Marzo 26th, 2013 Riccardo Fucile
NON E’ L’ITALIA AD AVER BISOGNO DI ESSERE “RIABILITATA”, MA IL GOVERNO PATACCA INDIANO… LA RIDICOLA LINEA DI MONTI: CONVINCERE GLI INDIANI CHE IL RIENTRO DEI MARO’ ERA SOLO SOSPESO IN ATTESA DI GARANZIE SULLA PENA DI MORTE
Il sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura il 22 marzo è tornato in India assieme ai due marò “per ricucire i rapporti bilaterali compromessi” tra Roma e New Delhi.
Il suo obiettivo è convincere l’opinione pubblica indiana e per questo, ormai da cinque giorni, rilascia interviste ai giornali e partecipa assiduamente a talk show televisivi.
Il diplomatico italiano è stato ospite — tra gli altri — di The Last Hour, celebre programma di approfondimento giornalistico indiano nel solco di format come l’americano 60 minutes o il nostro In Mezzora, e di un’edizione speciale del telegiornale della rete NDTV, canale all news in lingua inglese noto in India per la propria autorevolezza.
Dalle interviste in tv emerge la nuova linea della diplomazia italiana: arrivare il più in fretta possibile a una soluzione del pasticcio Enrica Lexie ed esaltare i punti di contatto che i solidi rapporti tra India ed Italia possono vantare oltre la disputa dei due marò.
I diversi cambi di fronte della Farnesina, che aveva negato il rientro di Latorre e Girone in India l’11 marzo salvo poi ritrattare tutto dieci giorni dopo, sono stati “giustificati” da De Mistura con l’apprensione delle istituzioni italiane per la possibilità di una sentenza indiana che prevedesse la pena capitale.
Una “questione di vitale importanza” che, secondo il sottosegretario, in passato non è stata manifestata abbastanza chiaramente alla controparte indiana.
I giornalisti indiani, su questo punto, hanno di che obiettare: il problema della pena di morte — inesistente, in India nessuno ne aveva ma paventato l’opzione — in oltre un anno di confronto diplomatico non era mai stato minimamente sollevato, lasciando spazio a congetture che imputano questa inaspettata preoccupazione italiana a influenze nel processo decisionale da parte della popolazione italiana non debitamente informata sull’applicabilità della pena capitale in India.
Una volta ricevute le dovute rassicurazioni del caso dal ministro degli Esteri Salman Khurshid – sempre secondo quanto racconta De Mistura — i marò hanno fatto diligentemente ritorno in territorio indiano.
L’Italia, ha spiegato De Mistura, non aveva negato il rientro in via definitiva, bensì aveva semplicemente “sospeso” l’affidavit firmato dall’ambasciatore Mancini. Riportando i marò in India entro la scadenza della licenza per le elezioni nazionali (mezzanotte del 22 marzo), le istituzioni italiane hanno “mantenuto la parola”.
Ma leggendo entrambi i comunicati della Farnesina dell’11 marzo — uno in inglese e uno in italiano — non si accenna mai ad alcuna sospensione: i toni sono indubbiamente perentori.
De Mistura ha messo l’accento più volte sulla necessità di arrivare a una sentenza in tempi brevi, evitando così l’esacerbarsi delle emotività che sia in India che in Italia circondano il caso dei due fucilieri del reggimento San Marco.
Si vocifera che le udienze della Corte potrebbero iniziare già dal prossimo 2 aprile e quindi, se come promesso i giudici lavoreranno al caso ogni giorno, si inizia a intravedere la luce un fondo a un tunnel legale lungo ormai più di un anno.
Quando la brutta storia dei marò sarà archiviata — con una sentenza in India, un processo in Italia o il ricorso ad un arbitrato internazionale — Roma e New Delhi potranno riprendere il filo dei rapporti bilaterali.
De Mistura, su NDTV, ha infatti spiegato che oggi “in Italia vivono 100mila indiani, stanno facendo un lavoro fantastico, sono parte integrante della nostra società ; abbiamo 100mila turisti italiani che ogni anno si recano in India, tutti questi problemi devono essere superati”.
Senza contare i legami commerciali consolidati e futuri, sui quali però pende la spada di Damocle dello scandalo Finmeccanica.
“La fiducia persa dall’Italia può essere recuperata lasciando spazio a sereni e proficui rapporti bilaterali”.
Ne è convinto De Mistura, che sempre a NDTV ha dichiarato che dal punto di vista diplomatico, quando si evita una crisi, la fiducia si ricostruisce con ancora più forza e velocità .
