Luglio 6th, 2013 Riccardo Fucile
BERLUSCONI PENSA SIA MEGLIO FAR PASSARE L’ESTATE E ASPPETTARE OTTOBRE
Per tornare a Forza Italia non c’è urgenza, il tuffo nel passato può attendere quantomeno fino a settembre, e forse fino a ottobre: tanto, osservano dalle parti di Arcore, si tratterà in fondo di aggiustare un’insegna, cioè di correggere la targa in ottone all’ingresso del partito.
A Berlusconi, personalmente, non sarebbe dispiaciuto nemmeno scriverci su un bel «Forza Silvio» (dicono che l’avesse anche fatto testare, con esiti peraltro non all’altezza delle sue aspettative).
Sta di fatto che l’«Operazione Nostalgia», andrà avanti, il Cavaliere ormai ha deciso. Però con calma, appunto. Senza precipitazione.
Sembra ormai sfumare la data del 20 luglio, che i più smaniosi tra i «berluscones» avevano scelto per l’annuncio ufficiale.
Bruciare le tappe avrebbe avuto un senso nel caso di elezioni subito, spiegano sempre nell’entourage del Capo, in modo da andare al voto con la gloriosa e un po’ sdrucita bandiera di tante battaglie.
Ma Letta «è stato astuto, l’altro ieri ha dato rassicurazioni su tutto», dall’Imu all’Iva, al punto che perfino Brunetta deve dichiararsi per il momento soddisfatto.
Come si potrebbe giustificare una crisi di governo?
Non si giustifica. Ma c’è dell’altro.
Proprio alla vigilia della data scelta per l’annuncio, il 19 luglio, sono attese due sentenze molto sgradevoli per Berlusconi.
La prima a Napoli, con probabile rinvio a giudizio dell’ex-premier (corruzione di senatori) e la seconda a Milano, dove rischiano una condanna Fede, Mora e la Minetti. Silvio non è imputato, ma perfino un bebè capirebbe che la sentenza riguarderà proprio lui.
Il lancio di Forza Italia, 24 ore dopo, verrebbe dunque sommerso da una montagna di letame mediatico e giudiziario…
Meglio metterci in mezzo l’estate, ragiona il Cavaliere coi suoi, e chissà che agosto non plachi pure lo scontro interno tra «ultras» da una parte e «governativi» dall’altra. Si annuncia per martedì un’altra infuocata assemblea dei deputati, diventata ormai sfogatoio di ogni tensione, pubblica lavanderia di panni sporchi che all’elettore medio di centrodestra provoca disgusto (chissà cosa verrà fuori dai prossimi sondaggi di Euromedia Research, gli unici di cui Berlusconi si fidi).
Una quota di nervosismo è scatenata dall’incertezza sulla sorte del Lìder Maximo, il quale rischia in autunno la condanna definitiva a 4 anni per frode fiscale, la galera e dunque l’addio alla politica.
«Dal punto di vista giudiziario, sta messo molto peggio di Craxi, è più inguaiato», constata su Radio24 colui che molti autorevoli personaggi del Pdl considerano il regista occulto dei «falchi» e delle «amazzoni», l’unico capace di dare loro una strategia, vale a dire Bisignani (faccendiere e suggeritore dei potenti, tornato ultimamente nel vivo del gioco).
La Santanchè e la Gelmini, per una volta in perfetto accordo, invocano come rimedio un sostegno forte e determinato ai cinque referendum radicali per la «giustizia giusta». Prende slancio nel centrodestra la suggestione pannelliana di una spallata popolare allo strapotere della magistratura, una risposta (che la si condivida o meno) su un terreno alto e nobile.
Il Cavaliere è molto tentato. Sul suo tavolo è appena arrivato un dossier che gli suggerisce di firmare senza esitazione i quesiti nonchè, lancia la proposta Capezzone, la legge di iniziativa popolare del professor Guzzetta per il presidenzialismo.
Ma in questo preciso istante la sua attenzione è concentrata su altre vicende faccende assai più prosaiche: risulta ad horas un passaggio davanti ai giudici per la causa di divorzio. Dunque Silvio e Veronica saranno faccia a faccia.
Ma diversamente da Al Bano e Romina, che tornano a cantare insieme in un clima di revival, loro si vedranno quel tanto che basta per provare a dirsi, civilmente, addio.
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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Luglio 6th, 2013 Riccardo Fucile
SIAMO IL PAESE CON IL PIU’ GRANDE PATRIMONIO ARTISTICO DEL MONDO, MA SIAMO A RIUSCITI A RIDURRE I FONDI DEL 52% IN 5 ANNI
L’Italia è il paese con il più grande patrimonio storico culturale al mondo, al primo posto nella lista Unesco per numero di tesori dichiarati patrimonio dell’umanità , eppure il Ministero per i beni culturali rischia quasi il tracollo per morosità e per il drastico taglio dei finanziamenti cui continua a essere sottoposto dai governi di ogni colore.
Gli ultimi dati forniti dal ministro Bray sono emblematici: quasi 10 milioni di euro in meno rispetto al 2012 per le “spese per interventi urgenti per le emergenze”; una disponibilità per il ‘programma ordinario dei lavori pubblici’ che passa dai 70,5 mln di euro del 2012 ai 47,6 mln del 2013 (nel 2004 erano 201 milioni), il sostegno dalle giocate del Lotto che dai 48,4 mln di un anno fa precipita ai 25,4 di quest’anno.
