Marzo 24th, 2013 Riccardo Fucile
CASALEGGIO COME IL CARDINALE RICHELIEU: “STA DIETRO LE QUINTE, MA MANOVRA”
«Grillo sta esagerando». Anche Franco Battiato non condivide l’atteggiamento del leader del
Movimento 5 Stelle.
La dichiarazione del cantautore siciliano arriva da Parigi per una tappa del tour europeo di «apriti sesamo» il suo ventottesimo album uscito lo scorso 23 ottobre per Universal.
«In questo momento l’Italia è veramente un paese dilaniato» afferma Battiato che è anche assessore al Turismo e allo Spettacolo della giunta Crocetta in Sicilia.
MODELLO SICILIA –
«In Sicilia – prosegue – ero sicuro che la coabitazione con il Movimento 5 stelle avrebbe funzionato e infatti sta andando benissimo. Per quanto riguarda la formazione del governo invece non lo so, non credo che si riandrà alle urne, o almeno me lo auguro».
E aggiunge: «È chiaro che Grillo sta un po’ esagerando. A volte sembra che stia per cedere un minimo ma poi le frasi sono sempre quelle».
«È certo – osserva – che la destra italiana è una cosa che non appartiene agli esseri umani».
CASALEGGIO-RICHELIEU
Quindi un riferimento a Gianroberto Casaleggio paragonato al cardinale Richelieu «perchè sta dietro le quinte, ed è uno che manovra».
«Sono entrato in politica per la mia terra – conclude – Non sono un politico e non mi credo nemmeno assessore, sono uno che mette la sua credibilità al servizio della propria terra».
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 24th, 2013 Riccardo Fucile
IL PESCHERECCIO INDIANO CHE SI ERA AVVICINATO NONOSTANTE NUMEROSI AVVERTIMENTI, FU ACCOLTO DA RAFFICHE DI MITRA: UN MORTO E DUE FERITI
I pescatori indiani sono stati protagonisti perlomeno di un altro incidente verificatosi questa volta nelle acque del Golfo Persico ma molto simile a quello che il 15 febbraio scorso coinvolse la petroliera italiana Enrica Lexie.
Un peschereccio indiano lungo nove metri nel luglio dello scorso anno si era avvicinato al rifornitore di squadra della flotta statunitense Rappahannock ignorando i ripetuti avvertimenti a mantenersi a distanza di sicurezza segnalati a voce e con apparati luminosi.
Di fatto esattamente quanto accaduto con la Lexie e, come in quel caso, i security team della Us Navy hanno aperto il fuoco non con le armi leggere calibro 5,56 millimetri utilizzate dai fucilieri Latorre e Girone ma con una mitragliatrice pesante Browning calibro 12,7.
Un pescatore è stato ucciso e altri due sono rimasti feriti.
Il peschereccio ha raggiunto il porto di Dubai dove le autorità degli Emirati Arabi uniti hanno aperto un’inchiesta che affianca quella della Marina statunitense.
L’ambasciatrice statunitense a New Delhi, Nancy Powell, ha parlato telefonicamente con il segretario indiano agli Esteri Ranjan Mathan per porgere le sue condoglianze ed esprimere il rammarico per l’accaduto ma fonti militari americane hanno ribadito di aver fatto fuoco sul peschereccio dopo aver lanciato diversi avvertimenti in base alla procedura prevista in questi casi.
Misure di sicurezza che nelle acque del Golfo non sono da mettere in relazione alla minaccia dei pirati ma al rischio di attacchi suicidi condotti dai barchini dei pasdaran iraniani che adottano la strategia dello “sciame navale” mobilitando un gran numero di piccole imbarcazioni all’apparenza civili e inoffensive contro le navi da guerra statunitensi.
Una provocazione simile ma senza scontri a fuoco vide nel 2008 il cacciatorpediniere americano Hopper “circondato” da cinque barchini dei pasdaran.
Resta il fatto che ai pescherecci indiani capitano spesso incidenti simili vicino o lontano dalle acque di casa.
Eventi determinati spesso dal fatto che i comandanti non conoscono o comunque non rispettano le regole adottate a livello internazionale per garantire la sicurezza delle navi civili e militari. L’anno scorso a un convegno sulla sicurezza marittima tenutosi in Oman un ufficiale della guardia costiera indiana riconobbe che la sua organizzazione aveva non pochi problemi a far rispettare le regole di sicurezza della navigazione alle barche da pesca.