Ciò senza dimenticare che sia India sia Italia devono raggiungere una soluzione al problema dei marò al più presto, tenendo presente che in entrambi i Paesi c’è molta emotività . “E come si fa a controllare questa emotività ? Bisogna arrivare in fretta a una soluzione”.
Il commento del ns. direttore
Non sono bastati Monti e Di Paola a renderci ridicoli nel mondo, ci mancava pure il caratterista De Mistura inviato a fare il giro della quattro parrocchie-Tv indiane per giustificare il comportamento da cacasotto del nostro governo.
De Mistura forse non ha ancora capito che non è l’Italia che deve essere riabilitata, ma il governo patacca indiano.
In Tv ci vada per dire poche verità (e meno cazzate):
1) L’India non ha alcuna giurisdizione sulla vicenda Marò in quanto è provato che essa è avvenuta in acque internazionali.
Solo atti illeciti delle autorità indiane, avallate dall’imbecillità di quelle italiane, hanno determinato il fermo arbitrario dei due militari italiani.
2) Se in India è in corso una guerra politica per bande trovino altri argomenti per litigare e lascino in pace i due militari italiani.
3) Se gli indiani hanno tempo da perdere lo dedichino a garantire la sicurezza dei loro porti commerciali che sono un colabrodo
4) E’ l’ultima volta che il nostro Paese permette il sequestro di un proprio ambasciatore, la prossima volta dall’ambasciata indiana a Roma non esce sulle proprie gambe neanche il cuoco.
5) Senza il ritorno immediato dei due marò i 100.000 turisti italiani che ogni anno visitano l’India si riduranno a zero, mentre saranno espulsi come indesiderati i 100.000 lavoratori indiani ospiti del nostro Paese.
6) Se il governo indiano continua a violare il diritto internazionale non rispondiamo di azioni inconsulte in Italia contro obiettivi civili indiani.
Se De Mistura non ha le palle o il mandato per dire queste semplici cose, torni a casa ed eviti di farci fare ulteriori figure di merda.
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Marzo 26th, 2013 Riccardo Fucile
DURO ATTO DI ACCUSA DI TERZI CONTRO IL GOVERNO: “MI DIMETTO PERCHE’ SOLIDALE COI DUE MARO’ E LE LORO FAMIGLIE”… ORA MONTI CHIEDA ASILO POLITICO A QUELLE AZIENDE PER CUI SI E’ VENDUTO L’ONORE DELL’ITALIA
Il ministro degli Esteri Giulio Terzi, oggetto di pesanti critiche per la gestione del caso marò, ha dato
le dimissioni, in disaccordo con la decisione di rimandare in India i due fucilieri di Marina accusati di aver ucciso due pescatori indiani.
“La mia voce è rimasta inascoltata”, ha detto il ministro annunciando la sua decisione mentre riferiva alla Camera sul caso.
“Mi dimetto perchè per 40 anni ho ritenuto e ritengo oggi in maniera ancora più forte che vada salvaguardata l’onorabilità del Paese, delle forze armate e della diplomazia italiana. Mi dimetto perchè solidale con i nostri due marò e con le loro famiglie”, ha spiegato in Parlamento.
“Saluto con un sentimento di profonda partecipazione e ammirazione i marò Latorre e Girone. Ancora ieri le loro parole hanno dato uno straordinario esempio di attaccamento alla patria”, aveva detto il ministro alla Camera in apertura della sessione durante la quale il governo riferisce sul caso dei due militari italiani accusati dell’uccisione di due pescatori indiani mentre erano di guardia a una nave italiana, e al centro di una lunga contesa giudiziaria con l’India.
Il rimbalzo di decisioni contraddittorie prese dalla Farnesina e dal ministero della Difesa, prima con il rifiuto di rimandare in India i militari che avevano avuto la concessione a recarsi in Italia per votare, e poi con il cedimento alle pressioni di Delhi per un immediato rientro, ha provocato in questi giorni un’aspra polemica politica, con aperte accuse alla Farnesina di aver agito in totale autonomia.
Accusa cui Terzi ha risposto così: “In questi giorni ho letto ricostruzioni enormememente fantasiose in merito ad azioni che avrei assunto in modo autonomo, senza considerare gli effetti e i rischi di questa azione. Da uomo delle istituzioni per quarant’anni – ha aggiunto Terzi – mai avrei agito in modo autoreferenziale”.
“Tutte le istituzioni erano informate e d’accordo sulla decisione di trattenere in Italia i marò. La linea del governo è stata approvata da tutti l’8 marzo”.