In questo scenario, non c’è da stupirsi se i musei sospendono le aperture, se il Colosseo resta chiuso per una vertenza dei custodi e se persino il ministero è costretto a chiedere un intervento straordinario al Tesoro per poter pagare bollette e canoni inevasi per un totale di 40 milioni. “Le risorse relative alle principali programmazioni per l’esercizio dell’attività di tutela – si legge nel documento presentato dal ministro – hanno subito una riduzione del 58,2% passando da 276.636.141 a 115.632.039”.
L’allarme del ministro Massimo Bray è riassunto nei dati inviati alle Camere insieme con le linee guida del suo dicastero.
Dieci pagine di tabelle in cui numeri e percentuali non hanno bisogno di commenti.
Il bilancio del ministero, tanto per iniziare, quest’anno è sceso a 1.546.779.172 euro, oltre 100 milioni di euro in meno rispetto a un anno fa, il 24% in meno rispetto al 2008, quando la voce ‘previsione di spesa’ segnava 2.037.446.020 di euro.
I tagli riguardano tutti settori di intervento e tutte le voci di finanziamento.
Come detto, il fondo per le emergenze ha subito una riduzione di oltre 58% rispetto al 2008, per le risorse per il programma ordinario di tutela del patrimonio la decurtazione è del 52% rispetto al 2008 e del 76% se si guarda al bilancio 2004.
Passando alle entrate dal Lotto, le somme programmabili per il 2013 ammontano ad appena 15.047.923,00 contro i 50,6 nel 2012. Qui il taglio in percentuale è del 71% rispetto al 2008 (134,7 mln di euro) e dell’81% rispetto al 2004.
Le conseguenze si vedono anche dalla ripartizione dei fondi: il restauro perde il 31% rispetto alla dotazione 2008 e per il 2013 può contare su soli 15.047.923,00 (erano 50,6 nel 2012).
Nelle riduzioni a caduta, il sostegno del Mibac per gli Istituti culturali scende a 14.670.000,00 (-18% rispetto al 2009).
Senza aggiustamenti in corsa, si riduce anche il Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus), che con gli attuali 398.847.077,00 è in calo di quasi il 15% rispetto al 2009.
Lo stesso regolare funzionamento del ministero è a rischio, visto che gli stanziamenti relativi, come si legge nella relazione di Bray, “ammontano complessivamente a circa 23 mln di euro per il 2013, a fronte di una esigenza di circa 50 mln, comprovata anche – si legge nelle tabelle – dalla recente ricognizione che ha evidenziato un debito per circa 40 mln di euro (già comunicati al ministero dell’economia e delle finanze per l’eventuale ripianamento) dovuti principalmente al mancato pagamento di utenze e canoni”.
La situazione sarà “ancora più critica a decorrere dal 2014, che presenta uno stanziamento di circa 14,5 mln, con un decremento pari ad oltre il 37%”.
Infine, l’emergenza personale per il quale rimane il blocco delle assunzioni in vigore fino al “riassorbimento dell’esubero di personale in I area- addetti ai servizi ausiliari (267 persone) e nell’area dirigenti (4)”.
(da “La Repubblica“)
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Luglio 6th, 2013 Riccardo Fucile
CINEMA, TEATRO, MUSEI A RISCHIO CHIUSURA
Il cinema sulle barricate per la beffa del tax credit decurtato, i teatri a rischio chiusura per i nuovi tagli imposti dalla spending rewiev, i musei e il Colosseo che chiudono per la protesta dei custodi.
Ma anche le fondazioni liriche sull’orlo del collasso, il monito dell’Unesco a Pompei, la Reggia di Caserta allo sfascio, i Bronzi di Riace senza museo.
Nell’anno della crisi nera, mentre si moltiplicano gli appelli al governo perchè si punti su turismo e cultura per la rinascita Paese, è una mappa che sembra fatta tutta di buchi e disastri quella del patrimonio artistico italiano.
Con un ministero in affanno nel tentativo di contenere le perdite, costretto a stringere la cinghia al punto da non avere i soldi per saldare le bollette della luce.
Poco incline agli annunci, il neo ministro Bray ha però bussato alla porta del presidente del consiglio, e ieri anche a quella del presidente Giorgio Napolitano. L’idea è quella di un intervento governativo per il settore, che dovrebbe essere annunciato dallo stesso presidente del consiglio, a metà luglio, nella sede della stampa estera.
Ma quanto questo impegno potrà essere concreto in termini finanziari non è ancora chiaro.
Di certo ci sono settori che non possono aspettare, come le fondazioni liriche – in prima fila il Maggio Musicale fiorentino e il Carlo Felice di Genova – per le quali si studia un decreto o una modifica dell’attuale regolamento.
Mentre un po’ dappertutto comincia a montare la rivolta.
E nella sede del Collegio romano ci si prepara a un’altra settimana ‘calda’, fitta di incontri anche con i sindacati, il primo lunedì 8 per musei e siti culturali.
Cinema
Il settore del cinema è in subbuglio per il taglio del Tax credit, che è appena stato rinnovato per il 2014 ma per una cifra che dagli iniziali 80 milioni è stata ridotta a 30. A questo si aggiungono i tagli del Fondo Unico per lo spettacolo, che per il 2013 è stato ridotto del 5,2% (per un totale di 72,4 milioni di euro). “Soluzioni o boicottiamo Venezia” grida oggi da Taormina il mondo del cinema.
Fondazioni liriche
Le 14 Fondazioni liriche italiane hanno accumulato complessivamente 330 milioni di euro di debiti iscritti in bilancio a fronte di una situazione patrimoniale attiva non rosea. In prima fila il Maggio fiorentino, per il quale si sta cercando di evitare la soluzione estrema della liquidazione, perorata dal commissario Francesco Bianchi e dal sindaco Matteo Renzi.
Bray propende invece per un intervento strutturale.