Resta da vedere se l’india adotterà con Washington lo stesso metro di misura applicato con Roma chiedendo l’estradizione dei marinai della Rappahannock che hanno aperto il fuoco contro il peschereccio per processarli per omicidio, tentato omicidio e associazione a delinquere.
La vicenda offre anche una lezione alle autorità italiane almeno sul fronte della comunicazione.
Il Pentagono ha subito reso nota la dinamica dei fatti fornendo persino i dettagli sul calibro delle armi impiegate.
Dopo l’incidente della Enrica Lexie il Governo italiano non solo non disse nulla ma invitò persino i media a mantenere un basso profilo sulla vicenda.
Ancor oggi Roma non fornisce dettagli e soprattutto non argomenta la difesa di Latorre e Girone con l’applicazione delle procedure di sicurezza comuni a tutte le navi del mondo ma si limita a contestare presso la Corte Suprema di Nuova Delhi la giurisdizione indiana sull’accaduto.
Gianandrea Gaiani
(da “il Sole24Ore”)
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Marzo 24th, 2013 Riccardo Fucile
QUANDO FU INTRODOTTO IL FINANZIAMENTO PUBBLICO, COSA PREVEDE L’ULTIMA RIFORMA, COME FUNZIONA ALL’ESTERO
In questi giorni si è tornati a parlare di finanziamento pubblico ai partiti. 
Quando è iniziato il dibattito?
Il finanziamento pubblico ai partiti fu introdotto nella legislazione italiana dalla legge Piccoli (Dc) del 1974 con l’obiettivo di rassicurare l’opinione pubblica. La logica era: se i partiti sono pagati dallo Stato non avranno più bisogno di legarsi ai grandi poteri economici. I contributi erano erogati in due forme: un contributo statale per il funzionamento ordinario dei partiti e un contributo ulteriore a titolo di rimborso per le spese elettorali. Gli unici ad opporsi furono i liberali, che provarono senza successo a promuovere un referendum abrogativo. Il finanziamento «ordinario» fu abolito solo nel 1993, in piena Tangentopoli, quando la consultazione popolare promossa dai Radicali ottenne il 90,3% dei voti a favore.
Perchè si continua a parlare di fondi pubblici ai partiti?
Perchè, nonostante il referendum, dal 1993 a oggi i partiti hanno continuato a ricevere contributi pubblici per quanto riguarda la parte relativa ai rimborsi elettorali. In particolare la legge 157 del 3 giugno 1999, non legando i rimborsi alle spese effettivamente sostenute per le campagne elettorali, è considerata una reintroduzione «de facto» del finanziamento. La legge prevede quattro fondi – per le elezioni della Camera dei deputati, del Senato, del Parlamento europeo e per le regionali – per tutti i partiti che conquistano almeno l’1% dei voti. I dati più recenti sono: 289,8 milioni (4,53 euro per ogni cittadino italiano) nel 2010, 189,2 milioni (2,97 a testa) nel 2011, 159 milioni per le politiche del 24 e 25 febbraio scorso. Dal 2008 al 2010, inoltre, i partiti hanno ottenuto un doppio rimborso perchè, grazie alla legge 151 del 2006 (poi abrogata nel 2011), il finanziamento non veniva interrotto anche in caso di fine anticipata della legislatura.
Cosa prevede l’ultima riforma?
La legge approvata il 5 luglio 2012 prevede il taglio del 50 per cento dei rimborsi ai partiti. Dai previsti 180 milioni (circa) incassati nel 2011 si passa a 90 milioni complessivi per il 2012. Inoltre per i partiti scatta l’obbligo di certificare i bilanci e viene istituita una Commissione di controllo formata da cinque magistrati designati dai presidenti della Corte dei Conti, della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato. Infine, per accedere ai contributi, bisogna avere almeno un eletto in Parlamento.
Cosa accade nel resto del mondo?
Secondo uno studio dell’Institute for Democracy and Electoral Assistance (Idea) è possibile individuare tre fattispecie: gli Stati che non prevedono alcuna forma di finanziamento (il 25,5%), i Paesi che prevedono un sussidio annuale (il 44% del totale) e quelli che prevedono finanziamenti specifici in relazione alle campagne elettorali (il 26,4%). Stati Uniti e Australia rientrano in quest’ultima categoria, mentre la maggior parte dei Paesi europei prevede o finanziamenti annuali o forme ibride.
Come funziona il finanziamento pubblico in Francia e in Spagna?
