Luglio 1st, 2013 Riccardo Fucile
NON E’ UNA NOVITA’ CHE UN CRISTIANO ABBIA UNA PREFERENZA PER I POVERI, GLIMORFANI, GLI AMMALATI, I CARCERATI, MA QUELLO DI BERGOGLIO E’ UNO STILE CHE AFFASCINA, COLPISCE, CONTAGIA
Non è una novità che un cristiano abbia una preferenza per i poveri, gli orfani, gli ammalati, i carcerati, ma quello di Bergoglio è uno stile che affascina, colpisce, contagia.
Non c’è da stupirsi se la prima uscita di Papa Francesco da Roma sarà una visita a Lampedusa.
Bergoglio vuole essere presente là dove arrivano gli «ultimi» del mondo, gente senza nulla che rischia la vita – e molto spesso la perde – pur di conquistarsi quello per cui ogni essere umano è fatto: il futuro.
Non c’è da stupirsi perchè questo Papa ha già dato tanti segni della sua vicinanza a coloro che san Cottolengo chiamava «le briciole» dell’umanità : briciole che, come nel racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci, non devono andare disperse.
Come Gesù che si commuoveva davanti a una vedova o a un ammalato, anche papa Francesco si è commosso alla notizia dell’ultimo, recente naufragio: e ha chiesto di andare là , a Lampedusa, a pregare.
E di andarci in modo discreto: non sarà uno spettacolo.
Tutto questo conferma la grande novità portata da questo papa.
Non è una novità il fatto che un cristiano abbia una preferenza per i poveri, gli orfani, gli ammalati, i carcerati e gli ignudi.
E non è che i predecessori di papa Bergoglio non dicessero le stesse cose e non provassero gli stessi sentimenti.
Ma ognuno ha il proprio stile e quello di Bergoglio è uno stile che affascina, colpisce, contagia.
Perchè? Perchè la gente ha capito che quest’uomo davvero ha sempre vissuto accanto ai derelitti delle sue parrocchie; ha capito che davvero è uno che girava in metropolitana e si sarebbe trovato a disagio a vivere nel celeberrimo «appartamento» papale che infatti ha lasciato.
Insomma la gente percepisce che quel che Bergoglio dice «corrisponde» a quel che lui è.
Questo è il motivo del grande risveglio che quest’uomo ha, in poco tempo, portato nella cristianità e anche fuori dalla cristianità .
Un antico motto, attribuito a un asceta cristiano del quarto secolo, Evagrio Pontico, dice: «A una teoria si può rispondere con un’altra teoria. Ma chi mai potrà confutare una vita?».
Michele Brambilla
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Luglio 1st, 2013 Riccardo Fucile
PROBLEMI TECNICI ALLA BASE DELLA RINUNCIA DI BELGIO E OLANDA… LE FERROVIE OLANDESI ORDINANO DIVERSI CONVOGLI ALLA CANADESE BOMBARDIER
I treni prodotti da Ansaldo Breda non funzionano. 
E l’Olanda, dopo avere cancellato gli ordini, sostituisce “temporaneamente” quelli già consegnati con quelli realizzati dalla società canadese Bombardier, che saranno costruiti in Germania.
Alcuni convogli Traxx, secondo quanto riportato dalla radio olandese Nos, sono già stati ordinati.
L’Olanda e il Belgio hanno tagliato completamente i ponti con la compagnia italiana controllata da Finmeccanica all’inizio di giugno, cancellando tutte le commesse che valevano quasi mezzo miliardo di euro e riguardavano la fornitura di 19 coinvogli ad alta velocità Fyra V250, destinati a collegare Amsterdam e Bruxelles.
Per prime si sono mosse le ferrovie del Belgio, che hanno elencato tutte le anomalie riscontrate dopo appena un mese (pezzi che si staccano a causa del ghiaccio, surriscaldamento delle batterie e ruggine) e hanno sospeso il servizio sostituendo i treni, per poi prendere la decisione drastica di interrompere il contratto di fornitura per tre convogli.
Decisione che è stata seguita dopo pochi giorni anche dall’Olanda, che ha rinunciato ai sette convogli ancora da recapitare, la cui consegna era prevista inizialmente nel 2007.
E’ quindi partito un vero e proprio braccio di ferro, con l’Italia che minaccia azioni legali per il modo in cui è stato annullato il contratto e i due Paesi stranieri che chiedono indietro i soldi già pagati.