Ma tra le situazioni più a rischio c’è anche il Carlo Felice di Genova con un deficit di 3 milioni per il 2013 e grandi difficoltà nel pagamento degli stipendi così come Bologna.
Per aiutare le amministrazioni in crisi il Mibac ha anticipato a tutti il saldo del Fus che è stato anche ‘salvato’ dalla minaccia di un ulteriore taglio previsto dalla spending review e che per il 2013 ammonta complessivamente a 183,2 milioni di euro (-5,3% rispetto al 2012).
Teatri
Il settore è in subbuglio per la minaccia di un taglio dei contributi diretti (Fus) imposto al ministero dalla spending review con un intervento che limiterebbe anche le attività dei teatri, creando difficoltà per esempio, alla rinomata scuola de Il Piccolo teatro di Milano.
Ora il contributo Fus 2013 per il teatro è di 62,5 milioni di euro (-5,3% rispetto al 2012). “Così si chiude”, lamentano i 68 teatri stabili italiani.
La soluzione forse da un emendamento.
Istituti culturali e musei
I contributi pubblici 2013 assommano a 14,6 mln. Il 18% in meno rispetto al 2009 (dati Mibac).
In Italia, tra pubblico e privato, statale e locale, ci sono quasi 5mila tra musei e siti culturali (secondo dati Confcultura abbiamo un museo ogni 10.900 abitanti).
Gli istituti statali sono in tutto 420 (200 musei-220 monumenti), in molti casi con forti problemi di personale dovute anche al blocco del turn over che incombe sul ministero. Per il 2013 l’organico del Mibac prevede 19.132 unità , i dipendenti in servizio sono però solo 18.568.
Se i restauri di Pompei sono finanziati da 105 milioni Ue e per il Colosseo si fa conto sui 25 mln di Della Valle mancano però i soldi per la normale manutenzione di monumenti e siti archeologici: il programma ordinario dei lavori pubblici può contare per il 2013 su soli 47,6 mln: il 76% in meno rispetto al 2004.
Ridotte all’impossibile anche le disponibilità per emergenze (terremoti, ma anche allagamenti come quello che ha sommerso Sibari): per il 2013 ci sono 27,5 mln: oltre il 58% in meno rispetto al 2008.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 6th, 2013 Riccardo Fucile
NELLE CARTE DELL’INCHIESTA DI POTENZA EMERGE IL TENTATIVO DI UN INDAGATO PER RICICLAGGIO DI METTER LE MANI SUL PATRIMONIO
Al di là delle divisioni politiche, la vera partita tra gli uomini degli ex An — partito poi spaccato tra finiani e chi ha deciso di passare nelle schiere del Pdl — si gioca su un altro fronte: quella di un tesoretto dal valore di 70 milioni di euro.
Questo patrimonio è stato oggetto di insulti, denunce e inchieste giudiziarie che vanno verso l’archiviazione.
Chiunque però sogna di avere una parte, anche ci in An militava nella retro fila.
A raccontare questo retroscena, un’informativa stilata dalla squadra mobile il 20 giugno 2012 e finita agli atti di un’inchiesta della Procura di Potenza che indagava su un giro di riciclaggio.
A Roma, invece, c’è un giro di riciclaggio su quell’ingente patrimonio, che tuttavia va verso l’archiviazione.
Nelle carte della polizia di Potenza, però, emerge anche che un imprenditore, Carlantonio Traietta, indagato per riciclaggio, avrebbe tentato la scalata nel partito di Gianfranco Fini.
Traietta parla di un rapporto strettissimo con Italo Bocchino, “i buoni rapporti che Traietta ha con Italo Bocchino — si legge nell’informativa — sono confermati oltre che dalle telefonate fra i due, anche da vari incontri”: come quello del 19 ottobre 2009 avvenuto a Brindisi.
E di Bocchino, Traietta parla anche in una intercettazione del 15 gennaio 2010, con Giuseppe Capocchi, in cui afferma la piena fiducia dell’ex parlamentare.
TRAIETTA: Con Italo ho stretto stretto stretto. Nel senso che sono arrivati adesso a dirmi che io prima dice che non voglio stare, “no” dico “se è questo quello che pensi non c’è problema, mi metto io in mezzo per te”. Da quel giorno mi chiama tutti i giorni. Allora io quando ci vediamo, che mo’ lui è rientrato da New York … ma anche a New York che cazzo di business combina con … New York, Tokyo ! lui e Fini hanno una socità a Tokyo
CAPECCHI: mm
TRAIETTA: Grossa! Allora mi vogliono far entrare dappertutto Pasquale, che è consigliere regionale.
CAPECCHI: Di Lorenzo
TRAIETTA: Adesso avrà le redini in mano … Allora il segretario di Fini, attualmente è anziano e l’ultima volta ha già detto che lascia la candidatura, lui viene eletto in Basilicata alla Camera … quindi la prossima volta lascia tutte Le redini a Pasquale di Lorenzo
CAPECCHI: ah
TRAIETTA: Sai che Alleanza Nazionale, no, si è fusa con … però è rimasta Alleanza Nazionale. Come partito.
Hanno fatto un’associazione dove tutti i patrimoni valevano … perchè hanno una sede dico a Bari, 700 metri quadri nel centro, tutti … la sede è a Roma, via della Scrofa, è una cosa enorme e vale miliardi. Quindi hanno fatto questo fondo patrimoniale, poi questa fondazione che a capo c’è Pasquale Di Lorenzo. Entrerà fra pochissimo tempo perchè lascerà tutto … il segretario di Fini, come si chiama? Donato la Morte.