In Francia vige un sistema misto al quale possono accedere tutti i partiti che hanno ottenuto l’1% dei voti presentandosi in almeno 50 circoscrizioni. È previsto un finanziamento pubblico annuale (la cifra massima totale fissata per legge è di 80,2 milioni di euro) più i rimborsi elettorali. Nel 2007, anno in cui si sono tenute sia le legislative sia le presidenziali, la spesa complessiva è stata di 160,3 milioni di euro (2,46 euro ad abitante), così suddivisa: 44 milioni di rimborsi per le presidenziali, 43,1 per le legislative e 73,2 milioni di sussidio annuale. Il sistema è misto anche in Spagna, dove possono accedere i partiti che hanno almeno un candidato eletto in Parlamento. Il sussidio annuale dipende per 2/3 dai voti ottenuti e per 1/3 dai seggi. Nel 2011 sono stati erogati in tutto 44,5 milioni di rimborsi e 86,5 milioni di finanziamento fisso, per un totale di 131 milioni di euro.
E in Germania e nel Regno Unito?
In Germania i rimborsi elettorali sono suddivisi in tre fondi — europee, nazionali (Bundestag) e regionali (Landtag) — e sono proporzionali ai voti ottenuti da ciascun partito. Per ottenerli bisogna superare la soglia dello 0,5% dei voti validi al Bundestag e dell’1% nelle elezioni dei Là¤nder. Il totale nel 2010 è stato di 130 milioni di euro. Inoltre sono previsti finanziamenti alla fondazioni culturali di partito sia globali (95 milioni di euro nel 2011), sia legati a progetti specifici (233 milioni nel 2011). In un Paese di lunga tradizione liberale come il Regno Unito, invece, i finanziamenti statali hanno un ruolo marginale e sono destinati esclusivamente ai partiti d’opposizione (l’ultimo totale annuale è di circa 9 milioni di euro). Hanno sicuramente maggiore peso i finanziamenti privati (30 milioni di euro per la campagna elettorale del 2010), che possono essere erogati da cittadini e società .
Francesco Moscatelli
(da “La Stampa“)
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Marzo 24th, 2013 Riccardo Fucile
UNO STUDIO TEDESCO: STRATEGIA PER AUMENTARE LE VENDITE A DANNO DEI CONSUMATORI
La lavatrice non gira più, la tv non rende più fedelmente i colori nelle immagini, o all’improvviso lo schermo resta buio.
La lavastoviglie sbaglia i programmi o perde acqua, il frigorifero s’inceppa.
E in ogni caso del genere il tecnico, chiamato d’urgenza, scuote la testa: «Che vuole, non è più in garanzia».
Dite la verità , a quanti di voi è già successo?
E quante volte avete avuto il sospetto che elettrodomestici o altri oggetti d’uso quotidiano (magari anche diverse auto di massa) siano prodotti per rompersi apposta allo scadere della garanzia?
Il peggio viene poi dalla successiva osservazione del tecnico o meccanico: «Non le conviene riparare, costa troppo, meglio comprarne uno nuovo».
Ora uno studio commissionato dai Verdi tedeschi a scienziati ed economisti per la prima volta dice che purtroppo abbiamo ragione: il principio si chiama “obsolescenza programmata”.
Serve a produrre e vendere di più.
Pazienza se solo nella Repubblica federale, in qualche anno, lo scherzetto è costato 100 miliardi agli ignari consumatori.
L’idea di indagare è venuta al gruppo parlamentare degli ecologisti.
Un esperto, Stephan Schridde, e il professor Christian Kleiss della facoltà di Economia di Aalen, si sono messi al lavoro studiando una ventina di elettrodomestici e altri prodotti di largo consumo. I risultati sono scoraggianti.
Per noi consumatori almeno, non per chi produce e vende di più.
È un vecchio trucco, l’obsolescenza programmata, dice il rapporto.
L’associazione dei produttori di elettrodomestici di qui replica che «se fosse così i consumatori cambierebbero subito marca, e le aziende si rovinerebbero ».
Ma già nel 1924 i produttori di lampadine conclusero un accordo segreto: produrle perchè durassero non più di mille ore.
Decenni dopo furono scoperti, ma il divieto di limitarne la vita non è stato mai applicato davvero.
E che dire della tv, davanti a cui ci sediamo ogni sera?
Oggi si possono acquistare splendidi televisori ultrapiatti, con telecomandi con mille funzioni e l’allaccio a internet.
