Luglio 15th, 2013 Riccardo Fucile
CINQUANTA AGENTI PER PRELEVARE A FORZA UNA MADRE E UNA BAMBINA: UN RAID COMPIUTO SOTTO LE INSEGNE DELLA REPUBBLICA
Credevamo che il dissidente Mukhtar Ablyzov fosse un criminale, balbetta qualcuno. E con questo?
Non hanno nemmeno prelevato lui (sarebbe stato comunque grave), ma addirittura la moglie e la figlia.
Ora, poi, c’è la burla della revoca dell’espulsione.
Come dire: se le avessero uccise, ci sarebbe il permesso di resurrezione.
Leggi il racconto dell’odissea di Alma Shalabayeva e della sua bambina e ti interroghi sul ruolo della polizia in una democrazia.
à‰ un lavoro difficile. Richiede coraggio perchè rischi la vita, ma anche senso di responsabilità perchè hai in mano quella degli altri.
La polizia ha diritto al massimo rispetto per l’alto compito che svolge.
Ma deve rispondere del proprio operato. Più degli altri, perchè ha in mano la nostra persona.
Perchè a lei affidiamo un’altra parola grande: legalità , la base di ogni convivenza.
Ma il nervo che questa vicenda scopre è soprattutto un altro: la zona d’ombra dove il potere politico e quello di polizia si toccano.
Lì sono nati gli episodi più oscuri della storia recente.
A monte di tutto c’è sempre il G8 di Genova. à‰ vero, dopo tanti anni sono arrivate le condanne per una — piccola — parte dei responsabili. Ma le sentenze — per omertà e prescrizioni — hanno lasciato indenni picchiatori e posti di comando.
Come se la mattanza fosse avvenuta per improvvisa follia di qualche dirigente. Possibile?
Genova è l’inizio, pensate alla notte di Ruby in questura a Milano. Alle inchieste napoletane sugli appalti legati alla galassia Finmeccanica che hanno toccato i vertici della polizia.
Troppi scandali che hanno coinvolto il corpo cui affidiamo la nostra sicurezza non sono stati chiariti fino in fondo, nelle responsabilità politiche e gerarchiche oltre che penali.
Da parte dei vertici e dei governi — di centrodestra o centrosinistra — non pare esserci stata la volontà di farlo.
E intanto sul ponte di comando restano gli uomini della stessa cordata, cominciata con l’intramontabile Gianni De Gennaro.
Che non è rimasto mai senza poltrona e oggi è presidente proprio di Finmeccanica. Ma quale asso nella manica hanno da decenni questi uomini?
Perchè centrodestra e centrosinistra hanno di loro tanta considerazione, o forse timore?
L’alternanza al potere è valore essenziale per la politica. Ma forse ancor di più per le forze di sicurezza.
E così anche il principio della responsabilità , non solo penale.
Pretendiamo che sia accertato cosa è accaduto ad Alma. Perchè altrimenti potrebbe toccare a chiunque.
A chi protesta nelle piazze, a chi si oppone al Governo, a chi da cronista ne racconta le ombre.
Ferruccio Sansa
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Luglio 15th, 2013 Riccardo Fucile
LA SINDACALISTA ROZA TULETAEVA TORTURATA IN CARCERE E CONDANNATA A SETTE ANNI PER AVER DIFESO I DIRITTI DEI LAVORATORI
Roza, Bazarbai, Aron.
Nomi che in Kazakistan fanno scattare reazioni diverse; per alcuni sono simboli di determinazione, di desiderio di democrazia, per altri sono un monito.
Se alzi troppo la voce, farai la fine di Roza, Barbai, Aron.
Le loro storie sono state raccolte in un rapporto di Amnesty International dal titolo “Old Habits-The routine use of torture and other ill-treatment in Kazakhstan” (Vecchie abitudini: l’uso regolare della tortura e dei maltrattamenti in Kazakhistan) reso noto alcuni giorni fa, proprio quando stava per scoppiare la “grana” Ablyazov in Italia.
