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CASO KAZAKISTAN: ECCO I BUCHI E LE BUGIE NELLA VERSIONE DEL GOVERNO PER COPRIRE IL RUOLO DEL VIMINALE

Luglio 12th, 2013 Riccardo Fucile

DAL RUOLO DI ALFANO ALLE INFORMAZIONI DISPONIBILI ALLA QUESTURA DI ROMA E MAI TRASMESSE AL GIUDICE

La nota di Palazzo Chigi che informa sull’annullamento dell’espulsione della moglie del dissidente kazako Ablyazov, oltre a non essere in sufficiente a restituire la libertà  ad Alma Shalabayeva e alla piccola Alua, delinea una strategia difensiva di ‘larghe intese’ che presenta diversi punti deboli.
A cominciare dall’assunto governativo per cui “risulta inequivocabilmente che l’esistenza e l’andamento delle procedure di espulsione non erano state comunicate ai vertici del governo (…) nè al Ministro dell’interno”.
Il dicastero degli Esteri e quello della Giustizia sono stati tagliati fuori dalla gestione della vicenda, e non hanno nascosto la loro irritazione.
Il ruolo “molto attivo” di Angelino Alfano nell’operazione, è invece stato confermato a ilfattoquotidiano.it dalle fonti più diverse.
Non ultime quelle che hanno raccontato delle numerose telefonate intercorse tra l’ambasciatore del Kazakistan in Italia, Andrian Yelemessov, e il titolare del Viminale poco prima dell’inizio della vicenda proprio per sollecitare la rapidissima espulsione della moglie e della figlia del dissidente kazako Ablyazov.
La nota governativa sottolinea poi la “regolarità  formale del procedimento”, che l’avvocato Riccardo Olivo aveva invece definito “illegittimo”.
A partire da tutta una serie di “procedure insolite”, come le avevano chiamate i legali, fino al mancato utilizzo di documenti di fondamentale importanza.
Come può considerarsi infatti una serie di provvedimenti del Tribunale dei minorenni che nel giro di 72 ore affida una bambina di 6 anni a tre persone diverse, quando normalmente per un affido di minorenne passano anni?
Dai documenti che il fattoquotidiano.it ha visionato la piccola Alua è stata infatti affidata prima Venera, sorella di Alma Shalabayeva.
Poi nel corso di una successiva visita nella villa di Casal Palocco, constatato che Venera era assente, la piccola è stata affidata addirittura a Semakin, autista della famiglia.
E infine, una volta sulla pista di Ciampino, è stata affidata nuovamente alla madre.
Per il resto, risulta ineccepibile il decreto di rimpatrio firmato dal Giudice di Pace all’interno del Cie di Ponte Galeria, e poi convalidato dalla Procura di Roma.
Peccato che non fosse stato loro consegnato un documento, in possesso dell’Ufficio Immigrazione della Questura di Roma fin dal 30 maggio.
Ovvero la nota inviata dall’ambasciata kazaka alla Questura in cui si avverte che la signora Alma Shalabayeva è in possesso di due passaporti validi rilasciati in Kazakistan (N°0816235 e N°5347890).
Passaporti che evidentemente avrebbero permesso il rimpatrio volontario della signora (coi tempi che si allungavano e la difesa che poteva intervenire) e non coatto.
Così come lo stesso Ufficio Immigrazione è stato ben lesto il pomeriggio del 31 maggio, quando l’aereo già  era a Ciampino pronto al decollo, a inviare invece un fax in Procura, firmato dal responsabile Umberto Improta e visionato da ilfattoquotidiano.it, in cui si avvisava che ogni ulteriore controllo era inutile.
E che quindi si poteva procedere con il rimpatrio immediato.
La nota di Palazzo Chigi risulta poco credibile quando sostiene che (nell’udienza del Tribunale del Riesame del 25 giugno ndr.) “sono stati acquisiti in giudizio (…) documenti, sconosciuti all’atto dell’espulsione, dai quali sono emersi nuovi elementi (…) che hanno consentito di riesaminare i presupposti alla base del provvedimento di espulsione”. In quell’udienza è stato acquisito innanzitutto il fascicolo della Procura austriaca, dal quale si evinceva che l’aereo della compagnia Avcon era stato prenotato prima ancora che l’udienza fosse terminata, ma è difficile che il governo faccia riferimento a questo.
Nella stessa udienza è stato acquisto agli atti anche lo status di rifugiato di Ablyazov ottenuto a Londra nel 2011, esteso a moglie figlia, che avrebbe impedito l’espulsione. E i permessi di soggiorno di Alma Shalabayeva: sia quello britannico che quello lettone.
Ma sono davvero informazioni nuove, come sostiene il governo?
Oltre ad avere tra le mani una nota dell’ambasciata kazaka che avvisava che Alma Shalabayeva aveva due passaporti validi, alla signora l’Ufficio Immigrazione ha fin da subito preso le impronte digitali.
E grazie al sistema integrato europeo Vis (sistema di informazione visti) in pochi minuti sarebbero dovute saltare fuori le generalità  della donna, e il suo permesso di soggiorno lettone. Ennesima svista della Questura di Roma.
Ammesso che abbia condotto questa delicata vicenda in piena autonomia, come sostiene la nota di Palazzo Chigi.