Peccato che spesso all’interno abbiano condensatori elettrolitici di scarsa qualità , che non vivono molto più della garanzia.
Un altro caso storico di complotto ai danni del consumatore avvenne con le calze di nylon: quando furono lanciate sul mercato nel 1940 erano così robuste che l’industria subì un crollo nelle vendite, duravano troppo.
I produttori allora si accordarono: modificarono la fibra, e ne misero a punto una più fragile.
Torniamo agli elettrodomestici.
Senza lavatrici o lavastoviglie, la vita quotidiana d’una famiglia sarebbe un inferno, è vero.
Pochi sanno però che la loro durata media è crollata, dai dodici anni del 1998 ai sei anni e mezzo attuali, che scendono addirittura a tre anni appena per i prodotti più economici.
In spazzolini da denti elettrici, mixer, frullatori, le ruote dentate che li muovono sono troppo fragili per durare quanto vorremmo.
Ma anche i nuovi strumenti della comunicazione mobile, dall’iPod a diversi smartphone, a computer portatili si sono attirati proteste e, negli Usa, anche una class action.
Perchè le loro batterie non sono sostituibili, al contrario di quanto avviene nei cellulari tradizionali, quindi quando si scaricano bisogna mettere mano al portafogli.
Ripararli è impossibile, o troppo difficile e costoso.
Una scelta strategica, dunque.
«L’obiettivo è la massimizzazione della rendita di capitale », afferma Stefan Schridde.
E lo studio scritto a quattro mani con Kreiss sottolinea: poichè aumenta le vendite, “la strategia del deterioramento della qualità dei prodotti viene alla fine premiata dall’aumento degli utili”.
Viva chi vende, tanto peggio per chi compra e deve presto ricomprare.
Di economia ecologica e sostenibile poi neanche a parlarne.
Andrea Tarquini
(da “La Repubblica”)
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Marzo 24th, 2013 Riccardo Fucile
“I CINQUESTELLE ESPRIMONO UN NUOVISMO MONCO”
Presidente Bertinotti, la moda del nuovismo è tornata, e prepotente.
«Il nuovismo è la scienza dei nullatenenti perchè è una categoria così lassa che può essere maneggiata a qualsiasi fine, è applicabile sempre e ovunque. Per me è difficilmente interpretabile e scarsamente significativa, come tutti i concetti di cui non è sostenibile il contrario: si può essere contro il nuovo?».
Però oggi il desiderio di nuovo è dominante, il nuovo purchessia.
«È un desiderio assai rilevante in tempi di politica flebile o desertificata, quando le categorie forti sono sotto schiaffo. In momenti così evapora il riformismo. Emergono termini come rivoluzione, trasformazione, rivolta, che alludono a un potere che si è esaurito. Ed è lì che qualcuno si alza per dare corso a una nuova società . È successo alla fine della Prima repubblica, succede ora che finisce la Seconda».
Nuovo vuol dire giusto?
«Oggi nuovo ancora non vuol dire giusto. Ci sono momenti in cui il nuovo si qualifica per ciò da cui si distacca. Se il vecchio fa schifo, in quel momento il nuovo prende un significato che non ha, e lo prende in modo transitorio. Intanto basta essere nuovi. Il problema è che io non capisco che tipo di società si sta proponendo. Non capisco qual è il punto di rottura col passato».
Più che nel ’94?
«Molto di più. Nel ’94 il nuovismo si accoppiava a un’idea di società nascente, che io trovo orribile, ma questo conta poco. Si faceva largo una teoria economica che si è chiamata neoliberismo e quel “nuovo” caratterizzava la società verso cui si era diretti, una società che faceva riferimento alle esperienze di Ronald Reagan e Margaret Thatcher, e che faceva postulato della morte delle ideologie».
E adesso?
«Adesso trovo del tutto incomprensibile la domanda che si fa a Beppe Grillo, quando gli chiedono quale sia il suo programma. Non c’è sintonia fra gli interlocutori, perchè Grillo non vuole riformare il sistema, vuole abbatterlo. Lui e i suoi sono come i mercanti nel tempio, prima pensano a sgombrarlo. A come riempirlo penseranno dopo».
Uno dei problemi è che ci si adegua un po’ acriticamente. In posizioni di potere, alla presidenza della Camera e del Senato, a capogruppo anche del Pd vanno persone a cui è esplicitamente richiesto di essere inesperti, novelli. Cioè non competenti.