Una delle vicende più cruente riguarda la protesta di Zhanaozen, nel 2011, da parte degli operai del settore petrolifero per l’aumento dei salari: 15 persone uccise , oltre 100 ferite, arresti.
In questo contesto matura la detenzione e la condanna di Roza Tuletaeva, accusata di essere una delle organizzatrici.
Il 16 aprile 2012, durante il processo, Roza Tuletaeva ha dichiarato di essere stata torturata in carcere: sacchetti di plastica sul viso sino a quasi soffocarla, appesa per i capelli, ed altro che lei stessa ha dichiarato di non voler rivelare in pubblico, per la vergogna.
Il 4 giugno 2012, Roza è stata condannata a sette anni di carcere dal Tribunale di Aktau (articolo 241 del codice penale del Kazakistan), in riferimento all’organizzazione “di disordini di massa accompagnato da violenza, incendio doloso, sabotaggio e distruzione di proprietà , uso di armi da fuoco, esplosivi, o dispositivi di esplosione, resistenza armata”.
La pena è stata ridotta da sette a cinque anni nel 2012. Il 13 maggio 2013, nel processo d’appello, il giudice Kozhan Tulebaj ha dichiarato di aver ricevuto una lettera da Roza con una richiesta di perdono; la figlia della sindacalista, Aliya ha denunciato che la lettera è stata scritta dalla madre “sotto pressione”.
Le proteste di Zhanaozen non hanno travolto solo la vita di Roza; Zhalsylyk Turbaev, uno degli attivisti più solerti, ha perso la vita in circostanze poco chiare.
Bazarbai Kenzhebaev è morto il 21 dicembre 2011, due giorni dopo essere stato rilasciato dalla polizia; ad un giornalista aveva rivelato di essere stato torturato nela prigione di Zhanaozen.
Nel 2006, lo scrittore Aron Atabek era stato condannato per aver preso parte a “disordini di massa”: due anni e mezzo di isolamento: nel 2012 ancora un altro anno di isolamento.
Il presidente Nazarbayev nel 2011 ha trasferito il controllo del sistema penitenziario dal ministero della Giustizia a quello degli Affari interni; ovvero alla struttura che ha ricevuto nel tempo la maggior parte delle denunce per i presunti casi di tortura.
Valeria Cattaneo
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Luglio 15th, 2013 Riccardo Fucile
I GRILLINI GETTANO LA MASCHERA, ARRIVA IL SOLITO AIUTINO A PDL E LEGA CON UNA MOTIVAZIONE DA FARSA: “DA ANNI ESPONENTI LEGHISTI FANNO DICHIARAZIONI RAZZISTE, QUINDI E’ INUTILE CHIEDERE LE DIMISSIONI DI CALDEROLI”
Contro Calderoli, prende posizione ufficialmente anche il Partito Democratico, chiedendo le dimissioni del vicepresidente del Senato: “Non si può lasciare – scrivono i democratici – che resti al proprio posto di rappresentante delle istituzioni chi usa le parole come clave per fomentare il razzismo e dileggiare una donna e un ministro”. “Per noi Calderoli è un vicepresidente dimesso in ragione di quello che ha detto”, aggiunge il segretario del Pd, Guglielmo Epifani.
“In un paese civile, uno come Calderoli va a casa e per sempre” – attacca Matteo Renzi.
La richiesta è esplicitata in aula dai senatori democratici. “Quando un vicepresidente del Senato insulta un ministro della repubblica – dice il capogruppo Luigi Zanda – sussistono evidenti ragioni per chiedergli di rassegnare le dimissioni ed è quanto gli chiedono i senatori del Pd”.
Sulla stessa linea, a Palazzo Madama, i senatori di Sinistra ecologia e libertà e Scelta civica.
Gettano la maschera i Cinquestelle che forniscono il solito aiutino a Pdl e Lega.