La tensione era evidente alcune settimane fa, quando il Parlamento dell’Aja ha convocato Maurizio Manfellotto, amministratore delegato di Ansaldo Breda, per fare chiarezza sui “problemi tecnici” dei treni.
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Luglio 1st, 2013 Riccardo Fucile
ROBERTO COTTI INTERVIENE IN SENATO SU UN GROSSO TEMA POLITICO: MANCA UN PARCHEGGIO NEI DINTORNI, GLI VIENE VIETATO ENTRARE CON LA BICI IN SENATO, ALLA FINE RISULTA ASSENTE E PERDE 300 EURO DI DIARIA
E’ proprio vero: da quando Beppe Grillo ha portato la sua supersquadra in Parlamento, il livello del dibattito si è alzato.
Lo si capisce da questo intervento in Senato di Roberto Cotti, che impegna tutto il Senato in un grandissimo dibattito: quella mattina non ha trovato parcheggio per la sua bici, e la polizia gli ha perfino vietato di prendersi la bici in spalla e portarsela dentro il palazzo in ufficio.
Si sente discriminato: perchè gli altri senatori si portano bauli in stanza e lui non può portare la sua bici?
Cotti è arrabbiato, perchè non trovando parcheggio per la bici è arrivato in ritardo, lo hanno segnato assente e si è perso 300 euro di diaria.
Lancia così la sua battaglia per la bici in Parlamento, vietata per “ignoranza” o per “distrattezza”.
Forse meglio una battaglia per imparare la lingua italiana?
Franco Bechis
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Luglio 1st, 2013 Riccardo Fucile
SCAJOLA, TREMONTI, MUSSOLINI, ANGELUCCI, CIARRAPICO, MARTINO, BIASOTTI, BONIVER SONO SOLO ALCUNI DEI PARLAMENTARI ATTUALI O EX CHE NON HANNO VERSATO LE “MESATE” AL PARTITO COME DA IMPEGNI PRESI
Con un partito in bolletta, costretto pure a lasciare la storica sede di via dell’Umiltà , la situazione
economica per il Pdl si fa sempre più grave.
E tutti implorano Silvio Berlusconi di intervenire personalmente, come già avvenuto in passato.
Ma l’ex premier, stanco di anticipare soldi di tasca propria, non ne vuole sapere.
Non a caso fra i cardini della Forza Italia 2.0 di cui si parla da tempo dovrebbe esserci una schiera di imprenditori in grado di assicurare autonomia economica al nuovo movimento.
A confermare quanto il momento sia difficile è l’intervista rilasciata dal vice-tesoriere Maurizio Bianconi, che ha parlato di oltre 6 milioni di euro mai versati dagli eletti: «Sapesse quanti tirchi ci sono tra noi. Alcuni sono tirchi celebri, altri tirchi meno. Ma sempre tirchi sono… », la pragmatica analisi fatta dal verace deputato toscano al “Corriere della sera”.
Ma di chi si tratta? «Io i nomi non glieli posso proprio fare perchè violerei le leggi sulla privacy», ha risposto Bianconi.
Ebbene quei nomi ‘l’Espresso’ invece è in grado di farli.
Andando a spulciare i contributi privati ricevuti dal Popolo della libertà è possibile infatti scoprire quanti eletti sotto le insegne del Pdl nel 2012 non abbiano corrisposto la “mesata” (500 euro al mese per governatori e consiglieri regionali, 800 per parlamentari italiani ed europei).
Dall’inizio del 2012 a oggi risultano mancare all’appello 39 deputati e 30 senatori, grosso modo il 20 per cento degli eletti della scorsa legislatura.
Fra le assenze più celebri, spiccano quelle degli ex ministri Giulio Tremonti e Claudio Scajola, deputati fino allo scorso marzo ma in rotta da tempo col partito.
Avrebbero dovuto sborsare 9.600 euro in tutto ma non l’hanno fatto.
Desta stupore soprattutto Tremonti: chi per anni ha chiesto sacrifici agli italiani non si è poi attenuto alle norme di auto-regolamentazione stabilite dal Pdl.
Per quanto riguarda Scajola invece è probabile che si sia trattato di una piccola vendetta verso il partito che secondo lui non lo ha difeso abbastanza quando fu costretto a dimettersi per la casa sul Colosseo.
Altri nomi di peso che non compaiono nelle dichiarazioni depositate alla Camera sono quelli dell’ex ministro Antonio Martino, Sandro Biasotti e Alessandra Mussolini.