CAPECCHI: La Morte
TRAIETTA: Lascerà tutto a Pasquale. Capito? Quindi diventeremo … cioè siamo il braccio cioè si fidano di noi, tutto quello che faranno … se non gli parliamo di un’idea nuova, anche con La Russa, quello che c’ha in mano La Russa, quello che c’ha in mano Matteoli, possiamo entrare dappertutto.
Al di là del valore penale dell’intercettazione, quello che sembra evidente è il modus operandi anche di chi sta dietro puntava ad una scalata nel partito a livello nazionale. Secondo l’informativa della squadra mobile, aspettavano che Donato Lamorte, uomo di fiducia di Gianfranco Fini, lasciasse il suo incarico per sostituirlo con un lucano doc: Pasquale Di Lorenzo.
Ed è proprio Di Lorenzo, indagato per i rimborsi in Basilicata, che avrebbe preteso ad uno studio di progettazione l’assunzione di suoi amichetti motivando così:
“E’ gente che mi porta pure voti. Se li devi trattare a pezze in faccia è meglio che non se ne fa un cazzo”.
Antonio Massari e Valeria Pacelli
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 6th, 2013 Riccardo Fucile
LA PROVOCAZIONE DI FLAVIA PERINA
Diciamo che io sia uno di destra. Mi chiamo Luca. Ho quarant’anni e girando per le strade di Roma ho visto i muri pieni di manifesti per l’anniversario della morte di Giorgio Almirante (22 maggio 1988, ma i poster sono spuntati due giorni fa). Almirante me lo ricordo poco di persona, ma aveva una sua reputazione e mi piaceva: un capo di partito pulito, fuori dalle mafie.
Diciamo che della destra io abbia in testa i convegni del vecchio Fdg con Borsellino, le relazioni di Beppe Niccolai all’antimafia (che pure i comunisti gli stringevano la mano) e magari anche il mito dei treni in orario, che poi significa regole condivise, uno Stato che non imbroglia, cittadini che pagano le tasse in cambio di servizi e serietà .
Diciamo che ricordi le campagne di Pisanò contro le ruberie dei socialisti e quella manifestazione di ragazzi sotto Montecitorio, ai tempi di Tangentopoli, con le magliette “Arrendetevi, siete circondati”.
Diciamo che a me, Luca, all’improvviso interessi fare politica.
Per amore di un Paese che sta franando, per l’orgoglio della bandiera (il tricolore, sì, ricordatevi che sono di destra) ammazzato dalle lobby, dalla speculazione, dal declino di ogni senso civico.
Dove vado a bussare?
Se in Italia uno di sinistra ha problemi (Renzi o Epifani? Letta o Vendola?) uno di destra è semplicemente out.
Fuori. Non può fare politica.
Con Berlusconi di certo non può stare: un partito che si rifonderà scegliendo i suoi dirigenti con un concorso stile X-Factor è antropologicamente agli antipodi di ogni cultura di destra esistente da noi.
Senza parlare del resto.
Dell’evasione fiscale, della concussione di pubblico ufficiale, della prostituzione minorile, reati che nella graduatoria dell’indignazione di destra sono al top, molto sopra alla rapina a mano armata.
Fratelli d’Italia ha Giorgia Meloni, che è giovane e ardimentosa, ma alla fine tifa sempre per Berlusconi premier.
E poi, c’ha pure La Russa, uno che da ministro spedì le Frecce Tricolori a Tripoli per festeggiare Gheddafi e gli avrebbe fatto soffiare fumo verde se il capo della pattuglia acrobatica Tammaro non si fosse ribellato (“O col tricolore, o non decolliamo”)
La destra di Storace?
Quando ne ebbe l’occasione candidò premier la Santanchè, mica Bottai.
La destra di Alemanno? Ha governato Roma e ha promosso gente che neanche al circo. Vinse con gli slogan “di destra” sulla sicurezza e come delegato per la Sicurezza piazzò prima Piccolo (arrestato per associazione a delinquere) poi Ciardi (indagato per finanziamento illecito) e alla fine voleva mandarci il gen. Mori, quello sotto processo per la trattativa Stato-mafia, salvo scoprire che dirigeva già un analogo ufficio in Campidoglio.
Gli altri che vorrebbero resuscitare An? Non uno di loro che risponda alla domanda delle cento pistole: fate parte della schiera berlusconiana del “Siamo tutte puttane” o no?
Povero Luca. Brutto destino a destra.
Trovarsi a invidiare persino il dibattito della sinistra, noioso e ipocrita, ma almeno esiste e non ha il tabù della leadership.
Povero Luca, che ieri ha letto il telegramma di Napolitano per la morte di Anna Mattei, la madre dei ragazzi uccisi nel rogo di Primavalle, e si è ricordato quell’altra destra lì.
Era il 1973, quando furono uccisi i Mattei.
Berlusconi varava il progetto di Milano Due.
Vittorio Mangano veniva assunto ad Arcore da Dell’Utri per “proteggerlo”.
Luca non si capacita del paradosso, dell’asincronia tra le due immagini che pure, dopo quarant’anni, si sono totalmente sovrapposte.
Come dargli torto?
E come dirgli che per uno come lui, nella politica italiana, al momento non c’è spazio?
Flavia Perina
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Luglio 6th, 2013 Riccardo Fucile
A MARZO GRILLO ANNUNCIAVA: “RESTITUIREMO 12 MILIONI L’ANNO”, MA ORA L’IMPORTO SI E’ QUASI DIMEZZATO… E SUL BLOG I “70 MILIONI DI RISPARMIO TOTALE” CHE IL LEADER AVEVA STIMATO, ORA DIVENTANO QUARANTA
Certo, 1.569.951 euro (virgola quarantotto) è tanta roba.