Con una dichiarazione farsesca: “Sono anni che si ascoltano dichiarazioni razziste da parte della Lega – ha detto il capogruppo Nicola Morra – e si vive in un clima di incultura. Pertanto “le dimissioni di Calderoli sono inutili”.
Insomma se vedete qualcuno che ruba da anni voltatevi dall’altra parte, è inutile arrestarlo: questa la morale a Cinquestalle, meglio continuare a sentire puzza di letame.
La posizione grillina non è piaciuta al Pd. “Il caso Calderoli vede il M5S in totale ritirata e alquanto compiacente con la Lega – afferma Ettore Rosato -. Giudicando inutili le dimissioni dell’attuale vice presidente del Senato, il movimento di Grillo si dimostra subalterno alla peggiore politica: vergognatevi!”.
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Luglio 15th, 2013 Riccardo Fucile
PALAZZO GRAZIOLI SMENTISCE, MA IL GIORNALE CONFERMA: “FONTI CERTE”… IL BLITZ IN ELICOTTERO A INIZIO LUGLIO NEL PIENO DELLO SCANDALO, DUE ORE DI INCONTRO A PUNTALDIA
Tra la villa di Casal Palocco, periferia sud di Roma, dove è stata prelevata Alma Shalabayeva, e i grattacieli di Astana, la nuova capitale del Kazakistan costruita dal nulla dal dittatore Nazarbayev, spunta la zona nordorientale della Sardegna.
E in particolare la marina di Puntaldìa, porto turistico di lusso del paese di San Teodoro, dove Nazarbayev ha passato alcuni giorni di vacanza a inizio luglio.
Il possibile collegamento con Silvio Berlusconi, la cui magione di Villa Certosa dista meno di 30 km in linea d’aria è spontaneo.
E se fonti vicine all’ex presidente del Consiglio sostengono che il contatto tra i due non sia mai avvenuto, l’Unione Sarda oggi in edicola racconta però di un vero e proprio blitz effettuato in elicottero da Villa Certosa a Puntaldìa il 6 luglio da parte di Silvio Berlusconi per un incontro riservatissimo di un paio d’ore con Nazarbayev.
Palazzo Grazioli ha immediatamente smentito la ricostruzione.
Tuttavia l’Unione Sarda, affidandosi a fonti “sicure”, racconta la cosa con dovizia di particolari. E se l’incontro c’è stato, sembra molto difficile che Berlusconi e Nazarbayev abbiano discusso di qualcosa di diverso dalla ‘rendition’ che rischia di minare la composizione dell’attuale governo, andando a interessare in particolare il ruolo del ministro degli Interni Alfano.
Proprio all’interno della villa di proprietà di Enzo Maria Simonelli, in questi giorni protetta da una specie di esercito privato, racconta l’Unione Sarda, sarebbe atterrato in tutta segretezza l’elicottero di Berlusconi, per un colloquio faccia a faccia cui non hanno partecipato nemmeno i collaboratori più fidati dell’ex premier.
E se è vero che diverse aziende italiane, a partire dall’Eni, hanno interessi economici in Kazakistan, e tutti i recenti presidenti del Consiglio, da Prodi a D’Alema a Monti hanno avuto a che fare con il dittatore kazako, è altresì noto come le relazioni d’affari e i rapporti personali tra Nazarbayev e Berlusconi siano sempre stati particolarmente stretti.
Come quando Berlusconi elogiò il 92% di consensi del dittatore descrivendolo come “un consenso che non può che fondarsi sui fatti”, e invitando tutti a “andare in vacanza in Kazakistan”.
E adesso è stato Nazarbayev a fare le vacanze in Sardegna.
Luca Pisapia
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 15th, 2013 Riccardo Fucile
“CHIEDERE LE DIMISSIONI DI ALFANO VUOL DIRE FAR CADERE IL GOVERNO” MA IL RISCHIO E’ CHE LA LINEA SCELTA DEL “POTEVA NON SAPERE” NON REGGA A LUNGO…ALFANO ASSERRAGLIATO AL VIMINALE PER NON RISPONDERE A DOMANDE IMBARAZZANTI
“Il partito di Repubblica vuole usare Alfano come bomba umana per fare esplodere il governo Letta-Alfano, ma non per l’interesse del paese e degli italiani coi loro tanti problemi, ma per l’interesse del suo candidato Renzi”.