Luca Pisapia
(da “il Fatto Quotidiano“)

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IMU, IL TESORO STUDIA TRE IPOTESI

Luglio 12th, 2013 Riccardo Fucile

DUE SONO LEGATE ALL’ISEE, L’ATERNATIVA E’ UNA TASSA CHE INGLOBA CASA E RIFIUTI CON PAGAMENTO A DICEMBRE

Una famiglia con due figli e un reddito di 36 mila euro, con una casetta di proprietà  non più grande di 80 metri quadri, gravata da mutuo.
Più o meno quello che equivale a 15 mila euro di reddito Isee, che per i tecnici dell’Economia potrebbe essere il nuovo spartiacque al di sotto del quale l’Imu sulla prima casa non si paga, sopra sì, ma solo se si possiede una casa di valore, tanto da pagare un’imposta superiore a 600 euro.
Il livello al quale si pensa di innalzare l’attuale franchigia di 200 euro, per esentare alla fine della fiera l’85%dei proprietari.
Costo dell’operazione: 2,9 miliardi di euro. Non pochi, ma forse indispensabili per placare i mal di pancia di un Pdl che per bocca del suo leader, Silvio Berlusconi, ha ribadito che il banco di prova per la tenuta del Governo sarà  proprio il doppio nodo Iva-Imu.
Opzione azzeramento
Anche per questo i tecnici accelerano il lavoro, scandagliando tutte le proposte.
Compresa quella di eliminare del tutto la tassa sulla prima abitazione, coprendo il buco di 4 miliardi con aliquote progressivamente più alte su seconde, terze e quarte case.
Una vera patrimoniale che sembra però inapplicabile perchè stangherebbe chi fa del mattone una fonte primaria di investimento.
E questo proprio mentre i costruttori aderenti all’Ance annunciano un crollo degli acquisti di 74 miliardi di euro in sei anni.
Allora meglio cercare altre soluzioni. Come quella di fissare una soglia di reddito Isee sotto la quale non si paga, elevando comunque la franchigia a 600 euro.
Che vorrebbe dire comunque scontare di pari entità  l’imposta anche quando questa supera la soglia. Ad esempio chi deve mille euro di Imu ne verserebbe solo 400.
Ma l’operazione ha un costo elevato.
Ecco allora spuntare un piano B, che prevede di innalzare la franchigia, ossia la soglia sotto la quale non si paga, progressivamente al reddito Isee suddiviso in quattro fasce, di 5 mila, 7.500, 15 mila euro e sopra 15 mila.
Più è basso il reddito indicato dal riccometro e meno imposta si pagherebbe.
Fino alla totale esenzione sotto i 5 mila euro.
Una soluzione meno onerosa, che limiterebbe a 2 miliardi l’ammanco.
Sia il piano A che quello B potrebbero comportare comunque uno slittamento di un mese dei termini per il pagamento dell’acconto, che andrebbe a questo punto versato il 16 ottobre.
Tempo giusto per rifare i conti anche con i Comuni, che con metà  dell’Imu coprono una parte tutt’altro che irrilevante dei loro bilanci.
La tassa «Ics»
Ma gli sherpa dell’Economia stanno lavorando anche a un piano di riserva, quello che prevede di superare a piè pari l’Imu a favore della «tassa Ics», l’imposta su casa e servizi, di stampo un po’ tedesco e un po’ britannico, che assorbirebbe in un tutt’uno Imu e Tares sui rifiuti.
Una rivoluzione che a quel punto riguarderebbe tutti, tanto i proprietari di prime case che i multiproprietari.
A pagare quella che qualcuno ha ribattezzato «service tax» sarebbero al 40% i proprietari dell’immobile, su una base imponibile data dalla rendita catastale.
Rivista secondo valori più vicini a quelli di mercato se il Parlamento riuscirà  a ingranare la quinta sulla delega fiscale che contiene la sospirata riforma del catasto.
Sulla quota «immobiliare» della tassa si applicherebbero degli sconti tanto più alti quanto più largo è il nucleo familiare.
Un altro 40% dell’imposta sarebbe composto dalla quota «smaltimento rifiuti» e un 20% da quella per i «servizi indivisibili», come l’illuminazione e la manutenzione stradale. Entrambe queste due quote sarebbero dovute da chi abita l’immobile, quindi se del caso dagli affittuari.
Solo che per questo 60% della tassa Ics, pagherebbero maggiormente le famiglie numerose, all’insegna del principio «più consumi, più paghi», sancito anche da una direttiva europea.
Rinvio rata a dicembre
Inutile dire che un’operazione del genere richiederebbe tempo.
Almeno fino a dicembre, quando si salderebbe con la nuova imposta il 2013, cancellando l’acconto Imu di settembre.
Tanto per evitare frizioni a breve tra i due schieramenti politici.
L’appuntamento decisivo a questo punto dovrebbe essere quello del 18 luglio, quando tornerà  a riunirsi la «cabina di regia», presente il premier Enrico Letta.
A lui e ai partiti spetterà  l’ultima parola su soluzioni al momento tecniche ma che alla politica sembrano comunque strizzare l’occhio.