Mai nessun gruppo parlamentare in oltre 60 anni di storia repubblicana era arrivato a tanto, a restituire allo Stato una cifra così importante. Per questo il Restitution Day del Movimento Cinque Stelle è destinato a passare alla storia come esempio per tutti.
Ma dietro questa lodevole operazione si nasconde un sintomo tipico di quella malattia che da sempre colpisce la politica: quello di promettere più di quanto è nelle proprie possibilità .
Una patologia da cui Grillo, evidentemente, non è immune.
Il Movimento Cinque Stelle oggi ha versato 1,5 milioni euro, relativi a due mesi e mezzo di «eccedenze» negli stipendi dei parlamentari.
Una media di 600 mila euro al mese.
Fatti due conti, se i deputati e i senatori grillini dovessero andare avanti di questo passo (auguriamocelo), in un anno restituirebbero 7,2 milioni di euro. Mica male. Peccato che le promesse fossero altre: «L’indennità parlamentare del cittadino portavoce del MoVimento 5 Stelle sarà di 5 mila euro lordi mensili invece di 11.283 euro lordi percepiti da tutti gli altri parlamentari. Il residuo sarà lasciato allo Stato» disse Beppe Grillo il 14 marzo scorso, invitando il Pd a fare altrettanto (un invito rimasto lettera morta), e aggiungendo che «il risparmio per le casse dello Stato, grazie al M5S, sarà di oltre 12 milioni all’anno.».
Cioè un milione al mese, anche se in realtà sono 600 mila quelli effettivamente versati in questo periodo.
Tutto ciò perchè, tra il dire e il fare, ci sono di mezzo tante cose, tra cui anche i complicati calcoli legati alle cifre delle trattenute fiscali (per non parlare dell’annoso dibattito sulla diaria che per settimane ha tenuto in ostaggio i gruppi a Montecitorio e a Palazzo Madama) che evidentemente non erano stati ben considerati in sede di «annuncio».
E così, mentre due mesi e mezzo fa Grillo tuonava «se ogni parlamentare seguisse l’esempio del M5S, il risparmio annuale sarebbe circa 70 milioni», oggi – sceso dal piedistallo delle promesse e alle prese con la realtà dei fatti – corregge il tiro: «Se i partiti facessero lo stesso si risparmierebbero 40 milioni l’anno».
Trenta milioni in meno di quelli stimati due mesi e mezzo fa.
Tra le tante da rendicontare, evidentemente, qualche caramella è sfuggita dalla calcolatrice.
Marco Bresolin
Commento del ns. direttore
Facciamo due conti: i Cinquestelle hanno restituito complessivamente circa 600.000 euro al mese, sono 160 tra deputati e senatori, quindi la media è di 3.700 euro al mese a testa che hanno versato a un fondo suicida (così lo Stato se li sputtana come vuole).
Di questi 3700 euro circa 3000 costituiscono il netto dello stipendio base dimezzato.
Degli altri 8.700 euro netti che incassano tra diaria e indennità di mandato ne hanno quindi restituito in media appena 700.
La conclusione è quella che abbiamo sempre previsto e indicato: un parlamentare Cinquestelle incassa circa 11.000 euro al mese contro i 13.700 degli altri parlamentari.
Non ci sembrano dei grandi “rivoluzionari”.
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Luglio 6th, 2013 Riccardo Fucile
“VOTO LONTANO, IL PREMIER C’E’, CI SERVE UN SEGRETARIO”…”IL NUOVO SEGRETARIO DOVRA’ DARE UN SENSO AL PD SUL PIANO IDEALE E CULTURALE, CUPERLO E’ LA SCELTA GIUSTA”
Massimo D’Alema è nel suo studio nella nuova sede di Italianieuropei, sempre in Piazza Farnese ma qualche portone più in là .
Il vero cambiamento riguardante la Fondazione è però un altro ed è contenuto nel fascicolo che ha sulla scrivania, di cui parla volentieri, prima di passare agli argomenti di più stretta attualità .
«Secondo ricerche condotte dalla Sapienza e dall’Università della Pennsylvania siamo una delle quattro fondazioni culturali italiane più importanti, tra le 150 top mondiali, insieme allo Iai, alla Fondazione Mattei e all’Istituto Leoni. Sempre dagli americani siamo censiti, per valore di quanto prodotto, come sedicesimi al mondo. Un patrimonio del centrosinistra italiano».
L’umore è buono quando parla di Italianieuropei: «Quindici anni fa, come soci fondatori c’eravamo Giuliano Amato, Carlo Azeglio Ciampi ed io. Poi, nel nucleo dei fondatori, sono entrate altre persone. Ora siamo in 15».
Ed ecco il cambiamento, che partirà da una prima riunione il 16 luglio: «Abbiamo deciso di allargare l’associazione Italianieuropei, aprendola a nuove adesioni, con un meccanismo graduale e selettivo. L’assemblea dei soci eleggerà un comitato di presidenza che designerà il Cda della fondazione. I soci fondatori si riservano di nominare 3 su 7 membri del comitato di presidenza, e quindi la Fondazione diventa più inclusiva».
Ci sono già oltre cento parlamentari del Pd «di varie ispirazioni politico ideali» (e sì, anche renziani) che hanno fatto sapere di essere interessati a diventare soci.
Ma non mancano i contatti anche con deputati e senatori di altre forze politiche del centrosinistra, «a conferma di quanto sia infondata l’immagine di un soggetto correntizio. La verità è che la selezione qui è sempre stata solo e soltanto meritocratica, e questo vorremmo mantenerlo. Non mi interessano le opinioni politiche di coloro che collaborano con la Fondazione, mi interessa la qualità del loro lavoro. Adesso vogliamo rendere questo organismo un patrimonio condiviso. Italianieuropei è una fucina di idee e uno snodo di formazione della classe dirigente nell’arena del centrosinistra».