“Nelle ultime settimane – ha proseguito Terzi – la decisione dell’India di sospendere l’immunità del nostro ambasciatore Daniele Mancini, in palese violazione della convenzione di Vienna, è stata giudicata da tutti i partner un atto di ritorsione platealmente illegittimo, che ha indebolito la credibilità del governo indiano su questa specifica controversia”.
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Marzo 26th, 2013 Riccardo Fucile
FICO AVVERTE: “CHI DISSENTE E’ FUORI DAL MOVIMENTO”
«Ditemi che succede», chiede Beppe Grillo a Vito Crimi e Roberta Lombardi.
«Voglio sapere se davvero nel gruppo ci sono persone che pensano di fare un accordo con il Pd».
Mentre sul blog il capo politico del Movimento 5 Stelle attaccava le “orde di trolls” colpevoli di non essere fedeli alla linea, nella vita reale chiedeva spiegazioni ai suoi portavoce in Parlamento sui retroscena degli ultimi giorni.
Quel che ha letto sui giornali non gli è piaciuto affatto.
Sapere che qualcuno pensa che «così rischiamo di perdere il nostro appuntamento con la storia», oppure che «se avessimo dovuto dare la fiducia a Crocetta il modello Sicilia di cui ci vantiamo non sarebbe mai partito», è una cosa che proprio non gli va giù. Così sente i capigruppo. Chiede spiegazioni.
E mentre in Rete parte la caccia agli infiltrati, in Parlamento, tra chi ha espresso il suo dissenso, serpeggia la paura.
«Dimmi chi è il senatore che ti ha parlato», chiede Rocco Casalino — ex concorrente del Grande Fratello, ora uomo di comunicazione dei grillini lombardi — a un cronista. Lamenta la pressione e gli attacchi della stampa: «Faccio questo lavoro da anni e non ho mai visto una cosa del genere».
Tra i parlamentari, nel week end, sono girate e-mail che si interrogavano sui non allineati. Roberta Lombardi ha scritto ai deputati. Crimi ai senatori.
«Non ci credo che 20 di noi siano pronti a votare la fiducia a Bersani», è una delle frasi del capogruppo di Palazzo Madama.
Che suona come un monito: attenzione, dopo la divisione su Grasso, non possiamo permettercene altre.
Ufficialmente, ogni dissenso è negato. «Siamo un gruppo compatto », dice la ventiseienne calabrese Federica Dieni.
«Vorrei che chi pensa queste cose ne parlasse al gruppo», invita il toscano Alfonso Bonafede.
Ancor più chiaro, Roberto Fico: «Se uno vota contro la decisione dei gruppi, stavolta, è fuori. Se al Senato votano contro in 53, sono fuori in 53».
A chi le chiede se ci sarà un’assemblea prima dell’incontro di domani mattina con il Pd, Roberta Lombardi risponde secca: «Non è stato chiesto un momento di confronto. La linea è talmente pacifica…».
Eppure già ieri sera — dopo l’aula — i deputati si sono riuniti in segreto fino a tardi. Non tutto è in chiaro. Non tutto va in streaming. E c’è chi, come Tatiana Basilio, di Brescia, alcune defezioni le mette in conto: «In tutte le famiglie qualche figlio si può perdere».
Il punto è che anche coloro che fino a sabato scorso erano pronti ad alzare la mano e chiedere agli altri: «Sicuri che non sia il caso di andare a vedere le carte di Bersani? Sicuri che così non si finisca per aiutare la vecchia politica?», non hanno trovato le sponde che cercavano nel Pd.
Fanno notare che il segretario non ha fatto nessuna proposta irrinunciabile ai 5 Stelle. Che quando Grillo gli ha chiesto di abolire il finanziamento pubblico, «ha tirato fuori l’antica Grecia per dire che no, i soldi alla politica servono».
Soprattutto, vedono trattative in corso con la Lega, con il Pdl. «Se tanto si fanno un governo tra loro, che senso ha impuntarci e rischiare di farci cacciare?».
A questo punto, è davvero difficile che i mal di pancia dei singoli possano trasformarsi in battaglia politica all’interno dei gruppi.
Nè rischia di ripetersi un caso Grasso, perchè il voto sulla fiducia è palese, l’espulsione sarebbe immediata.
Tra le voci di Transatlantico, c’è anche quella di un prossimo arrivo di Grillo, che il giorno della salita al Colle non ha incontrato i parlamentari come qualcuno si aspettava.