In questo caso la “dimenticanza” è ancora più pesante per le casse del partito.
In vista delle elezioni, infatti, il Pdl ha chiesto un contributo straordinario di 25 mila euro ai candidati in posizione sicura.
Tuttavia nè Martino (capolista in Sicilia 2), nè Biasotti (capolista in Liguria), nè la Mussolini (terza in Campania al Senato) risultano aver effettuato il versamento.
Ma l’elenco dei parlamentari rieletti (e che dunque avrebbero dovuto versare a loro volta i 25 mila euro) è lungo.
Fra i tanti, l’editore Antonio Angelucci (l’editore di ‘Libero’ nonchè re delle cliniche romane, super assenteista in Parlamento), il suo collega orgogliosamente fascista Giuseppe Ciarrapico, l’imprenditrice dei confetti Paola Pelino: tutti ricchissimi, peraltro.
Poi ci sono il ras pontino Claudio Fazzone e il coordinatore del Pdl in Europa Guglielmo Picchi.
Fra i non ricandidati troviamo l’ex ministro Enrico La Loggia, l’ex viceministro Mario Valducci, l’ex sottosegretario Margherita Boniver, l’ex generale della Guardia di finanza Roberto Speciale, Ombretta Colli e perfino due ex fedelissimi berlusconiani come Giorgio Stracquadanio e Isabella Bertolini, che poi sono passati con Monti.
A dicembre 2012 hanno lasciato il partito, ma dei loro versamenti non c’è traccia neppure prima di quella data, quando ancora lo difendevano a spada tratta.
Qualcun altro, invece, ha fatto fare il bonifico a un familiare: è il caso di Dorina Bianchi, alla quale sono riconducibili i 14.400 euro versati dalla farmacia del padre Albino a Crotone.
Nonostante il ruolo di primo piano, hanno “disertato” il contributo perfino tre governatori: il sardo Ugo Cappellacci, il friulano Renzo Tondo e il calabrese Giuseppe Scopelliti.
Per non parlare del pessimo esempio che viene da Strasburgo, dove il tasso di morosità sfiora l’80 per cento.
Ad aver saldato quanto dovuto sono stati soltanto cinque europarlamentari: Vito Bonsignore, Lara Comi, Barbara Matera, l’attuale ministro della Difesa Mario Mauro (anche lui poi passato con Monti, ma prima ha saldato) e l’eurodeputata ultrà berlusconiana Licia Ronzulli.
Di tutti gli altri, malgrado uno stipendio che si aggira sui 20 mila euro al mese, nemmeno l’ombra.
Paolo Fantauzzi
(da L’Espresso“)
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Luglio 1st, 2013 Riccardo Fucile
BERLUSCONI TEME LA RISSA INTERNA E CERCA DI MEDIARE… CICCHITTO: “QUELLO DELLA SANTANCHE’ E’ UN MODELLO DI PARTITO CHE NON HA MAI SUPERATO IL 3%”… QUALCUNO VUOLE RIDIMENSIONARE ALFANO
Paola Di Caro, Corriere della Sera | 01 Luglio 2013«Berlusconi? È disperato… Ha messo in moto delle belve che sembravano gatti domestici e ora il partito rischia di spaccarsi…»: lo sfogo del big del Pdl che giura di aver sentito lo stesso Cavaliere lamentarsi con i ministri andati a chiedergli chiarimenti e protezione, che «Santanchè, Verdini, Brunetta stanno facendo tutto da soli, non sono io che li guido…», dice molto dello scontro furioso in atto nel partito in queste ore.
L’annuncio del passaggio a Forza Italia in tempi brevi, confermato dallo stesso Berlusconi con l’assicurazione che sarà lui a guidarlo, ma la contestuale incertezza su quale modello partito si andrà a costruire, su tempi, ruoli, finalità e coinvolgimento delle truppe nell’avventura sta creando malumori, angoscia, rabbia.
E una spaccatura profonda tra chi al progetto ha lavorato e lo sostiene a spada tratta – Santanchè, Verdini, Capezzone – e chi sembra quasi subirlo, dal segretario Alfano all’area moderata che a lui fa riferimento ma anche all’ampio ventre del partito che si sente fuori da ogni ruolo decisionale.
Tutti aspettano che sia Berlusconi a chiarire cosa sta succedendo, e lui manda messaggi rassicuranti.
Sicuramente sul governo, sul quale è convintissimo: «Deve andare avanti, non vedo un governo migliore».