La difesa di Alfano è affidata a dichiarazioni fotocopia di tutto lo stato maggiore del Pdl.
Falchi, colombe, big, peones.
Il volume di fuoco è pari alla paura: quella per un ministro dell’Interno costretto a dimettersi, con la conseguente caduta del governo e il ritorno alle urne.
Insomma, un assetto che non contempli più la presenza di Berlusconi come king maker del gioco.
Proprio alla vigilia del Verdetto della Cassazione il 30 luglio, data che col passare dei giorni che il Cavaliere vive come il giorno del giudizio.
Raccontano che proprio Silvio Berlusconi, dal suo soggiorno russo, abbia dato l’ordine di fare quadrato attorno ad Alfano senza sfumature: “Alfano — dice l’ex capogruppo Fabrizio Cicchitto – non si deve dimettere e quelli di Repubblica sono dei provocatori”.
La sensazione è che stavolta la falla si aperta davvero.
L’ha aperta l’editoriale del direttore di Repubblica Ezio Mauro, con la richiesta delle dimissioni del ministro dell’Interno.
E non è un caso che tutti, ma proprio tutti da Santanchè a Brunetta a Schifani, si scagliano contro il quotidiano di largo Fochetti.
È lì il “nemico” più temuto, come ai tempi del sexgate di Silvio Berlusconi. E, come allora, si teme l’escalation.
Lo spiega un azzurro che vicinissimo a Berlusconi: “Chiedere le dimissioni di Alfano significa voler far cadere il governo. E comunque anche se a livello parlamentare Alfano si salva, resterà sempre con un’ombra. È chiaro che Repubblica ci farà una campagna micidiale e che è iniziato il conto alla rovescia per il governo”.
Già , un’ombra.
Anche nel bunker di Berlusconi la posizione del ministro dell’Interno viene considerata debole.
La linea del “poteva non sapere” di fronte all’opinione pubblica non può reggere a lungo.
Perchè, è il ragionamento, delle due l’una: o Alfano è complice; oppure un ministro che non è al corrente di un’operazione di tale portata occupa il ministero come un soprammobile.
Ecco il punto, comunque si rigiri Alfano ne esce sfregiato.
Nell’assenza di certezze su cosa accadrà in Parlamento dove Sel e Grillo sono già a lavoro su una mozione parlamentare di sfiducia, Alfano vive con terrore una “campagna” che sensibilizzi l’opinione pubblica democratica.
Pensa che il Pd, da cui non ha ricevuto segnali tranquillizzanti non reggerà a lungo l’imbarazzo della situazione.
Nè il caso Kienge riuscirà a “coprire” mediaticamente quello che già ha assunto i caratteri di un vero e proprio Alfanogate.
Metro del nervosismo e della paura del titolare dell’Interno è la sua scelta di asserragliarsi dentro il Viminale, evitando telecamere, microfoni, domande.
Per questo, in mattinata ha annullato la sua partecipazione alla presentazione del libro della parlamentare del Pdl Dorina Bianchi, dove avrebbe certo trovato giornalisti pronti a fare domande.
Un episodio che non è normale.
A microfoni spenti gli organizzatori spiegano che ieri sera Alfano aveva confermato la sua presenza.
E invece stamattina ha fatto sapere che non avrebbe partecipato.
Ecco, il titolare dell’Interno già si muove come ministro azzoppato.
(da “Huffington Post”)
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Luglio 15th, 2013 Riccardo Fucile
INSIEME ALLA BONINO HANNO ESPOSTO L’ITALIA ALLA CONDANNA INTERNAZIONALE PER FAVORIRE GLI INTERESSI DI NAZARBAEV
Manca soltanto un tripode con un catino pieno d’acqua — come per Ponzio Pilato — in cui lavarsi pubblicamente le mani sul piazzale del Viminale o della Farnesina: sarebbe l’ultimo atto, purtroppo coerente, della vergognosa figura in cui i ministri Alfano e Bonino hanno sprofondato l’Italia con il caso Ablyazov.