«Non ne so nulla — dice un deputato — ma personalmente avrei la necessità di vederlo, o almeno sentirlo in assemblea, tanto per sapere che cosa ha in mente. Non che sia influente, ma almeno ne prendiamo coscienza».
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica“)
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Marzo 26th, 2013 Riccardo Fucile
E LA DE GIROLAMO ATTACCA I CONSIGLIERI DILETTANTI DI SILVIO
La tentazione di presentarsi oggi di persona al cospetto di Bersani l’ha coltivata per tutto il giorno:
«Riceve pure nella Sala del Cavaliere», ha ironizzato coi suoi Silvio Berlusconi.
Ci ha pensato fin tanto che un canale di comunicazione coi dirigenti Pd è rimasto aperto.
Poi è saltato tutto, in serata il leader Pdl è decollato alla volta di Milano (sembra per adempimenti legati ancora alla causa di separazione con l’ex moglie), lasciando che nel pomeriggio siano Angelino Alfano e Roberto Maroni, coi capigruppo dei due partiti, a incontrare il premier incaricato
E anche se qualcuno dei dirigenti non esclude che alla fine il leader Pdl possa fare un’improvvisata, la verità è che per lui il treno Bersani corre ormai su «un binario morto».
Lo ripete ad Alfano, ai coordinatori Verdini e Bondi, agli altri dirigenti prima di partire: «Ormai il segretario Pd costituisce un ostacolo sulla via del governo delle larghe intese»
Alfano ha l’incarico di «rivendicare la rappresentanza dei quasi dieci milioni di italiani che ci hanno votato e che non possono essere tagliati fuori dal governo e dalla scelta del capo dello Stato».
Quirinale che poi comprende la partita per il segretario generale di quel Palazzo: anche su quella figura di garanzia, delicata e influente, Berlusconi pretende di avere voce in capitolo.
Il Pdl giudica «indecente e irricevibile » la proposta del doppio binario lanciata ancora ieri da Enrico Letta, uno per le riforme uno per il governo.
«Vorrebbero un Freccia rossa per il loro governo e un treno locale per le riforme, ma così non si va da nessuna parte» tira le somme Paolo Bonaiuti.
Ecco perchè lo stato maggiore del partito guarda già oltre Bersani. «Non impicchiamoci alle definizioni, governo di scopo, governo del presidente, l’importante è uscire dalla fossa» ragiona Annamaria Bernini.
E tra i nomi che rimbalzano, quello del ministro uscente Annamaria Cancellieri.
In alternativa alle larghe intese, per Berlusconi, solo il voto. E sulla scia del successo della piazza di sabato, ne preannuncia «una a Bari tra quindici giorni».
La macchina va tenuta in moto.
A “Porta a Porta” Alfano racconta che il centrodestra ora è «in testa col 31,4 per cento». E con la Lega, assicura, tutto fila.
In mattinata, Maroni non aveva escluso che il Carroccio incontrasse da solo Bersani, ma il segretario Pdl in serata lo ha escluso: «Andremo tutti insieme».
Segno che una qualche frizione sul punto c’è stata
Nel lungo vertice dei parlamentari con Berlusconi – in cui Mariastella Gelmini è stata affiancata da vicario al discusso capogruppo Renato Brunetta – non sono mancate le scintille.
Accese da una coraggiosa Nunzia De Girolamo, la quale dopo aver ascoltato il Cavaliere, prende la parola e dice che «se abbiamo vinto queste elezioni lo dobbiamo a te, ma non certo ai tanti consiglieri che si sono distinti in questi anni per consigli sbagliati ».
E cita la strategia che ha portato a candidare Schifani (poi sconfitto) al Senato, «anzichè restare sulla scheda bianca e lasciare in campo il candidato grillino ».
Dopo di lei Jole Santelli. Atto d’accusa contro la cerchia ristretta che circonda il capo. Dicono basta alle accuse contro «un gruppo di donne che danneggerebbe il partito e avrebbe causato la mancata nomina del nostro segretario d’aula: falso».
Gelo in Sala Colletti.
Il segretario Alfano al fianco di Berlusconi è terreo.
Ma il capo apprezza («Il pepe condisce le pietanze») e accetta l’invito a farsi vedere più spesso, le fibrillazioni sono troppe: «D’ora in poi una volta a settimana».
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Marzo 26th, 2013 Riccardo Fucile
QUATTRO ANNI PER GIANCARLO RIGHINI, ACCUSATO DI ASSOCIAZIONE A DELINQUERE E DEFINITO “GALLINA DALLE UOVA D’ORO”
A pochi giorni dall’insediamento del nuovo consiglio regionale del Lazio è arrivato il primo guaio giudiziario per il centrodestra, oggi all’opposizione.