E questo nonostante ci siano «nel Pd come nel Pdl» alcuni che la pensano diversamente ma «dopo aver ascoltato tutti, dopo aver riscontrato che la maggioranza dei miei è favorevole al governo» il sostegno non è ad oggi in discussione.
E su Forza Italia pure Berlusconi cerca di evitare la rissa interna: quello che immagina è un progetto «che preveda il cambio del nome perchè l’acronimo Pdl non ha mai funzionato, ma soprattutto che dia vita a una nuova formazione che riavvicini i cittadini alla politica – perchè spesso i partiti sono strutture custodite da cariche locali che li allontanano -, un movimento aperto al mondo del lavoro, dell’impresa, dell’università », che non sia «appesantito da troppe regole» e la cui struttura e ruoli decisionali venga decisa «da un’assemblea che si formerà quando ci sarà il momento costitutivo del movimento…».
Che non vedrà reggenti ma un presidente certo, lui stesso.
Il resto, appunto, si vedrà : per ora il Cavaliere, angosciato per la «campagna di eliminazione portata avanti contro di me», non scioglie il nodo.
Quel nodo che incendia il clima nel Pdl perchè, stando alla Santanchè, il progetto di nuovo partito dovrebbe essere puramente presidenziale, con Berlusconi al vertice, «persone capaci» in «ruoli operativi di organizzazione» e nessun segretario: «Ci basta Berlusconi».
Una sorta di sfratto per Alfano che rappresenta nel suo ruolo anche il partito al governo, e che verrebbe – lui e l’area moderata – fortemente indebolito a fronte di un rafforzamento dei falchi che fa insorgere gran parte del Pdl.
Fabrizio Cicchitto avverte: «Non ci facciamo sciogliere: a parte il folle attacco ad Alfano, quello della Santanchè è il modello del Pli che in Italia non ha mai superato il 3%: se qualcuno vuole la guerra, noi siamo pronti a farla…».
Ma nervosi sono anche non moderati a tutti i costi come Paolo Romani («Il percorso lo indica Berlusconi, e dovrà rispettare tutte le anime, unire e non dividere»), Jole Santelli («Cerchiamo di essere tranquilli e meno chiacchieroni»), Osvaldo Napoli («FI non sarà un cavallo di Troia nel governo»), per non parlare di un alfaniano come Maurizio Sacconi, che vede come unica via «un ticket Berlusconi-Alfano» o di Maurizio Gasparri che invita tutti a darsi una calmata perchè «questo è comunque un passaggio di transizione».
E insomma, Berlusconi faticherà a trovare una soluzione che tenga unito il partito ed eviti spaccature pericolosissime, che minerebbero la forza del Pdl-Fi qualunque fosse la scelta finale, il sostegno al governo a lungo termine o anche la rottura.
Se doveva essere la panacea ai mali suoi e del Pdl, per ora l’annuncio su FI è stata piuttosto l’innesco di una miccia.
Che già domani, nel voto sulla vice presidenza della Camera con candidata la Santanchè, potrebbe trasformarsi in incendio.
Paola Di Caro
(da “il Corriere della Sera“)
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Luglio 1st, 2013 Riccardo Fucile
“NON E’ LA BATTAGLIA DELLA MIA VITA”… MA NEL PDL LE COLOMBE SONO PRONTE A IMPALLINARE L’ESPONENTE PIU’ IN VISTA DEI FALCHI
Al netto degli spifferi di parte e delle dichiarazioni ufficiali, la corsa di Daniela Santanchè verso la
vicepresidenza della Camera lasciata vacante dal collega di partito Maurizio Lupi, emigrato al governo coi galloni di ministro dei Trasporti, rischia di saltare.
E di trasformarsi nell’ennesima disfida incrociata all’interno del Pdl.
E, in parte anche dentro il Pd. Il tutto a colpi di voti segreti.
I rumors che arrivano dal gruppo parlamentare guidato da Renato Brunetta hanno ormai raggiunto anche il Pd. Tanto che dei possibili franchi tiratori, che sarebbero pronti a impallinare la Santanchè nel segreto dell’urna, ne parlano apertamente tutti.
«Che alla Santanchè possano mancare i voti del suo stesso partito ormai tutti lo sanno», mormora il capogruppo di Sel Gennaro Migliore.
Ed è lo stesso identico adagio che uno dei vicepresidenti dell’Aula di Montecitorio, il Pd Roberto Giachetti, ha sussurrato a orecchie amiche anche ieri: «Alla Santanchè dovrebbero mancare molti voti dello stesso Pdl, a quanto sento…».