Una fucina di idee potrebbe essere utile anche per la fase congressuale del Pd, visto che continuate a discutere di regole. E ieri lei si è preso una risposta dura dal sindaco di Firenze.
«Ma da parte mia non c’era nulla di offensivo nel dire che dobbiamo fare un congresso per eleggere il segretario, non il candidato premier. Un premier ce l’abbiamo, tra l’altro, e non siamo in campagna elettorale. Mi pare un concetto su cui non credo si possa aprire un grande dibattito».
È però quello che succede da settimane.
«Perchè c’è chi insiste con un’idea a dir poco stravagante».
Tanto stravagante non è se per superarla si deve modificare lo statuto del Pd, non crede?
«Non c’è bisogno di modificarlo dato che lo abbiamo già derogato. Quando si redige uno statuto e alla prima prova occorre derogarvi, vuol dire che non funziona».
Sta dicendo che è stato commesso un errore nel 2007, quando si scrisse lo statuto Pd?
«La norma fu pensata sulla base dell’idea politica che il Paese andasse verso il bipartitismo. Era rispettabilissima, però non si è concretizzata. I fatti sono testardi. Adesso siamo nel 2013, possiamo serenamente prendere atto che quel progetto non si è realizzato e che in Italia c’è un bipolarismo, non solo di partiti ma anche di componenti della società . E del resto, il bipolarismo di coalizione si sta affermando in diversi Paesi europei, tanto è vero che la coincidenza tra leadership di partito e candidatura a governare, che era la regola, per esempio nelle socialdemocrazie, adesso non lo è più. Aggiungo che da noi la stessa crisi dei partiti fa dubitare dell’opportunità della coincidenza tra leadership di partito e guida di una coalizione».
Di cosa si deve discutere allora in questo congresso, se non di chi debba essere il candidato premier?
«Il Pd ha necessità di concentrarsi su tre aspetti fondamentali. Primo, ha assoluto bisogno di un segretario che sostenga l’esecutivo, ma che cerchi anche di dare un’impronta visibile all’attività di governo. E certamente questa posizione di sostegno leale e di visibilità è molto più agevole se il segretario del partito non è sospettato di voler far saltare tutto per andare lui a Palazzo Chigi»
Secondo?
«Bisogna costruire un nuovo centrosinistra capace di vincere le prossime elezioni, e insieme a questo far crescere una leadership in grado di guidarlo. Allo stato indubbiamente il leader più forte, più popolare è Renzi, ma non sappiamo quando si voterà e non possiamo escludere che possano esserci altri candidati nella sfida delle primarie. Infine credo che il compito più importante che il nuovo segretario dovrà svolgere sia quello di lavorare sul partito, sul piano ideale, culturale, valoriale, perchè il Pd si presenta ancora troppo come un insieme di storie, di tradizioni, di forze diverse che faticano a definire una propria rinnovata e chiara identità comune. Per questo penso che la persona adatta sia Gianni Cuperlo. Insisto: a mio parere chiunque si candidi lo deve fare per svolgere il ruolo di segretario, non per fare il candidato premier di elezioni che non sono dietro l’angolo».
Nonostante il Pdl stia discutendo se rompere o mantenere il sostegno al governo in autunno?
«Il Pdl si prendesse le sue responsabilità . Per noi sarebbe un errore gravissimo togliere le castagne dal fuoco a Berlusconi, provocando la crisi di governo perchè qualcuno ha fretta di fare il candidato presidente del Consiglio. Del resto, non è affatto detto che una crisi di governo porti alle elezioni. Il Paese ha interesse che il governo svolga il proprio lavoro: sostenere la ripresa economica, rilanciare l’occupazione, approvare le riforme costituzionali e varare una nuova legge elettorale. Tutto questo, a mio parere, porta naturalmente a una scadenza che va oltre il semestre italiano di presidenza dell’Unione europea. A questo proposito, sarebbe un’idea strampalata andare ad elezioni durante la presidenza italiana dell’Ue. E credo che il Capo dello Stato non lo consentirebbe».
Non pensa sia stato un errore l’incontro promosso da «Fare il Pd», se ha dato modo a Renzi di attaccare il gruppo dirigente del partito sostenendo che parlate sempre di lui?
«Guardi, ieri mi sono affacciato a quella riunione e ho ascoltato una discussione seria, sui problemi del Paese, sul ruolo del Pd. Non ho sentito nessun commento su Renzi. L’unico che parla sempre di Renzi è Renzi, per la verità . Se avesse ascoltato quel confronto, si sarebbe reso conto che ci sono voci molto diverse nel merito e che non c’è nessun “correntone” contro di lui».
Se il congresso serve a scegliere il segretario del Pd, che non è detto sarà candidato premier, a sceglierlo devono essere soltanto gli iscritti? Vanno cambiate le regole delle primarie?
«Non è proibito che il segretario concorra alle primarie, ma non può essere prevista la norma che vieta ad altri iscritti di candidarsi. Quella norma è assurda. Tanto è vero che giustamente Renzi ne chiese la cancellazione. Ed è paradossale che ora ne chieda il ripristino».
Barca in un’intervista ha proposto di far votare alle primarie tutti “i partecipanti”, cioè chi si impegna nelle battaglie del partito anche se non è iscritto: condivide?