Il tribunale di Velletri ha condannato il neo consigliere del gruppo Fratelli d’Italia Giancarlo Righini a 4 anni di reclusione, per associazione per delinquere finalizzata alla turbativa d’asta, con l’interdizione dai pubblici uffici.
La vicenda risale al gennaio del 2005, quando Righini — all’epoca assessore ai lavori pubblici del comune di Velletri — venne arrestato su richiesta del pm Giovanni Taglialatela.
L’accusa — poi sostanzialmente accolta dal tribunale — era quella di aver costituito un vero e proprio comitato d’affari per la spartizione degli appalti.
L’inchiesta era partita da una denuncia di un imprenditore che aveva scoperto una modifica di un’offerta per un bando di gara.
Oltre al neo consigliere regionale di Fratelli d’Italia la sezione penale di Velletri — presieduta da Mariella Roberti — ha condannato l’ex assessore comunale Lamberto Trivelloni, Udc, e l’attuale dirigente dell’ufficio urbanistica Alessandro Albertini, rispettivamente a 4 e 5 anni di reclusione.
Il senso dell’inchiesta apparve chiaro agli investigatori ascoltando le parole pronunciate dal dirigente Albertini: “Questa è la gallina dalle uova d’oro”, spiegava dopo la nomina di Righini all’assessorato ai lavori pubblici.
Secondo la parte civile che rappresentava il Comune di Velletri — oggi governata da una giunta Pd — il condizionamento degli appalti avrebbe portato gravi conseguenze sui bilanci comunali, con la dichiarazione del dissesto finanziario.
Il tribunale ha accolto anche la richiesta di risarcimento danni da parte dell’amministrazione comunale, con la quantificazione della cifra da decidere in sede civile.
Giancarlo Righini è stato eletto consigliere regionale con oltre 5mila voti, raccolti soprattutto nell’area dei Castelli romani.
Andrea Palladino
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 26th, 2013 Riccardo Fucile
UN GRUPPO DI FORESTALI DI BAGHERIA IMPONEVA TANGENTI AGLI IMPRENDITORI: COSI’ EVITAVANO ISPEZIONI PER ABUSI EDILIZI E VIOLAZIONI AMBIENTALI
Con cinquecento euro chiudevano un occhio, e pure l’altro, su costruzioni abusive e maxi discariche. 
Dovevano essere i tutori del territorio della provincia di Palermo, e invece erano i principali complici dello scempio.
Nel silenzio generale. Ma, casualmente, qualcosa è emerso nell’ambito di un’inchiesta per mafia e i poliziotti della sezione Criminalità organizzata hanno iniziato a indagare. Così, questa mattina sono stati arrestati quattro agenti della forestale.
In carcere sono finiti Pietro Rammacca, 50 anni, e Rosario Spataro, 49; ai domiciliari, Domenico Bruno, di 49 anni, e Giovanni Fontana, di 52.
Sono tutti appartenenti al distaccamento di Bagheria del corpo forestale della Regione Siciliana. Sono accusati, a vario titolo, di corruzione, induzione indebita a dare o promettere utilità , omessa denuncia e abuso d’ufficio. Il provvedimento, emesso dal gip di Palermo Angela Gerardi ha portato agli arresti domiciliari anche un imprenditore di Ventimiglia di Sicilia, Rosario Azzarello, 45 anni.
I poliziotti della Mobile hanno seguito in diretta i ricatti.
Piazzando una microspia nell’auto di un forestale hanno ascoltato anche la pianificazione delle estorsioni e gli accordi per dividersi la tangenti.
I forestali corrotti si muovevano come gli esattori di Cosa nostra, soprattutto alla vigilia delle festività di Pasqua e Natale.
E gli imprenditori pagavano.
Anzi, spesso, erano loro a cercare i forestali, per chiedere protezione e continuare a fare senza problemi abusi edilizi e ambientali.
L’inchiesta della polizia, coordinata dai sostituti procuratori di Palermo Caterina Malagoli e Alessandro Picchi, è appena all’inizio.
Ci sono altri forestali sott’inchiesta. Anche loro appartenenti al distaccamento di Bagheria.
Già nel passato erano emerse irregolarità in quell’ufficio, ed era pure arrivato qualche trasferimento, ma nessuna denuncia alla magistratura.