Paolo Russo

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INELEGGIBILITA’ DI BERLUSCONI, DECIDE LA POLITICA, MA ALL’ESTERO TOCCA AI GIUDICI

Luglio 12th, 2013 Riccardo Fucile

ALL’ESTERO I CONTROLLATI NON SONO ANCHE I CONTROLLORI… A PARTIRE DAI PAESI ANGLOSASSONI

Silvio Berlusconi non dovrebbe sedere in Senato perchè «in proprio (…) è vincolato con lo Stato per concessioni di notevole entità  economica», quelle che consentono alle sue tv di trasmettere sul territorio nazionale. Condizione che, prescrive la legge 361 del 1957, determina la sua ineleggibilità “. Il caso è arrivato ieri sul tavolo della Giunta per le elezioni e le immunità  parlamentari del Senato, composta da 23 senatori: 8 del Pd, 6 del Pdl, 4 grillini e uno a testa di Scelta Civica, Gruppo per le Autonomie, Sel, Suedtiroler Volkspartei e Lega Nord.
In pratica i controllori sono colleghi del controllato, ma nel caso in questione alcuni sono anche suoi sottoposti (data anche la natura personalistica del Pdl) e quelli del Pd sono alleati di governo.
E sempre o quasi, nelle giunte parlamentari le decisioni vengono prese in base agli equilibri politici più che ai dettati della legge.
Ma se a Roma sull’ineleggibilità  decidono gli stessi eletti, per lo più in base a ordini di scuderia, quella italiana non è l’unica soluzione possibile.
In altri Paesi a decidere sono organi esterni alla politica, assai meno condizionabili.
Nel mondo anglosassone la competenza sul tema è in molti casi affidata al potere giudiziario.
Nel Regno Unito, in base allo House of Common Disqualification Act 1975, sull’ineleggibilità  di un membro della Camera dei Comuni (alla Camera dei Lord si entra per nomina, via ereditaria o eletti dai colleghi) decide il Judicial Committee of the Privy Council, una delle due più alte corti nell’ordinamento giudiziario britannico insieme alla Supreme Court.
Stesso discorso per l’Australia, dove fa testo la Section 44 della Costituzione: la pronuncia definitiva spetta all’Alta Corte (l’equivalente della Cassazione italiana), riunita in sede di Court of Disputed Returns.
E anche in Canada a decidere è la magistratura: in base all’articolo 524 del Canada Election Act “ogni cittadino con diritto di voto e ogni candidato possono contestare l’elezione di un altro candidato dinanzi al tribunale competente”.
Non solo nell’universo anglosassone a decidere sul tema sono i magistrati.
In Cile la competenza è affidata al Tribunal Constitucional Cileno, organo di natura giuridica assimilabile alla nostra Corte Costituzionale, composto da 10 membri, tutti giuristi.
Un collegio di magistrati si pronuncia anche in Costa Rica sulle denunce presentate dai partiti in tema di “inhabilidad” e “incompatibilidad”: è il Tribunal Supremo de Elecciones, organismo dedicato esclusivamente alla materia elettorale, tanto “da diventare un potere a sè — si legge sul sito — in grado di affiancare i tre poteri tradizionali dello Stato”.
