo senatori, considerati i numeri e la difficoltà oggettiva a formare una maggioranza a Palazzo Madama.
«In Parlamento si pratica circonvenzione d’elettore», dice Grillo citando l’articolo 67 della Costituzione, che non riconosce nessun vincolo di mandato per deputati e senatori.
«L’eletto può fare, usando un eufemismo, il cazzo che gli pare senza rispondere a nessuno», scrive Grillo sul blog dalla sua villa di Marina Di Bibbona.
Che lascia nel pomeriggio per trasferirsi a Roma.
La lascia dopo aver praticato jogging mattutino sulla spiaggia, sfoggiando di nuovo il singolare mascheramento degli ultimi giorni ma senza dire una parola.
E dopo aver concesso interviste ai giornalisti di ‘Time’ e del ‘New York Times’, ma non ai giornalisti italiani che lo attendono fuori e lo inseguono anche nella corsa.
Grillo teleguiderà la pattuglia parlamentare? «I nostri eletti avranno piena libertà di proposta. E se non faranno il governo, la responsabilità non è certo nostra: la sinistra ha avuto un anno per fare col Pdl una riforma elettorale », dice a ‘In mezz’ora’ il sindaco di Parma Federico Pizzarotti.
Massimo Vanni
(da “La Repubblica“)
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Marzo 4th, 2013 Riccardo Fucile
SI PARLA SOLO DI ORGANIZZAZIONE, IN ATTESA DEL “VERBO” DI BEPPE E DELLO STAFF
La carica dei grillini conquista Roma in una magnifica domenica di sole.
Sono armati di iPad, smartphone, discutono di Facebook e Google. Alcuni sorridono (soprattutto gli uomini), altri hanno il broncio (soprattutto le donne).
Al piano interrato dell’hotel Saint John, che si chiama così per la vicinanza a San Giovanni in Laterano, i neoeletti del Movimento 5stelle celebrano la loro prima riunione.
Seduti in circolo, si scambiano i numeri dei cellulari, scattano foto, si presentano e cominciano a discutere, ma sempre in febbrile attesa dell’arrivo di “Beppe” e dello “staff” che nel loro gergo significa Casaleggio, con il figlio Davide e l’altro collaboratore Filippo Pittarello.
«Il Verbo è Gianroberto, decide lui».
Sono 163 deputati e senatori, frutto di una lunga traversata e di una straordinaria vittoria. Tanti giovani, tantissime le donne.
All’esterno li attendono decine di giornalisti. Le tv hanno piazzato le telecamere per la diretta, i fotografi non si contano.
Nella stretta via Matteo Boiardo, parallela di Via Tasso, dov’era il quartier generale delle SS, le auto in doppia fila bloccano il traffico. L’ingresso in albergo è vietato. La direzione ha piazzato fuori un addetto della Security e un dipendente della reception.
Si entra solo con una scusa: mostrando il blister del Moment e mendicando un bicchiere d’acqua, chiedendo informazioni sui prezzi delle camere.
Ai grillini l’assedio dei cronisti piace molto.
«Dobbiamo prenderli per il culo», propone qualcuno nella sala al -1. La senatrice toscana Laura Bottici risponde ai flash fotografando lei con il tablet la marea umana dell’informazione.
La imitano in molti, per poi postare le immagini su Facebook. Il primo punto programmatico di questa riunione sembra sia quello di giocare con la stampa, spiazzarla, opporre il silenzio alle domande, la riservatezza al bisogno di informare.
Il depistaggio è uno spasso. «Oggi con Beppe ci vediamo in un casale a Frosinone», scherza un deputato ad alta voce quando si ritrovano in una pizzeria poco lontana dall’hotel.
Un’altra deputata propone: «La prossima volta usciamo tutti mano nella mano formando un circolo per sfondare il muro delle telecamere ».
Oppure: «Guarda, c’è un giornalista. Gliel’offriamo un bicchiere di vino?».
È una festa e in effetti qualcosa da festeggiare c’è.
Cambia la politica italiana con Grillo e i suoi seguaci.
La rivoluzione parte da qui, Hotel Saint John, quattro stelle della catena spagnola Eurostars, un edificio moderno con le mura in cortina.
Nelle voci che si rincorrono su Twitter apparterebbe al Vaticano e sarebbe esente dall’Imu. Piccolezze.
Comunque, i giornalisti entrano, superano i controlli, postano anche loro le foto sui social (vendetta?) e nella sala dei grillini creano un po’ di scompiglio. Diciamo che la partita finisce in sostanziale pareggio.