Salvo Palazzolo
(da “La Repubblica”)
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Marzo 26th, 2013 Riccardo Fucile
FRANCESCO CECERE, DETTO “FRANCHINO ‘A BELVA”, PER NOVE ANNI CONSIGLIERE COMUNALE E GIA’ ASSESSORE A SANTA MARIA CAPUA VETERE, AVREBBE FATTO DA COLLETTORE PER IL DENARO DEI CLAN, TRATTENENDO PER SE’ UNA PERCENTUALE
Consigliere comunale per nove anni, gli ultimi in quota Pdl, ed ex assessore a Santa Maria Capua Vetere (Caserta), la città dove ha sede il Tribunale dei processi al clan dei Casalesi.
Ma anche usuraio per conto della camorra.
Questa la doppia vita di Francesco Cecere, detto ‘Franchino ‘a Belva’. Così almeno è riportata in alcuni lunghi passaggi dell’ordinanza del Gip di Napoli Pietro Carola.
Francesco Cecere, già arrestato in passato con l’accusa di aver indicato alle cosche i cantieri sui quali si poteva andare a chiedere il pizzo, figura tra le 41 persone finite in carcere in seguito al maxi blitz dei carabinieri tra le province di Caserta, Crotone, Avellino, Lecce, Benevento e Salerno che ha sgominato i vertici del clan Amato-Pagano.
La Dda di Napoli stavolta lo ha fatto ammanettare per usura aggravata dal metodo mafioso per conto del capoclan Salvatore Amato (già processato in altra sede per questo reato).
“La fonte principale di prova — scrive il Gip — è costituita dall’imponente patrimonio dichiarativo dei collaboratori di giustizia sopravvenuti in epoca recente, a conoscenza dei fatti per esserne stati direttamente partecipi, ovvero per essere figure apicali o comunque di assoluto rilievo all’interno del clan di appartenenza”.
Già pescivendolo e autista dell’azienda Consortile Trasporti di Caserta, in pensione, secondo i verbali di Rosa Amato, ‘Franchino’ “procurava i clienti per l’usura a mio padre a mio zio Antonio, guadagnandoci sulla somma pagata per gli interessi mensili”.
Interessi del 20%. Un altro pentito, Angelo D’Onofrio, precisa: “I clienti, invece di consegnare direttamente i soldi a Salvatore Amato, li consegnava a Cecere, era lui che provvedeva a portarli al capoclan. Non so se mantenesse poi per sè una percentuale dei soldi consegnati ad Amato…”.
Domenico Russo, sentito dagli inquirenti nell’autunno del 2009, aggiunge qualche dettaglio: “(Cecere) è persona fortemente indebitata con Salvatore Amato… è molto legato ad Elio Diana, cognato di Francesco ‘Cicciariello’ Schiavone (cugino di Francesco Sandokan Schiavone, lo storico boss dei Casalesi, ndr) ed è proprio attraverso l’intervento di Diana che è riuscito a non pagare gli interessi ai suoi creditori. In realtà con le somme di denaro ottenute in prestito concede a sua volta prestiti a tassi usurai del 20 o 30% mensili a persone di Santa Maria Capua Vetere, San Tammaro, Capua e Libero. In quest’ultimo comune a due vecchietti che hanno perso il figlio per una leucemia e che ha praticamente rovinato”.
Vincenzo Iurillo
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 26th, 2013 Riccardo Fucile
DAI BIG DEL PD NON SONO ARRIVATI SEGNALI DI PARTICOLARE INCORAGGIAMENTO A BERSANI
Venerdì 22 marzo magari era tardi, Bersani ebbe l’incarico al calar del sole e forse qualcuno non ebbe
tempo o era impegnato in riunioni chissà dove.
Ma poi vennero il sabato e la domenica: e tutto, però, continuò a tacere.
Silenziosa Rosy Bindi, silenzioso Massimo D’Alema, zitti altri leader del peso di Walter Veltroni e Franco Marini.
A volte, la solitudine di un leader la si può far trasparire anche così: evitando qualunque commento, e perfino un semplice augurio – un in bocca al lupo – al segretario che parte in guerra per la sua missione impossibile.
Anche la Direzione di ieri – che pareva esser diventata la sede madre di ogni decisione, il luogo in cui il Pd avrebbe dovuto dire «o Bersani o morte», ha trasmesso la stessa sensazione: un solo intervento, meno di un’ora in tutto (comprese introduzione e replica), assenze numerose e alcune eccellenti, Renzi (a fare il sindaco), D’Alema (a Parigi per impegni), Veltroni (ancora con qualche problema di salute) e si potrebbe continuare.