E alla Corte Suprema è affidato il compito di decidere in Pakistan (ex colonia britannica), dove secondo vari pronunciamenti ogni cittadino ha il diritto di chiedere la verifica dell’eleggibilità  dei parlamentari.
All’altro emisfero filosofico e normativo, quello della completa separazione dei poteri, appartengono gli Stati Uniti d’America.
Lo dice l’articolo 1, paragrafo 5, della Costituzione: “Ciascuna Camera sarà  giudice di elezioni, voti e requisiti dei propri membri”.
Alla Camera il reclamo sull’eleggibilità  è sollevato allo Speaker da un altro membro eletto, prima del giuramento: la House può ammettere o meno l’eletto o deferire la questione alla Committee on House Administration, che indaga sui requisiti del candidato.
Stessa procedura al Senato. In passato casi sono arrivati di appello in appello fino alla Corte Suprema. Diversa la questione dell’eleggibilità  del presidente: ogni cittadino può ricorrere contro la sua elezione nelle corti federali.
Un organo politico decide anche in Germania.
Secondo il Bundeswahlgesetz, la legge elettorale federale, a pronunciarsi è il Consiglio degli Anziani del Bundestag, composto dal presidente dell’assemblea, dai suoi 5 vicepresidenti e da 23 parlamentari.
In Spagna, poi, dove la materia è regolata dall’articolo 160 della Ley Organica n. 5/1985, “la Camera in assemblea plenaria decide sulla possibile incompatibilità  (chi è incompatibile è anche ineleggibile) dei parlamentari su proposta della Commissione corrispondente”.
In Francia, in base all’articolo 59 della Costituzione, l’organo competente è il Conseil Constitutionnel, equivalente per molti aspetti alla nostra Corte Costituzionale, ma di natura più politica: i suoi 9 membri non sono scelti solo tra magistrati, professori universitari e avvocati, ma anche tra gli stessi politici.
Stessa modalità  di selezione per i membri della Central Election Commission in Russia e del Central Elections Committee in Israele, organi che nei due paesi decidono della regolarità  delle elezioni. In Sudamerica, la decisione spetta agli stessi eletti in Bolivia e in Colombia: qui, investita del caso, la Comisiòn de Etica y Statuto del Congresista (17 deputati e 11 senatori) deve pronunciarsi entro 3 giorni. Etica a parte, se non altro il responso arriva in tempi brevi.

Marco Quarantelli

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PROPOSTA DEL PD SULLA INELEGGIBILITA’: “BERLUSCONI SCELGA TRA SCRANNO AL SENATO E LE AZIENDE”, MA NEL PD PUPPATO E CIVATI NON SONO D’ACCORDO

Luglio 12th, 2013 Riccardo Fucile

“CAMBIARLA CON INCOMPATIBILITA'”: INIZIATIVA DI 25 SENATORI DEL PD CON ZANDA E MUCHETTI PRIMI FIRMATARI… UN ANNO DI TEMPO PER VENDERE LE QUOTE DI CONTROLLO DELLE SUE AZIENDE