Oggi non si parla di politica, ma di organizzazione. Solo una voce si alza per indicare un orizzonte, il vero tema di confronto, in attesa del Verbo di “Beppe” e dello “staff”.
È quella di Paola Traversa: «La chiusura agli altri partiti non mi piace. Siamo un modello di apertura e la gente vuole sapere che intenzioni abbiamo per il futuro. Altrimenti in 3 mesi svanisce tutto il credito che abbiamo conquistato».
Il dibattito è libero. Tre minuti a testa, possono parlare tutti.
L’ordine del giorno però viene gestito da Roberta Lombardi e Alessandro Di Battista, grillini romani.
Bisogna votare alcuni punti: i forum tematici, la mailing listriservata che viaggerà su Google, la riunione congiunta dei gruppi parlamentari di Camera e Senato che sarà convocata una volta a settimana. Non c’è un capo.
Chi comanda è lontano, arriverà stamattina. «Ma non fate quei musi lunghi quando vi inquadrano in tv – si raccomanda un senatore –. Lavorare al Sulcis è peggio».
La discussione sugli strumenti della comunicazione interna è molto lunga.
Come può insegnare agli adulti un ragazzino qualunque, gli sms vengono subito esclusi: roba vecchia e soprattutto costosa.
Meglio altre applicazioni, quelle che viaggiano sulla rete.
La comunicazione quella vera, però, ossia cosa succede al momento della fiducia, da che parte starà il Movimento, qual è la risposta a Bersani, nell’assemblea dei 163 riuniti al Saint John è un’eco lontanissima. «Aspettiamo Casaleggio ».
È lui dalla sua società a gestire il blog che per i 5stelle è sinonimo della linea politica. «Casaleggio ne sa più di noi, ha costruito un impero. Parliamone con Gianroberto e con Beppe », dicono nella sala.
Disposti in circolo, votano per alzata di mano. A tratti, la riunione assomiglia ai seminari di Allen Carr per smettere di fumare dove ognuno racconta di sè e alla fine si getta il pacchetto di sigarette al centro della stanza.
Nella hall staziona il papà di una deputata neomamma con un bellissimo bimbo tra le braccia che non avrà più di 15 giorni.
Un ragazzo con il computer acceso scrive sul tavolino vicino al bar: o è un turista o un militante autorizzato.
I giornalisti infiltrati si nascondono in qualche angolo e fanno finta di non conoscersi perchè i capannelli sono sospetti.
Si corre il rischio di essere ricacciati in strada. Non entrano telecamere. Non c’è la sfilata delle dichiarazioni all’uscita e questa è una bella novità .
Porte sbarrate anche per le tv straniere, anche questa è una novità per Grillo.
Per i 5stelle contano davvero, nell’ordine, gli attivisti «che devono sapere tutto di noi», gli elettori «ai quali dobbiamo rispondere».
Occhio a «quelli che vogliono avvicinarsi per approfittare del momento», diffidare dei giornalisti «sempre » e semmai non dire la verità .
Ma al ristorante la tensione con la stampa si scioglie. I neoeletti brindano a se stessi chiamandosi «cittadini», mangiano una pizza e sorridono, osservano il tavolo dei cronisti e rompono il ghiaccio offrendo un bicchiere.
Comincia così una nuova stagione e poi si parlerà anche di come è messo male il Paese, di come uscirne tutti insieme.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica“)
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Marzo 4th, 2013 Riccardo Fucile
I NEOELETTI GRILLINI, PRIMA ASSEMBLEA A ROMA: SI DECIDE SU PORTABORSE E LOGISTICA
Sotto, la riunione ha un po’ l’aria dell’assemblea universitaria, anche come facce e storie. Sopra, nella
hall, c’è l’aria da festa di laurea dove la gente innanzitutto vuole conoscersi, intrecciare storie che spesso finora erano solo voci, o chat.
Alle 16.56, finita una pausa caffè lunga abbastanza per farsi domande, scambiarsi numeri di telefono e mail, gli eletti del Movimento cinque stelle cominciano a richiamarsi l’un l’altro, «ragazzi, scendiamo sotto, riprendiamo? Dopo aver pagato, eh».
Il caffè se lo sono pagati da soli. Quanto all’albergo, non dormono qui.
Nonostante ci siano ottime e economiche offerte, «quasi tutti i non romani si sono organizzati con soluzioni low cost», racconta uno di loro. Compreso l’aereo.