LA PASIONARIA PRESA DI MIRA
Le tensioni interne al fronte berlusconiano, che si sono acuite dopo l’apertura ufficiale del cantiere della nuova Forza Italia, potrebbero scatenarsi proprio contro la pasionaria del berlusconismo.
La stessa che ieri pomeriggio (domenica 30 giugno, ndr), in diretta televisiva, s’è scherzosamente chiamata fuori dalla contesa tra falchi e colombe autoproclamandosi – in omaggio a un vecchio ritratto che le aveva dedicato Il Foglio – «la pitonessa».
L’ora X, a meno che non si cerchi di imboccare tutti insieme la strada che porta all’ennesimo rinvio, è fissata per oggi.
LA CONTA DEI VOTI
E, per la corsa della Santanchè, il responso parziale del pallottoliere è impietoso.
Senza il voto compatto dei 93 compagni di partito, dei venti leghisti e di un qualche soccorso preso qua e là tra Pd e Scelta Civica, la partita si fa complicata. Molto complicata.
Anche perchè, dall’opposizione, un blocco improvvisato tra Sel e Cinquestelle potrebbe imporre un nuovo nome.
«Noi di sicuro non diamo una mano alla Santanchè», spiega il vendoliano Migliore. «E soprattutto ricordiamo a Pdl e Pd che le vicepresidenze sono sempre state divise a metà tra maggioranza e opposizione».
È qualcosa di più di un messaggio ai naviganti. Anche perchè il capogruppo di Sel ricorda che «quando venne eletto Lupi ancora non c’era questo governo. Quindi, sarebbe una situazione da sanare, altro che Santanchè…».
LITIGI NEL PD
A complicare ulteriormente la faccenda ci si mette una divisione in casa Pd. Pippo Civati e Francesco Laforgia lanciano il sasso nello stagno e lasciano intendere il loro voto contrario alla Santanchè.
«Non si può fare una questione di maggioranza o opposizione. Nè possiamo dimenticare che la Santanchè non mi sembra un gran candidato unitario. Era lei l’altro giorno a rilasciare le solite dichiarazioni che sappiamo al tribunale di Milano, no?», rincara la voce il renziano Giachetti. Una tesi, però, a cui si oppongono i fedelissimi di Dario Franceschini.
«Non possiamo essere noi a decidere chi va in un posto che spetta al Pdl», scandisce Antonello Giacomelli. Che motiva la sua posizione con una domanda retorica: «Come avremmo reagito noi se la volta passata i berlusconiani avessero messo un veto sulla Bindi?».
Alla pessima aria che tira, si accompagnano voci sulle ambizioni verso quella poltrona di altri pidiellini, come Antonio Leone e Stefania Prestigiacomo. Ma sono soltanto voci.
Quest’ultima, però, non solo si chiama fuori.
Ma arriva addirittura a minacciare «un problema serio» per la tenuta della maggioranza qualora il Pd non riesca a gestire «i propri interessi di bottega».
Difficile però che, di fronte a una candidatura considerata «divisiva» come quella della Santanchè, il Partito democratico si spinga più in là dell’indicazione di votare scheda bianca.
Più facile che si punti a un rinvio della votazione. Altrimenti, tanti o pochi che siano, domani tornerà a scoccare l’ora dei franchi tiratori. Con effetti collaterali tutti da valutare.
Tommaso Labate
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Luglio 1st, 2013 Riccardo Fucile
RIMBORSO DI 260 EURO AL MESE AI DEPUTATI E DI 550 EURO AL MESE AI SENATORI PER SPESE TELEFONICHE…. TOTALE 4 MILIONI ‘ANNO: SOTTOSCRIVENDO ABBONAMENTI SI RISPARMIEREBBE BUONA PARTE DELLA CIFRA
Assicurare ai nostri parlamentari chiamate illimitate ci costa 20 milioni di euro a legislatura. Un vero e proprio spreco rimborsato a forfait nella busta paga di ciascun eletto.
Sì, perchè stipulando semplici contratti aziendali o da utenti privati, Camera e Senato risparmierebbero buona parte di questa cifra.
Ognuno si giustifica a proprio piacimento.
I parlamentari danno spiegazioni generiche del rimborso.
Alcuni dicono di coprire anche le spese telefoniche dello staff.
Altri dicono che il rimborso spese serve a coprire appena le telefonate fatte dai telefoni fissi.