La moglie e la figlia del dissidente kazako vengono espulse dall’Italia con una maxioperazione di polizia e rimpatriate a forza su un aereo privato per essere riconsegnate al pieno controllo e al sicuro ricatto di Nazarbaev.
Un satrapo che dall’età sovietica, reprimendo il dissenso, guida quel Paese e le ricchezze oligarchiche del gas, che gli garantiscono amicizie e complicità interessate da parte dei più spregiudicati leader occidentali, con il putiniano Berlusconi naturalmente in prima fila.
Basterebbero questa sequenza e questo scenario per imbarazzare qualsiasi governo democratico e arrivare subito alla denuncia di una chiara responsabilità per quanto è avvenuto, con le inevitabili conseguenze.
Ma c’è di più.
Alfano, vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno, ha pubblicamente dichiarato che non sapeva nulla di una vicenda che ha coinvolto 40 uomini in assetto anti-sommossa, il dipartimento di Pubblica Sicurezza, la questura di Roma, il vertice — vacante — della polizia.
Un ministro che non è a conoscenza di un’operazione del genere e non controlla le polizie è insieme responsabile di tutto e buono a nulla: deve dunque dimettersi.
C’è ancora di più.
Come ha accertato Repubblica, l’operazione è partita da un contatto tra l’ambasciatore kazako a Roma e il capo di Gabinetto del Viminale che ha innescato l’operatività della polizia.
Se Alfano era il regista del contatto, o se ne è stato informato, deve dimettersi perchè tutto riporta a lui.
Se davvero non sapeva, deve dimettersi perchè evidentemente la sede è vacante, le burocrazie di sicurezza spadroneggiano ignorando i punti di crisi internazionale, il Paese non è garantito.
Quanto a Bonino, la sua storia è contro il suo presente.
Se oggi fosse una semplice dirigente radicale, sempre mobilitata più di chiunque per i diritti umani e le minoranze oppresse, sarebbe già da giorni davanti all’ambasciata kazaka in un sit-in di protesta.
Invece difende il «non sapevo» di un governo pilatesco.
Parta almeno per il Kazakhstan, chiedendo che Alma e Alua siano restituite al Paese dove avevano scelto di tutelare la loro libertà , confidando nelle democrazie occidentali.
E per superare la vergogna di quanto accaduto, porti la notizia — tardiva ma inevitabile — delle dimissioni di Alfano.
Ezio Mauro
(da “La Repubblica“)
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Luglio 15th, 2013 Riccardo Fucile
DAL “NEW YORK TIMES” AL “GUARDIAN”, DAL “WASHINGTON POST” A “LE FIGARO”: DEVASTATA L’IMMAGINE DELL’ITALIA… IL GIURISTA PELLEGRINO: “LA PROCURA DEVE APRIRE UN FASCICOLO, CALDEROLI HA COMPIUTO UN REATO PREVISTO DALLA LEGGE MANCINO CHE PREVEDE LA RECLUSIONE”
“Il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli paragonando la ministra Cècile Kyenge a un orango davanti a 1500 persone ha compiuto un reato punibile secondo la legge Mancino, che prevede reclusione e multa per “chi propaganda idee fondate sull’odio razziale”.
Le parole più chiare e puntuali le ha dette il giurista Gianluigi Pellegrino, inutile girarci intorno.
Vale per Calderoli e vale per le centinaia di messaggi che incitano alla violenza e alla discriminazione razziale sui social network.
Solo in Italia si ha paura di applicare la legge esistente che punisce l’odio razziale.
Chi ha dei problemi di equilibrio psichico potrebbe sempre chiedere un supporto psichiatriaco fino a che è in tempo: dopo deve finire nelle patrie galere, si chiami Calderoli o PincoPallo.