Qualcuno si attendeva battaglia intorno alla domanda delle domande: ma se Bersani fallisse, che si fa?
La battaglia non c’è stata: tutto rinviato alla prima occasione utile…
Non è un mistero, infatti, la circostanza che nel Pd le acque siano agitate e molti non abbiano condiviso granchè la linea proposta da Bersani subito dopo il voto: e cioè, un governo per il cambiamento, che vuol dire mai più con Berlusconi, a meno che nella partita non ci siano anche i voti di Beppe Grillo.
E ancor di meno hanno condiviso l’approdo che il segretario vorrebbe per tale linea: se io fallisco si torna al voto.
Qualcuno (D’Alema) non ha condiviso per ragioni politiche, considerando un errore dire pregiudizialmente no ad un confronto con il Pdl.
Altri non hanno condiviso – ma hanno taciuto – per ragioni che vedono sommate perplessità politiche e delusioni e rancori difficili da digerire.
Non c’è da scandalizzarsene, visto che la strategia che ha portato Bersani fino all’incarico di formare un governo, ha lasciato morti e feriti nel quartier generale del Pd.
C’erano state – all’inizio – «rinunce elettorali» (Veltroni, D’Alema, Turco…) faticose da metabolizzare; poi la vicenda dei nuovi presidenti di Camera e Senato (con la grande delusione subita da Dario Franceschini e Anna Finocchiaro), infine l’elezione dei nuovi capigruppo, con la scelta a sorpresa di Zanda e Speranza , che ha infoltito la schiera di chi oggi ce l’ha con Bersani.
Ma poichè – come Enrico Letta ha annotato aprendo la Direzione – «il tentativo di Bersani senza unità del Pd è impossibile», nemmeno ieri malesseri e dissensi sono venuti allo scoperto.
E in fondo, solo di questo si tratta: di farli emergere. Perchè che esistano, Bersani lo sa: meglio ancora, lo considera scontato. Del resto, far «girare la ruota» – come il segretario ripete – è operazione spesso dolorosa. E talvolta perfino rischiosa.
E così, il Pd osserva Bersani alle prese con la sua missione impossibile e lo fa con una passione e una partecipazione impalpabili.
Cosa spera la maggioranza del partito?
Difficile dirlo, in considerazione delle tante partite aperte tra i democratici (dal Quirinale fino alla possibilità di elezioni a giugno).
E in fondo, la forza del segretario oggi sta soprattutto qui: nelle debolezze e nelle divisioni di chi – più o meno scopertamente – lo avversa.
C’è chi vorrebbe che il governo nascesse (i bersaniani) ma magari per durare pochi mesi (è quel che sperano i «giovani turchi» ed i renziani); c’è chi vorrebbe che il governo non nascesse affatto e se ne varasse uno «del Presidente» (i veltroniani, i dalemiani e gran parte di quella che fu la maggioranza che elesse Bersani e lo ha poi sostenuto alle primarie), e c’è – infine – chi direbbe sì a qualunque ipotesi che tenga Renzi lontano (ma fino a quando?) dal quartier generale…
Una pentola a pressione, insomma, nella quale alle delusioni da «ruota che gira» si vanno sommando preoccupazioni politiche e timori personali.
Ma è già noto a tutti il passaggio nel quale il coperchio della pentola potrebbe saltare: l’eventuale naufragio del tentativo Bersani.
A quel punto, il Pd si ritroverà di fronte a un bivio micidiale: seguire Napolitano nel probabile tentativo di dare comunque un governo al Paese o stare sulla linea del segretario (dopo di me, solo il voto).
Difficile dire come finirà : ma secondo alcuni, in nome della chiarezza,sarebbe già molto farlo cominciare…
Federico Geremicca
(da “La Stampa“)
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Marzo 26th, 2013 Riccardo Fucile
BERND SCHLOMER: “GRILLO DOVREBBE ASCOLTARE DI PIU’ LE VOCI ALL’INTERNO ANZICHE’ DIRIGERE UN FAN CLUB”
Migliaia di iscritti, nessuna vera piramide di potere e vita politica soprattutto sul Web. Piratenpartei, il Partito dei pirati tedesco, è il volto nuovo della Germania.
Fondato nel 2006 sul modello dei pirati svedesi, dopo aver conquistato tra 2011 e 2012 l’ingresso nei parlamenti regionali di Berlino e del Saarland, superando la soglia di sbarramento del 5 per cento, a maggio dello scorso anno è entrato trionfalmente in due Lander importanti, lo Schleswig Holstein e la regione più popolosa della Germania, il Nordreno Westfalia.