«Barca ha ragione, si sforza di definire i tratti di una platea più vasta degli iscritti, di coinvolgere quelle persone che hanno dimostrato un interesse politico alle attività del partito, il quale, da parte sua deve essere in grado di offrire diverse forme e livelli di partecipazione, dalla militanza quotidiana, alle primarie, passando per la consultazione in rete su singole issues. Se Renzi ha interesse a dedicarsi a questo lavoro, benissimo, si candidi. Figurarsi se io ho detto che ha bisogno del permesso… Ho letto di repliche francamente scomposte da parte di alcuni componenti della sua corrente. Lui è il capo di una corrente, anche particolarmente agguerrita».
Renzi ha anche detto che è in atto un tiro al piccione…
«Ma quale piccione. Lui ha la potenza comunicativa di un bombardiere americano, non scherziamo. Non credo che lui sia nelle condizioni di fare la vittima».
Vi sentite con Renzi?
«Abbiamo un dialogo che non si è interrotto. Ecco, qui sul telefonino ho un carteggio che resterà per la storia, se qualcuno sarà interessato».
Dovesse candidarsi?
«Avrà i suoi sostenitori, per convinzione o per convenienza».
Sarebbe più agevole aspettare le primarie per la premiership?
«Sarebbe sostenuto da tutti, avrebbe una grandissima forza dietro. Decida lui. A 38 anni non si è più ragazzi e non si è piccioni. Si è una persona adulta in grado di prendere da sola le sue decisioni, che attenderemo con rispetto».
Vladimiro Frulletti
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Luglio 6th, 2013 Riccardo Fucile
NEL PD OGNI PARLAMENTARE VERSEREBBE AL PARTITO 3.200 EURO, IN SEL 3.500, NELLA LEGA 2.000, IN SCELTA CIVICA 1.500, NEL PDL 800 EURO…”NON ABBIAMO MILIARDARI CHE CI METTONO I SOLDI”
“Perchè non restituiamo la diaria?” Antonio Misiani ci pensa su: “Perchè, Grillo l’ha restituita tutta? Mi risulta solo la parte non rendicontata”.
Bene, e allora perchè i parlamentari del Pd non fanno altrettanto, ovvero restituiscono la parte non rendicontata, quella che non riguarda spese documentate?
“Non abbiamo un sistema di rendicontazione della diaria”, risponde ancora lui. Poi, si fa serio. Ha una posizione chiara su come dovrebbe essere: “Noi siamo per una revisione complessiva del trattamento economico dei parlamentari, che completi il lavoro avviato nella scorsa legislatura nella direzione della trasparenza e della rendicontazione”.
Guglielmo Epifani si è affrettato a dichiarare: “I parlamentari del Pd versano una quota importante per il partito, si scelgono strade tutte degne”.
“Non mi risulta che il Pd sia l’unico a non restituire la diaria”, esordisce Matteo Mauri, tesoriere del gruppo democratico a Montecitorio. Questo è pacifico.
Allora, va avanti: “Loro ci hanno fatto un pezzo di campagna elettorale”.
Poi, arriva al punto: “Se si fanno i conti, alla fine è meno di quanto un nostro parlamentare restituisce al Pd”.
Le cifre: “Diamo 1500 euro al nazionale, circa 1200-1300 (la cifra è variabile, a seconda delle zone) ai provinciali, e circa 500-600 al mese ai Regionali”.
Non basta: “In più per l’elezione devono dare 30-40 mila euro”.
Oboli consistenti. Ma i Cinque Stelle li versano allo stato, non al partito. Pronta risposta: “Noi abbiamo un partito, e loro non ce l’hanno. Il Pd deve poter vivere, per far vivere la democrazia. Noi non abbiamo il miliardario che mette i soldi, e neanche l’altro miliardario, quello del blog”.
“Eh, la stessa domanda si può farla a tutti i partiti”, alla domanda risponde così il tesoriere del gruppo di Scelta Civica a Montecitorio, Paolo Vitelli.
Ma la domanda è stata fatta a tutti i partiti. “Noi diamo un contributo significativo a un partito che essendo neonato non ha preso soldi dallo stato”.
Ma a quanto ammonta questo “contributo significativo” versato a Scelta Civica? “Non so, non sono autorizzato a dirlo”. Poi, dopo qualche minuto richiama: “Allora, volevo darle la cifra precisa: noi ogni mese diamo 1500 euro al partito”.
Ma insomma, c’è una differenza tra darli a Scelta Civica o allo Stato, no? “I Cinque Stelle vivono sul web, e bisogna vedere quanto vivono”.
Stesse motivazioni per la Lega Nord. Parla il tesoriere del gruppo, Nicola Molteni: “I deputati della Lega Nord contribuiscono con una parte consistente del loro contributo allo svolgimento dell’attività del partito”.
Quanto? “È tutto nei documenti ufficiali”. Va bene, ma allora quanto? “Nel 2012 più di 42 mila euro l’anno”. Quindi, più o meno l’equivalente di tutta la diaria. “Sostanzialmente così”.
Poi, comincia con le spiegazioni: “Io avevo pubblicato sul sito lo stato patrimoniale e la dichiarazione dei redditi”. Ma perchè i soldi al partito e non allo Stato? “Noi abbiamo questo meccanismo. Da sempre”. Pensate di cambiarlo?: “Per ora funziona così”.
Sergio Boccadutri, tesoriere di Sel, va sulla stessa motivazione. “Perchè non restituiamo la diaria? Noi versiamo 3500 euro al mese al partito”.
Solita obiezione: il partito non è lo stato. “Ho capito (deciso). Noi non abbiamo il miliardario che paga i palchi a San Giovanni”.
Parlare con il Pdl è piuttosto difficile. Il tesoriere, Maurizio Bianconi, non risponde neanche ai messaggi.
Loro sono un partito diverso: un contributo lo danno: 800 euro al mese a parlamentare e 15-20 mila per l’elezione. Però non hanno sensi di colpa.