In fondo, chi non ha un amico a Roma? Per trovare casa ci sarà tempo.
E’ così, la riunione dei parlamentari del Movimento, segreta si fa per dire.
Fuori il mondo invoca trasparenza, e coerenza con la sbandierata, totale apertura.
Dentro, loro rispondono «ma perchè, il Pd non ha mai fatto un incontro a porte chiuse?».
E c’è come un senso situazionistico della beffa ai media che andrebbe colto.
Alle 16,30 – quando hanno fatto time out e sono saliti su, dal piano interrato dove si tiene la sessione, alla hall dove c’è il bar con bancone in legno aperto – fuori dalla porta a vetri dell’hotel Saint John s’è creata una tale ressa di cameramen, fotografi e giornalisti che, da dentro, gli eletti li filmavano a loro volta con gli smart phone e i minitablet, per poi sorridere e darsi un po’ di gomito.
L’assediato che assedia a sua volta l’assediante.
Ribaltati i ruoli vittima-carnefice, ecco alcune conversazioni, di cui teniamo anonimi gli autori: «Il governo? La fiducia per noi è impossibile, bisognerebbe capire che è fuori luogo anche chiedercela».
Come se ne esce lo suggerisce una eletta quarantenne, assai disponibile: «Non c’è niente che impedisca di tenere ancora lì Monti per qualche mese, mentre il Parlamento fa delle leggi. Se sono buone leggi, noi le votiamo. Naturalmente presto si torna a votare».
E’ lo stesso ragionamento ascoltato in mattinata da qualcuno assai vicino al team di Grillo e Casaleggio che ha organizzato in concreto lo Tsunami: «Perchè non si può immaginare di lasciare Monti in carica, per quattro cinque mesi? Esiste un precedente, non è vero che non si possa fare: il governo Dini durò 127 giorni dopo la fine della maggioranza».
«Rigor Montis» non piace per nulla, sia chiaro. Ma a questo punto tanto vale, per molti cinque stelle, tenerlo lì lo stretto necessario.
La minaccia di Bersani (tornare a casa) li spaventa poco.
Naturalmente i nuovi parlamentari si occupano qui soprattutto di questioni organizzative. Devono scegliere un portavoce, sarà a rotazione.
Decidere chi parla all’esterno (per ora, nei momenti caldi, i meno in ansia paiono Vito Crimi e Roberto Fico).
Un gruppo seguirà la logistica. Un altro, i motori di ricerca e le chat.
C’è l’idea di «trovare un palazzo dove andare a stare, per risparmiare e stare anche vicini fisicamente», considerando che non guadagneranno più di 2500 euro netti (cinquemila lordi), e viverci a Roma non è facile.
«È un po’ stressante, questo assedio», ammette Laura Bottici.
«È anni che lavoriamo sul territorio, e non c’era questo interesse».
Altri ricordano disperate telefonate ai giornali, spesso ignorate.
Alcuni sono già un riferimento evidente.
Roberto Fico, napoletano, camicia fuori dai pantaloni, e una faccia aperta da ragazzo del sud. Offre caffè al bar.
Vito Crimi, che si assume l’incarico di annunciare «Grillo e Casaleggio non verranno, questa non è una riunione di linea» (ma è vero che non verranno?).
I ricci neri e timidi di Andrea Cioffi. Molto defilata Marta Grande, la più giovane, maglioncino grigio, appoggiata alla colonna, armeggia col telefonino; che il Pd la lodi così tanto non ha entusiasmato lo staff.
Due ragazze, filmaker esterne, girano un documentario per immortalare una riunione che comunque sarà ricordata.
Ai muri, riproduzioni di Tamara de Lempicka fatte dallo Studioessedipinti.
L’età media è palesemente sotto i quarantacinque. Estetiche assurde e cappellai non ce ne sono. Non ci sono grisaglie, nessuno ha la cravatta, qualcuno ha così caldo da girare a maniche corte e felpa legata in vita. Ma non c’è neanche un abbigliamento prevalente.
Le ragazze, ce ne sono di carine. Sembrano molto diversi all’aspetto dai parlamentari cui siamo abituati.
Votano per alzata di mano, non col televoto. Al momento di andare via, alcuni hanno organizzato un furgoncino-scolaresca.
Sentono di avere una missione, ma te la spiegano come se si fosse a una festa, anche se non eri stato invitato.
Jacopo Iacoboni
(da “la Stampa“)
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