Un disegno di legge per superare la legge 361 del 30 marzo 1957: sostituendo il principio di ineleggibilità  con quello di incompatibilità .
E consentendo a Silvio Berlusconi di mantenere la carica di senatore (eventuali condanne a parte), a patto di rinunciare al controllo sulle sue aziende.
E’ quanto prevede un ddl del Pd depositato al Senato, di cui sono i primi firmatari Massimo Mucchetti, presidente della Commissione Industria e Luigi Zanda, capogruppo del Pd a Palazzo Madama.
Il testo, sottoscritto da altri 23 colleghi, reca il titolo ‘integrazioni della legge 15 febbraio 1953, n. 60, In materia di incompatibilità  parlamentare, e abrogazione dell’articolo 10 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei Deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, In materia di ineleggibilita”.
“La principale novità  – scrive il primo firmatario Mucchetti – è rappresentata dalla proposta di qualificare come cause di incompatibilità  le situazioni finora definite come cause di ineleggibilità  dall’articolo 10 della legge”.
Con le nuove norme, la Giunta delle Elezioni, invece di dover decidere sull’eventuale ineleggibilità  del Cavaliere, che porterebbe alla decadenza immediata dal seggio, dovrebbe valutare una eventuale incompatibilità , consentendo a Berlusconi la scelta.
Rimuovere la causa senza rinunciare all’ufficio parlamentare o rinunciare al seggio conservando la causa dell’incompatibilità .
Secondo quanto prevede il ddl, la rimozione del conflitto potrà  avvenire, vendendo la partecipazione di controllo di un’azienza nel tempo di un anno, oltre il quale il parlamentare inadempiente decade.
UN ANNO PER VENDERE
Per rimuovere la causa, “l’azionista di controllo eletto parlamentare deve conferire entro trenta giorni ad un soggetto non controllato nè collegato il mandato irrevocabile a vendere entro trecentosessantacinque giorni le partecipazioni azionarie di cui sopra a soggetti terzi, ossia a soggetti senza rapporti azionari nè professionali con il venditore e comunque a soggetti diversi dal coniuge, dal convivente more uxorio e dai parenti fino al quarto grado e affini fino al secondo grado, nonchè a soggetti diversi dagli amministratori delle società . I due termini di 30 e di 365 giorni devono intendersi come perentori”.
ESCLUSO UN BLIND TRUST
I promotori del ddl spiegano di aver scelto “la rimozione in radice della partecipazione di controllo” e non un blind trust, giacchè, ‘la devoluzione a un blind trust elimina sì l’influenza del parlamentare nella gestione aziendale, ma non la ben più grave possibilità  che il parlamentare pieghi la sua opera a favore della società  nella quale conserva il suo interesse patrimoniale.
NORMA SUBITO APPLICABILE
La norma sarebbe applicabile anche nella legislatura in corso. Il testo contiene, infatti, una norma transitoria che prevede che, in sede di prima applicazione, per i membri del parlamento in carica, per i quali esista o si determini qualcuna delle incompatibilità  previste, le disposizioni avranno effetto all’entrata in vigore della legge, previsto per il giorno successivo alla sua pubblicazione sulla gazzetta ufficiale.
Tra i firmatari dell’iniziativa Claudio Martini, Vannino Chiti, Miguel Gotor, Franco Mirabelli, Maurizio Migliavacca, Salvatore Tomaselli, Giorgio Tonini, Walter Tocci.
Reazioni contrastanti anche in casa Pd.
Di segno negativo il primo commento della senatrice Laura Puppato: “Se l’intenzione è quella di tentare una forma compromissoria per mantenere inalterati gli equilibri politici nazionali, allora io metto in guardia: non verrebbe compreso dalla maggior parte dei nostri elettori, per non dire da tutti”.
Ironico Pippo Civati: “Non si sono resi conto che questa è la prima dichiarazione del Pd in cui si dice chiaro e tondo che Berlusconi è ineleggibile”.
Replica ai due colleghi di partito il senatore Vannino Chiti: “E’ incredibile ma ogni volta si ripete: se si presenta un ddl serio come quello Mucchetti-Zanda immancabilmente esponenti del Pd sentono il bisogno di scendere in campo per polemizzare”.