«Non voglio assolutamente parlare di persone che stimo o non conosco. Dico in generale che in un periodo come questo l’esperienza e la competenza sono applicate a un corpo debole, cioè alle istituzioni. Mi spiego: se un politico inesperto avesse avuto a che fare col Parlamento di Alcide De Gasperi, di Palmiro Togliatti e di Ugo La Malfa, il suo problema sarebbe stato un problema serio. Ma oggi? ».
Oggi non c’è bisogno di uno come Pietro Ingrao?
«Ma Ingrao era straordinariamente competente ed era al servizio di un Parlamento in cui la competenza era imprescindibile. Sennò si era in seconda fila. Ma ormai le istituzioni sono decadute al punto che se fossero sospese non se ne accorgerebbe nessuno. In una situazione del genere la competenza minima necessaria te la fai immediatamente. Io in fondo ho sbagliato».
Ha sbagliato?
«Quando ho fatto il presidente della Camera, pensavo proprio a figure come quella di Pietro Ingrao. Non mi sono accorto di quello che mi succedeva sotto gli occhi: ho cercato di improntare la mia presidenza a criteri di conoscenza e dimestichezza, e non mi erano richieste».
Basta poco per essere adeguati al poco?
«Esattamente. Tanto decidono il governo e Bruxelles. È chiaro che per riforme importanti come quella elettorale, dei regolamenti parlamentari, dei diritti civili, che pure mi stanno straordinariamente a cuore, il Parlamento serve. Ma se un uomo intelligente e cinico come Mario Draghi dice all’Europa di non preoccuparsi che tanto innestiamo il pilota automatico, bè, qualcosa vorrà dire… ».
Dunque la moda del nuovismo tanti danni non li farà .
«Il problema è sapere se il sistema sia riformabile dall’interno, e io temo di no. Il successo del Movimento 5 Stelle deriva dal desiderio di un colpo d’ariete che butta giù tutto, e poi vediamo che cosa succede. Oggi ci sarebbe una grande necessità di barbari senza barbarie, e quando dico barbari intendo in senso letterale “quelli che vengono da fuori”».
E i grillini non sono i barbari che dice lei?
«Nooo. Non sono barbari. Manca un elemento: c’è la critica al sistema ma manca la critica alla società . Guardo con interesse ai cinque stelle, vedo che hanno una fortissima motivazione, una fortissima tensione verso il nuovo, ma è un nuovo monco, che si preclude le critiche alla causa».
Mattia Feltri
(da “La Stampa“)
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Marzo 24th, 2013 Riccardo Fucile
ECCO COSA ACCADE IN SVIZZERA
La Svizzera si pone all’avanguardia sul fronte delle energie rinnovabili.
L’energia verde diviene di anno in anno sempre più importante entro i confini svizzeri, dà lavoro e produce ricchezza più che nel resto d’ Europa (ovviamente in proporzione).
I numeri, davvero molto interessanti, sono stati pubblicati dall’agenzia stampa Swissinfo e sono stati ricavati durante un lavoro di ricerca svolto dall’Ufficio Federale di Energia, organo della Confederazione Elvetica.
Il rapporto informa che le energie rinnovabili hanno prodotto nell’ultimo anno un valore aggiunto pari a 4,8 miliardi di franchi svizzeri, pari a circa 4 miliardi di euro. Le persone occupate sono 22.800 (su un totale di popolazione che di poco supera gli 8 milioni).
In grande evidenza le esportazioni, ovviamente di energia, in particolare da impianto idroelettrico e da fotovoltaico.
Il volume dell’export si attesta attorno ai 3,2 miliardi di franchi.
In totale, il giro di affari che le energie rinnovabili muovono compone lo 0,9% del Pil. L’outlook, in questo senso, è addirittura positivo: si prevede la crescita del peso sul Prodotto fino al raggiungimento del 2% in 3 anni.
Il settore crescerà da qui fino al 2020 in media del 2,5%, una percentuale superiore rispetto a quelle di crescita dell’intera economia svizzera.
La Svizzera è l’esempio che dimostra il potenziale delle energie rinnovabili.
Non solo battaglia l’ambiente, ma anche prospettive di ricchezza.
Un insegnamento che l’Italia dovrebbe digerire, soprattutto alla luce dei tagli sugli incentivi operati, nel corso del 2012, dal Governo Monti (un catastrofico — 50%).
( “da mondoeco.it”)
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