Mezzo antico, ma sempre efficace per indurre alla “rieducazione”.
Anche perchè l’Italia ha una immagine industriale, commerciale, turistica da tutelare all’estero.
E finire massacrati dalla stampa internazionale di Paesi dove bianchi e neri si dividono la responsabilità di governo e vigono principi di coesistenza senza problemi, sta causando irreparabili danni d’immagine al nostro Paese.
Oggi la frase di Calderoli è riportata con sdegno dai media internazionali, dal “New York Times” al “Washington Post”, dal “Globo” al “le Figaro”, da giornali di centro, di sinistra e di destra senza distinzione.
In effetti c’è un piccolo problema: in Italia una destra europea, sociale, civile e moderna non esiste.
Siamo ancora alle scimmie nella foresta.
E quel che è peggio a chi è contiguo a “scimmie” d’altro genere.
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Luglio 15th, 2013 Riccardo Fucile
IL GOVERNO SI DECIDA: O LI FA ANDARE A PRENDERE DALL’AMBULANZA O DAI CARABINIERI… ANCHE LA CARFAGNA CHIEDE LE DIMISSIONI DI CALDEROLI
Il giorno dopo l’esplosione del caso Calderoli – con le offese del leghista, vicepresidente del Senato, al ministro Kyenge – il clima si fa ancora più rovente. Matteo Salvini, segretario lombardo della Lega, non ha gradito l’intervento del Presidente della Repubblica sulle parole pronunciate da Calderoli.
E va all’attacco: ”Napolitano si indigna per una battuta di Calderoli. Ma Napolitano si indignò quando la Fornero, col voto di Pd e Pdl, rovinò milioni di pensionati e lavoratori?”, ha scritto l’esponente leghista su Facebook.
“Io mi indigno con chi si indigna. Napolitano, taci che è meglio!”, ha aggiunto.
Peccato che nell’occasione non abbia cantato anche la canzone sui “Napoletani che puzzano” che è il suo maggiore successo discografico …
Ma non è l’unico esponente leghista sopra le righe.
Secondo quanto riporta il Mattino di Padova, l’assessore veneto Daniele Stival – esponente del Carroccio – ha condiviso, e poi rimosso, sul suo profilo Facebook una foto della pagina ‘L’antipolitica” con l’immagine del ministro per l’Integrazione e una frase dove ci si dice sdegnati per le parole di Roberto Calderoli indicando però come vittima l’orango.
“Una creatura di Dio” -si legge – che non si può paragonare ad “un ministro congolese”.
Stival ha poi cancellato l’immagine: “Lungi da me l’idea di criticare o voler offendere il ministro Kyenge – ha spiegato -. Visto però che si strumentalizza l’ho tolta subito”.
Prova a chiudere il caso il presidente della Regione Veneto e compagno di partito di Calderoli, Luca Zaia che definisce le parole del vicepresidente del Senato, “Un’uscita sbagliata e infelice, senza se e senza ma. L’unica cosa da fare – ha concluso – sono le scuse, cosa che Calderoli ha fatto”.
Parole di censura anche per il suo assessore: “Non condivido le espressioni di Stival e lo invito a scusarsi e cancellare il post da facebook”.
Il dietrofont non basta al Pd Veneto che attacca con il capogruppo in Consiglio regionale, Lucio Tiozzo: “Zaia ne prenda le distanze non solo a parole ma con provvedimenti concreti. Da parte nostra chiediamo le dimissioni immediate di Stival”.
Intanto, un caso inquietante anche a Pescara, dove oggi era attesa in visita Cecile Kyenge. Alcuni militanti di Forza Nuova hanno appeso dei cappi simbolici davanti al Palazzo del Provincia: alle estremità sono stati affissi manifesti contro l’immigrazione.
Nella città abruzzese il ministro ha commentato anche la notizia che Calderoli non intende dimettersi: “Io non ho chiesto che lasciasse, pongo un’altra questione, una riflessione sul ruolo di chi riveste una carica pubblica”.