Deputati e senatori hanno un codice personale da cui possono accedere alle chiamate esterne dalle camere. Si tratta di un codice che permette di scalare il rimborso spese telefoniche del singolo eletto.
In ogni caso, gli onorevoli ricevono — come parte della propria indennità — 260 euro al mese di rimborso per spese telefoniche.
La legge parla chiaro: “I deputati dispongono di una somma annua di 3.098,74 euro per le spese telefoniche”.
Per i senatori, invece, la somma non è così dettagliata, ma si desume scorporandola dalle spese accessorie di viaggio, ed è di 550 euro.
Scorrendo le voci che compongono il trattamento economico degli eletti al Senato, troviamo quella denominata “Rimborso forfettario delle spese generali”.
In questa sezione è garantito “un rimborso forfettario mensile di euro 1.650, che sostituisce e assorbe i preesistenti rimborsi per le spese accessorie di viaggio e per le spese telefoniche”.
Per i colleghi di Montecitorio, ogni mese, è garantito un rimborso di circa 1.100 euro per spostamenti e viaggi.
Da un confronto tra le voci dell’indennità dei due rami del Parlamento, si può desumere che i senatori, per telefonare possono spendere mensilmente mezzo migliaio di euro.
E quindi deduciamo: se anche per i senatori, i rimborsi per spese accessorie di viaggio, si possono quantificare in 1100 euro, come per i colleghi deputati, per le spese telefoniche, resta un rimborso di 550 euro.
A un privato cittadino, viene offerta, da un gestore telefonico qualsiasi, una tariffa di 69 euro al mese che comprende telefonate verso mobili e fissi. In molti casi, le compagnie telefoniche includono anche il telefono. Stesso contratto, con tariffa aziendale o con partita iva, scende a 30 euro.
Siamo di fronte a uno spreco che oscilla tra i 16 e 18 milioni a legislatura.
La spesa in questo modo sarebbe abbattuta quasi del tutto se entrambe le camere stipulassero accordi con un gestore di telefonia con trattamenti aziendali.
Invece di spendere 20 milioni a quinquennio, ne spenderebbero 2 con un risparmio del 90 per cento.
Accordi ad oggi inesistenti.
Sia Montecitorio, sia Palazzo Madama non prevedono tariffe agevolate per i parlamentari che usano il rimborso come gli pare: “Con i piani tariffari vigenti — dice un deputato — è conveniente stipulare contratti privati tutto incluso a 50 euro al mese”.
Così facendo, del rimborso di 260 euro al mese, ne risparmia 210 che finisce nelle sue tasche. C’è anche chi racconta di essere stato raggirato: “Era la prima volta in Parlamento, chiesi se ci fossero tariffe agevolate per deputati. Mi indirizzarono un centro di telefonia vicino a Montecitorio. Il primo bimestre pagai uno sproposito: circa 1000 euro e interruppi il contratto”.
Loredana Di Cesare
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Luglio 1st, 2013 Riccardo Fucile
DOVESSE PASSARE IL COMPLESSO DISEGNO COSTITUZIONALE STUDIATO DAI “SAGGI”, SARANNO POI LE SINGOLE REGIONI A DOVER SCEGLIERE SE CONSERVARE GLI ENTI INTERMEDI
La circostanza più incredibile è stata, nell’aprile scorso, l’elezione del nuovo consiglio provinciale di
Udine.
Ma come? In attesa della loro definitiva abolizione, il decreto “Salva Italia” non aveva previsto che non si votasse più per eleggere i presidenti di Provincia?
Il Friuli Venezia Giulia, regione a statuto speciale, ha ritenuto di non tener conto della legge nazionale del governo Monti che fino ad allora aveva commissariato Province come: Ancona, Belluno, Cagliari, Caltanissetta, Como, Genova, La Spezia, Ragusa, Vicenza e Ancona nel 2012.
E poi Roma, Agrigento, Asti, Benevento, Catania, Catanzaro, Enna, Foggia, Massa-Carrara, Messina, Palermo, Trapani, Varese e Vibo Valentia nel 2013.
Adesso viviamo una situazione di paradosso: ci sono enti provinciali eletti prima dell’entrata in vigore della legge che continuano fino a scadenza, enti provinciali retti da prefetti e commissari, enti provinciali, segnatamente quello di Udine, che hanno anche rinnovato le proprie cariche elettive.