Spiega Luca D’Alessandro: “Noi siamo il Pdl, mica il Movimento 5 Stelle. Non ci occupiamo di scontrini, ma di fare le leggi”.
Wanda Marra
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Luglio 6th, 2013 Riccardo Fucile
SPUNTA L’EMENDAMENTO PER IL “RIMBORSO A PROGETTO”
La «tenda canadese» è stata armata nella cantieristica specializzata del Partito democratico, si chiama “finanziamento a progetto”.
Mezzo di soccorso da campo per consentire ai partiti di trovare rifugio dall’imminente ciclone destinato ad azzerare da qui a un paio d’anni le loro finanze con l’addio all’erogazione di milioni di euro a pioggia.
Il tesoriere democrat Antonio Misiani è da poco rientrato dal Canada, appunto, dove il meccanismo esiste da anni e – a quanto dice lui – funziona.
Lo ha studiato, analizzato, messo a punto.
E anche i colleghi Pdl, sensibili al tema, sono pronti ad accettare il “modello Ottawa”.
Il premier Enrico Letta sembra non sappia nulla di quanto si stia orchestrando. L’argomento è all’ordine del giorno nella riunionedi gruppo di martedì a Montecitorio, giusto per sondare il terreno.
Ma i renziani puntano il dito, aprono il caso, loro non ci stanno. Tagliare, ma con giudizio. E in estate allargare le maglie della fin troppo rigorosa legge sull’abolizione del Finanziamento pubblico ai partiti può riuscire anche meglio.
L’ha partorita il governo un mese fa, in Parlamento si sta già lavorando per emendarla. E stavolta è proprio in casa Pd che stanno prendendo corpo gli interventi di chirurgia più invasivi.
La disciplina varata dal Consiglio dei ministri concluderà il suo iter in commissione il 26 luglio ma già è chiaro a tutti che per l’esame in aula se ne riparlerà a settembre. «Faremo di tutto per approvarla alla Camera prima della chiusura estiva, ma in calendario il testo è preceduto dal complesso decreto del Fare, in ogni caso la legge voluta dal governo va approvata e presto» spiega il capogruppo Pd in commissione Affari costituzionali, Emanuele Fiano.
Del pacchetto sul finanziamento, il deputato è relatore insieme con la pidiellina Mariastella Gelmini.
La commissione si è presa tutto il suo tempo. Ben nove audizioni, approfondimenti, lunghi dibattiti che proseguiranno per tutto il mese.
Ora la faccenda entra nel vivo.
E il nodo cruciale è la norma che introduce la contribuzione volontaria del 2 per mille, che suscita parecchie perplessità sia a destra che a sinistra.
«Creerebbe di fatto un’anagrafe degli elettori, una cosa inaccettabile, al pari dell’intromissione indebita nella vita interna dei partiti consentita dalla prima parte della legge, anche quella da rivedere » spiega la Gelmini.
Pure Fiano ha dei dubbi su quel meccanismo simile all’8 per mille per la Chiesa che di fatto smonterebbe l’intestazione stessa della legge («Abolizione del finanziamentopubblico»), laddove a rimetterci sarebbe solo lo Stato, privandosi di una quota delle entrate fiscali.
Tutti d’accordo sulla necessità di trasformare questa parte della disciplina.
Ma come?
«Stanno lavorando a un meccanismo piuttosto originale, lo chiamano rimborso a progetto – anticipa con un certo disappunto la giovane deputata Pd Maria Elana Boschi, vicina a Renzi – In pratica, si consentirebbe ai partiti di ottenere delle somme per la realizzazione di progetti specifici. Noi non ci stiamo. Vuol dire rimettere in discussione l’intera legge, che già di suo sembra arrancare, comunque rischia di tradirne lo spirito. Diciamo la verità : comporterebbe il passaggio dal finanziamento diretto a quello indiretto dei partiti».
Non solo, la deputata renziana con i colleghi di area è pronta ad aprire un secondo fronte, tutto interno al Pd.
«Chiediamo cosa ne sia stato dei due euro versati dai tre milioni di militanti che in autunno hanno votato alle primarie – incalza la Boschi – Va bene, il bilancio interno sarà certificato, ma noi lo vogliamo su internet e ancora non ve n’è traccia. Renzi ha portato al voto un milione di persone. È lecito sapere che utilizzo è stato fatto delle somme versate?»
La battaglia congressuale, neanche a dirlo, è destinata ad accendersi anche all’interno delgruppo, proprio sulla legge sul finanziamento.
Misiani, tesoriere Pd, non accetta di passare per colui che tenta di allargare le maglie: «Andiamoci piano, c’è una riflessione in atto. Il meccanismo del finanziamento a progetto esiste nel mondo anglosassone, in Gran Bretagna consente di finanziare progetti di formazione, per esempio, o altre iniziative, e funziona».
Ma è vero che lei è stato in Canada per studiarlo? «Sì, di recente, lì il finanziamento diretto alla politica è stato superato da forme avanzate di fund raising, tra le quali proprio il sistema a progetto, e mi sembrava opportuno approfondire e valutare la fattibilità in Italia. Ma vedremo, attenti a trarre subito conclusioni ».
Mariastella Gelmini conferma che la norma cammina. «Sì, loro ci hanno fatto questa proposta, ma in via ufficiosa, non ancora ufficiale. Il Pdl è per il superamento del 2 per mille, ma sul finanziamento a progetto ci riserviamo di valutare – spiega –. L’importante è che non si traduca in un passo indietro e su questo non ci stiamo». Presto si vedrà se la tenda canadese montata nottetempo riuscirà a resistere.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
argomento: Costume, denuncia, governo | Commenta »