E poi, sull’ipotesi di un’azione legale nei confronti di Calderoli: “Non scendo al suo livello”.
Chi spera invece nelle dimissioni del vicepresidente del Senato è la parlamentare del Pdl, Mara Carfagna: “Sarebbe auspicabile che si dimettesse. Sarebbe un bel gesto e dimostrerebbe un serio pentimento, perchè rivolgere solo le proprie scuse rischia di apparire un atteggiamento di rito formale e non sostanziale”.
Parole dure anche dal ministro del Lavoro Enrico Giovannini che definisce “inqualificabili” gli “attacchi” di Calderoli. Attacchi che, aggiunge Giovannini, squalificano in modo terribile non solo chi li esercita ma anche chi li sostiene”. “Mi sento onorato – ha aggiunto il ministro – di far parte di un Governo nel quale c’è un ministro per l’integrazione e avere una collega come Cecile Kyenge”
Anche il presidente del Senato, Piero Grasso, torna sulla vicenda: “Non ci si può rifugiare dietro i comizi per nascondere quelle che sono certamente delle aggressioni verbali di tipo razzista, e questo è un dato di fatto”.
Grasso ha inoltre, ricordato che eventuali dimissioni devono essere presentate volontariamente dallo stesso Calderoli e votate dall’Aula.
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Luglio 15th, 2013 Riccardo Fucile
LA PRIMA INTERVISTA A MADINA, LA FIGLIA MAGGIORE DI ALMA E MUKHTAR
«Alma, mia madre, ora è ad Almaty, a casa dei genitori. Viene monitorata, filmata e pedinata da vicino. È trattenuta in Kazakhstan come ostaggio. In aeroporto, al suo arrivo dall’Italia, le hanno consegnato gli atti di accusa e un provvedimento che prevede l’obbligo di dimora ad Almaty. Rischia anni di prigione ».
Madina Ablyazovova, 25 anni, è la figlia maggiore di Alma Salabayeva e di Mukhtar Ablyazov, la coppia kazaka che è sulle prima pagine dei giornali di tutto il mondo e la cui vicenda sta mettendo a rischio il governo italiano.
Questa è la sua prima intervista.
Madina, può descrivere lo stato d’animo di sua madre?
«Innanzitutto vorrei dire questo: mia madre non è mai stata una fuggitiva. È una persona molto positiva, e però come madre è preoccupata per il benessere della propria famiglia. Quando il regime kazako l’ha presa, e subito dopo essere stata mandata in Kazakhstan contro la sua volontà , le autorità kazake hanno mosso delle accuse penali nei suoi confronti per poter fare di lei un ostaggio. Ha sempre avuto con sè documenti validi, che confermavano il suostatus sia in Inghilterra che in Europa. Inoltre, ha sempre avuto un passaporto kazako emesso regolarmente».
Mi racconta la storia di sua madre?
«È nata il 15 agosto 1966 a Zhezdi, una piccola cittadina del Kazakhstan, che all’epoca faceva ancora parte dell’Unione Sovietica: divenne uno Stato indipendente nel 1991. Mia madre è vissuta a Zhezdi fino a 18 anni. La sua era una tipica famiglia sovietica: mia nonna era un’infermiera e mio nonno dirigeva una copisteria di proprietà dello Stato. Mia madre ha studiato Matematica all’università statale kazaka, dal 1984 al 1990. Dopo avere incontrato mio padre, è divenuta una casalinga a tempo pieno. In famiglia siamo quattro figli. Lei ha dedicato tutta la sua vita a noi».
Quando ha incontrato Mukhtar?
«Mio padre e mia madre si sono conosciuti nel 1987, durante un torneo di scacchi. Giocavano uno contro l’altro e lei perse. Lei ci restò così male che iniziò a piangere. Mio padre fu talmente commosso dalle sue lacrime, che la invitò ad uscire. Un anno dopo, nel 1988, si sposarono».
Com’era la loro vita insieme?