Su tutto ciò pesa ancora presso la Consulta il ricorso presentato nell’ottobre del 2012 da 8 Regioni che contestavano l’idea di poter normare materie complesse di natura costituzionale (le Province sono espressamente citate al Titolo V, articolo 114) attraverso una decretazione d’urgenza. La corte costituzionale dovrebbe pronunciarsi il 2 luglio — la partita riguarda nello specifico l’elezione diretta di consigli e giunte che sono state “congelate” in attesa degli eventi.
Da luglio in poi, dunque, il governo Letta dovrebbe contribuire a mettere mano a una complessa riforma costituzionale già elencata dal ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Graziano Delrio nelle sue scadenze ma non nei suoi contenuti.
Le linee guida del governo enunciate dal ministro in un’intervista al Corriere della Sera del 26 maggio scorso chiarivano due questioni.
La prima: nessuno dei 53mila dipendenti provinciali sarebbe stato mandato a casa.
La seconda: il governo mostrava una fretta che nei fatti non riesce a mantenere.
Delrio aveva infatti predetto che “prima dell’estate” si sarebbe dovuta mettere in moto la macchina, non con uno ma con ben due provvedimenti: il primo di natura costituzionale per stralciare le Province dalla Carta.
L’altro di natura amministrativa per redistribuire funzioni e ambiti territoriali delle nuove realtà che andrebbero a sostituire le Province.
Al 29 di giugno, con l’estate in casa, la partita è in mano alla commissione dei Saggi il cui orientamento (le riunioni riprenderanno lunedì e continueranno nelle settimane a venire), è quello di far approvare un provvedimento costituzionale per delegare poi le singole Regioni.
Ai singoli governatori sarà chiesto: avete bisogno di quegli enti intermedi o no?
E a seconda della modulazione di quella risposta avremo più o meno “Province”.
Niente abolizione tout court, dunque, ma un processo lungo e anche incerto, poichè legato alle riforme costituzionali appese all’esistenza stessa del governo Letta per un periodo congruo.
Per capirci è il modello che oggi stanno seguendo le Regioni a statuto speciale come la Sicilia, la Sardegna e il Friuli.
Non tutte (si veda per l’appunto l’elezione di Udine) potrebbero decidere per la cancellazione degli enti.
Così, dopo le promesse pre e post elettorali contro gli “stipendifici” delle Province, ancora una volta i partiti vengono meno a quanto dichiarato.
Con la cancellazione delle Province, al netto della conservazione del personale che andrebbe redistribuito nella macchina pubblica, e delle funzioni che qualcuno dovrà pur sostenere (scuole superiori, strade provinciali, formazione, ambiente e trasporti per citare le maggiori), si stima un risparmio di due miliardi sui 12 che oggi costano.
Per adesso, con il “congelamento” di una ventina di elezioni provinciali, si è riusciti a risparmiare un quinto dei 110 milioni di euro che pesano annualmente giunte e consigli provinciali.
Con il timore che la Consulta, martedì, possa decidere di far tornare a eleggere anche presidenti e consiglieri.
Eduardo Di Blasi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 1st, 2013 Riccardo Fucile
DALLE 4.070 ORE DI VOLO DELL’ULTIMO ANNO DI BERLUSCONI ALLE 2.885 DI MONTI, MA LA LOTTA AGLI SPRECHI E’ ANCORA LUNGA
Ogni volta che si tocca il tema dell’austerità , i governanti di turno si pongono il problema dei voli di Stato.
Perchè costano, costano tantissimo alla presidenza del consiglio dei ministri, ma pare siano davvero inevitabili.
È vero, il Cavaliere usava l’aereo della presidenza per andare in Sardegna con le olgettine di turno.
Una volta venne fotografato anche Apicella che, chitarra in mano, scendeva dalla scaletta sulla pista dell’aeroporto Costa Smeralda di Olbia.
Inchieste, interrogazioni, bufere mediatiche. Tutto legittimato.
Ma il rigore di Monti non è che abbia dato un taglio da spending review: la percentuale della riduzione è al di sotto di quel 30 % che il governo dell’austerità professata voleva ottenere.
La flotta è rimasta invariata, i costi di manutenzione pure: 22 milioni di euro ogni anno, anche se gli aerei rimanessero a terra.
Cifra che diventa di un centinaio di milioni, tra personale di aria, terra, tariffe aeroportuali e carburante, quando si vola.
E accidenti se si vola: Berlusconi nel 2010 fissò il record assoluto: 8.500 ore di volo. Ridotto l’anno successivo della metà .