Chiede riforma del diritto d’autore, trasparenza su Internet, diritti civili e antinuclearismo.
In vista delle politiche del 2013 rischia di diventare una minaccia per le due grandi corazzate tedesche, la Spd e la Cdu.
Quasi un cittadino su tre ha detto di essere tentato dall’idea di votarlo.
E tra i giovani la quota sale al 50 per cento.
“Siamo la spina nella carne dei partiti tradizionali”, spiega il leader Bernd Schlà¶mer.
Lo slogan ricorda quello di un altro partito giovane, qui in Italia. Qualcosa in comune con il Movimento 5 Stelle?
“Ho letto il programma del partito di Beppe Grillo, sembra interessante. Ma è stato scritto davvero dagli attivisti? Come si fa a credere che non sia solo un pezzo di carta. So di alcuni gruppi locali che per gestire i loro processi decisionali utilizzano il Liquid Feedback (software open source dei pirati tedeschi studiato per promuovere la formazione di opinioni condivise all’interno di una comunità , ndr). Mi chiedo allora perchè non sia stato fatto lo stesso per il programma nazionale”.
Secondo Grillo tutti i partiti sono uguali e vanno cancellati. La pensa allo stesso modo?
“Mi sembra che nel vostro Paese in molti siano critici verso il sistema dei partiti. Per questo i Pirati italiani stanno sondando la possibilità di rinnegare i leader eletti o i comitati direttivi e approfittare del Liquid Feedback per prendere decisioni. Lo stesso sistema è già stato sperimentato in Argentina e in Israele. Grillo dovrebbe ispirarsi a questi modelli e lasciare spazio alla democrazia. In Germania la legge impone strutture di partito rappresentative, ma, parallelamente, stiamo sperimentando assemblee decisionali di questo tipo”.
Come giudica la struttura gerarchica del M5S? E i meeting segreti?
“Forse le intenzioni sono buone. Ma se Grillo non vuole un partito democratico, l’unica alternativa è la struttura autoritaria. Credo che dovrebbe ascoltare di più le voci all’interno del movimento e, anzichè dirigere un fan club, trovare alternative ai partiti senza perdere di vista la democrazia. In Germania il M5S non sarebbe neppure legale. Le riunioni segrete poi non le comprendo”.
Qual è la sua opinione su Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio?
“Ho visto alcuni filmati. Mi sono piaciuti i pantaloni a zampa che indossava Grillo negli Anni 70. Tuttavia, non ho trovato divertenti alcune sue esternazioni sull’immigrazione. E nemmeno l’apertura a frange di estrema destra. Per quanto riguarda Casaleggio trovo che il controllo sull’opinione pubblica che egli esercita attraverso il web sia inappropriato per il leader di un partito democratico”.
A proposito di estrema destra, che cosa pensa di Casapound?
“Il solo fatto che in campagna elettorale Grillo abbia strizzato l’occhio a questo movimento rappresenta la garanzia che una collaborazione con il M5S sarà estremamente difficile”.
Grillo vorrebbe un referendum sull’euro. Qual è la politica dei Pirati su moneta unica e Unione europea?
“Noi siamo a favore dell’Europa, ma sosteniamo anche la partecipazione popolare. Quindi, se gli italiani vogliono andare al voto per decidere la loro permanenza nell’euro, ben venga”.
Grillo ha dichiarato di non voler stringere alleanze con il Pd di Bersani. Strategia giusta?
“Dovrebbe far scegliere al Movimento. Non capisco come una persona che non è stata eletta possa decidere su ciò che farà il Parlamento”.
Il programma 5 Stelle prevede Internet libero e democrazia diretta attraverso la Rete. Sono le vostre stesse battaglie?
“Noi abbiamo dato vita al Piratenpartei anche per contrastare la censura su Internet. Non è un problema se Grillo si è ispirato ai pirati tedeschi. In politica le buone idee sono fatte per essere copiate”.
I “grillini” chiedono il limite di due mandati per i parlamentari. Siete d’accordo?
“Sembra un’ottima idea. Credo che la sottoporrò al Liquid Feedback”.
A settembre ci saranno le elezioni in Germania. Previsioni per la Piratenpartei?
“Se riusciremo a distrarre i giornalisti dai nostri contrasti interni, allora niente potrà impedirci di entrare nel Bundestag”.
Enrico Caporale
argomento: Arancioni, Europa | Commenta »