«Durante i primi anni vivevano in una piccola stanza all’interno di una Comune. Erano entrambi studenti. Dopo la laurea, mio padre iniziò a lavorare nel Dipartimento di Fisica dell’Università Statale kazaka. Scriveva anche articoli per il giornale degli scacchi e per altre riviste. Quando sono nata io, vivevamo tutti e tre in una piccola stanza. A nove mesi, mi ammalai di polmonite. Avevamo bisogno di soldi per pagare i dottori e le cure, ma gli accademici non erano ben stipendiati. Perciò mio padre decise di iniziare una sua attività e diventò imprenditore per mantenere la famiglia».
Poi tutto cambiò quando Ablyazov divenne ministro e banchiere?
«Mio padre è un gran lavoratore, una persona molto diligente. Insegue le sue passioni e i suoi sogni finchè si realizzano. A capo della rete elettrica nazionale, ha ricostruito e dato nuova vita alsettore energetico del Kazakhstan. Ha preso in mano un’industria gestita male e l’ha ricostruita completamente, trasformandola in un sistema moderno e funzionale, ponendo solide basi che hanno permesso oggi all’industria kazaka di essere competitiva. In seguito, in qualità di ministro dell’Energia, dell’Industria e del Commercio, ha implementato riforme rivolte al mercato e ha scritto la bozza della “Nuova politica industriale” del Kazakhstan, un programma per il miglioramento e la diversificazione dell’economia del Paese. In veste di banchiere, ha dimostrato ancora una volta la sua abilità nel seguire le proprie passioni, costituendo una delle principali banche private dei mercati emergenti mondiali. Nonostante la sua carriera e gli impegni, è sempre stato un padre e, per i miei bambini, un nonno meraviglioso ».
Perchè ha rotto con Nazarbaev?
«La rottura non è avvenuta da un giorno all’altro. Mio padre criticava il regime intimidatorio, criminale e repressivo costruito da Nazarbayev. Mio padre è un visionario. Ha sempre creduto che la sovranità di una nazione dipenda dalla libertà delle persone che ne fanno parte e dal loro diritto di decidere del proprio futuro. I valori democratici e la libertà di espressione sono sempre stati alla base dei principi e delle ambizioni politiche di mio padre. Poco dopo aver fondato la Scelta democratica del Kazakhstan, il partito politico di opposizione a Nazarbaev, è stato imprigionato e torturato. Sono convinta che ciò non lo abbia mai dissuaso dal credere in un futuro di prosperità per il suo Paese e il suo popolo. Ecco perchè questa battaglia politica continua».
Prima di arrivare a Roma, nel settembre del 2012, cos’è successo a sua madre?
«Dal 2003 è vissuta a Mosca, in Russia, dopo che Amnesty International ed altri aiutarono mio padre ad uscire dal carcere. Nel 2005, la mia famiglia si trasferì di nuovo in Kazakhstan dove restò fino a che s’inasprirono i contrasti con il Presidente Nazarbayev. Nel 2009 la famiglia fu costretta a trasferirsi in Inghilterra, dove mio padre ricevette asilo. Durante i loro 26 anni di matrimonio, mia madre gli è sempre stata al fianco, fatta eccezione per il periodo in cui lui era in prigione. Tuttavia, a causa della costante sorveglianza da parte degli agenti del regime di Nazarbayev, cui la mia famiglia era sottoposta in Inghilterra, per tutelare la sicurezza e la privacy della mia sorellina, mia madre lasciò mio fratello minore a vivere con me, e portò lei in una scuola italiana. Ma le possibilità dei nemici di mio padre non hanno limiti nè confini, come dimostrato ancora una volta dall’espulsione straordinaria e, di fatto, dal rapimento di mia madre e di mia sorella, da parte dell’Italia. Un oppositore politico come mio padre, e come tutti coloro che protestano contro i regimi dittatoriali, non è al sicuro da nessuna parte».
Cinzia Sasso
argomento: Giustizia, governo, radici e valori | Commenta »