Il tutto sotto gli occhi dei contribuenti, che pagano.
Ma il dubbio rimane: è un lusso indispensabile o può essere coperto dai mezzi di linea?
È utile una flotta che potrebbe far concorrenza a una piccola compagnia commerciale? Anche perchè oltre ai dieci jet extralusso del 31° stormo (3 Airbus e 7 Falcon), vengono destinati ai voli dei sottosegretari e dei ministri quasi venti Piaggio P180, le “Ferrari dei cieli” con motori a turboelica, considerati gioielli di tecnica, meccanica e comfort.
Un’operazione trasparenza già Berlusconi l’aveva annunciata: pubblichiamo sul sito del governo i voli in tempo reale. Ma poi non lo fece mai.
Meglio è andata con Monti, anche se ogni tanto il sito non viene aggiornato.
E non tutti sono tenuti a dire se e dove volano.
Durante il governo Monti, Giulio Terzi di Sant’Agata è stato i recordman, ha volato per lungo e per largo.
Ovvio, era il ministro degli esteri.
Un po’ meno ovvi i suoi risultati: vedi il caso dei due marò.
Quello che salta agli occhi, sempre durante la gestione Monti, è come gli aerei di Stato in questo anno abbiano volato molto frequentemente a gennaio e molto meno a febbraio, il mese delle elezioni.
A gennaio il record è il giorno 17: 4 aerei decollati da o per Roma.
Quel giorno Anna Maria Cancellieri tornava da Dublino; l’onorevole Michele Vietti, vice presidente del Csm invece era in partenza per Herat; l’allora guardasigilli Paola Severino incrociava nei cieli la collega Cancellieri sulla rotta per Dublino, in direzione opposta; infine il ministro Terzi faceva Roma-Bruxelles-Roma.
A fine mese 34 aerei impiegati per voli a medio e lungo raggio.
Il mese successivo 23 voli, tra i quali un Roma-San Diego chiesto da una prefettura a scopo umanitario.
Chi non si è fermato un attimo, come detto, è stato Terzi: Monaco, Parigi, Bruxelles, Vilnius. Corrado Passera invece a febbraio ha effettuato un solo volo: Milano-Atene e ritorno il 13 febbraio.
Corrado Clini infine è partito per Washington il 28, a governo già ‘superato’ dalle elezioni.
Non migliore — almeno per adesso — è la situazione per il governo di Enrico Letta.
È vero che un mese è troppo poco per valutare.
Ma ogni giorno, a maggio, neanche il tempo di insediarsi, c’era già un velivolo della flotta di Stato nei cieli.
Necessità , spiega la presidenza del consiglio dei ministri.
Chi non si è fermato un attimo è il ministro della difesa Mario Mauro.
Non ha fatto in tempo ad ambientarsi invece il ministro Josefa Idem: un solo volo per lei all’attivo, il 16 maggio per Rotterdam e ritorno.
Insomma, l’attività deve ancora entrare nel vivo. Una circolare del 10 maggio scorso, del segretario generale di palazzo Chigi, spiega che d’ora in avanti “sarà necessario assicurare che ogni istanza per la concessione di un volo di Stato sia corredata da documentazione attestante le circostanze che rendono indispensabile ed eccezionale l’utilizzo del mezzo aereo (inderogabilità , urgenza, motivazioni istituzionali, mancanza di mezzi di trasporto alternativi, ecc.)”.
Vedremo.
Il nuovo presidente della Camera , Laura Boldrini, in questo campo ha dato una lezione di rigidità a tutti: quando può si sposta tra Roma e Milano in treno.
In realtà , vista la carica che ricopre, non sarebbe neppure obbligata a comunicare i suoi spostamenti aerei. Non sono tenuti nemmeno il presidente del Senato, il presidente del consiglio, quello della corte costituzionale e il capo dello stato.
Tutto per motivi di sicurezza. Ad ogni modo il treno è ancora nelle sensibilità di pochi.
C’è un altro aspetto non trascurabile: tutte le spese vengono anticipate dall’Aeronautica e la presidenza del consiglio deve al corpo militare 200 milioni di euro di arretrati.
E non sempre tornano indietro a tempo record. Anzi.
Un rischio già sottolineato qualche anno fa dall’allora capo di stato maggiore , generale Camporini: “L’aeronautica fa il possibile e fornisce le risorse finanziarie per il servizio. L’importante sarebbe che entro la fine dell’anno gli oneri siano coperti”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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