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MEDIASET PREPARA LA TELE-GUERRA IN DIFESA DI SILVIO

Luglio 12th, 2013 Riccardo Fucile

NUOVO PROGRAMMA, MOBILITATE LE REDAZIONI: FORSE SPECIALE STILE RUBY

Ogni calendario deve contenere quel giorno, il 30 luglio, un martedì, cerchiato di rosso. E ogni foglietto, ogni previsione, ogni appunto. Pronti. Un segnale, e avanti.
Perchè Mediaset deve organizzare i soccorsi, disperati, ma pur sempre irrinunciabili soccorsi.
Silvio Berlusconi non ha ancora distribuito le deleghe, i compiti, non ha ancora ordinato di accendere le telecamere su Arcore e nemmeno il pellegrinaggio di direttori e consiglieri è avviato.
Ma il giornalista che deve caricarsi in spalla il futuro del Cavaliere, e le sentenze e l’esegesi su Ruby ne diedero prova quantomeno di affidabilità  se non di efficacia, non cambia mai: Giovanni Toti, responsabile doppio fra Tg4 e Studio Aperto, dovrà  inaugurare in anticipo il settimanale serale Dentro la notizia, previsto per l’autunno.
La prima reazione a quel giorno temuto, il 30 luglio, scompiglia l’andatura dei palinsesti di Cologno Monzese, destinati al congelatore come accade per la Rai e, in misura minore, per La7.
Mediaset deve tutelare il Capo e non dà  mica fastidio avere un buon ritorno di ascolti se la concorrenza s’adagia in bagnasciuga.
Ai giornalisti sarà  comunicato in via informale, e forse poi in via ufficiale, di modulare le vacanze agostane, di non creare vuoti, zone scoperte, perchè in quel mese, archiviato quel 30 luglio, può cadere l’inferno in terra.
Il toscano Toti, berlusconiano convinto e gentile, fu l’ispiratore di un romanzo quasi postumo ormai, la cosiddetta Guerra dei vent’anni che contrappone, secondo la vulgata di Arcore, la magistratura a Berlusconi: due puntate, una catastrofe di ascolti, addirittura Canale 5 s’inabissò sotto i 6 punti di share, roba da guasti tecnici.
Fra un paio di giorni, attutita la botta per la scadenza in Cassazione, Toti e colleghi incontreranno i vertici aziendali, il figlio Pier Silvio, il tentacolare Mauro Crippa e il dottor Fedele Confalonieri che conosce le esigenze e le preferenze di Silvio, l’amico che accompagnava al pianoforte. Anche Paolo Bonaiuti , portavoce e stratega, si lascia scappare: “Ancora non ho parlato con Fedele…”.
Il Cavaliere non vuole recitare il verbo, non vuole apparire troppo, ora conviene che il messaggio arrivi ai cittadini e soprattutto ai giudici che dovranno sancire o confutare la frode fiscale per i diritti Mediaset.
Il   mezzo dovrà  contenere due protagonisti, che spesso sono costretti — per i bisogni di Berlusconi — a condividere il copione: il Partito democratico, un pezzo, e le toghe, la quasi totalità  stanno cercando di distruggere il governo di larghe intese e minare la credibilità  internazionale del nostro Paese.
La redazione di Toti può apparecchiare l’ennesima Guerra dei vent’anni in qualsiasi momento, non è confermato e neppure escluso perchè al Cavaliere spetta la decisione: a Cologno Monzese sono a disposizione.
La Cassazione ha provocato un rimpianto: perchè Quinta Colonna di Paolo Del Debbio, un berlusconiano inserito nella categoria “ideologi” assieme a Giuliano Ferrara, dovrà  chiudere la stagione il prossimo 19 luglio.
Nessuna serata sarà  sprecata, ovvio, ma il palinsesto resterà  un po’ sguarnito. Da Cologno Monzese fanno notare che la preziosa striscia notturna del Tg5 di Clemente Mimun non riposa e può ospitare l’artiglieria berlusconiana che dovrà  cannoneggiare sui cinque giudici.
E che lo share li benedica.

Carlo Tecce

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LETTA ANNULLA L’ESPULSIONE DELLA MOGLIE DEL DISSIDENTE: ORA VADA IN KAZAKISTAN A RIPRENDERLA E LASCI ALFANO IN OSTAGGIO

Luglio 12th, 2013 Riccardo Fucile

TROPPO FACILE “AUTOASSOLVERE” TUTTI I MINISTRI DOPO CHE IL NOSTRO PAESE HA COMPIUTO UN’AZIONE INFAME: CHI HA SBAGLIATO ORA PAGHI… IN MANCANZA DI UNA VERA DESTRA, A CHIEDERE LE DIMISSIONI DI ALFANO, SPAZIO LIBERO A SEL E CINQUESTELLE

L’Italia ha revocato l’espulsione di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov che era stata rispedita in patria con la figlia di sei anni nel maggio scorso, con un’operazione che negli ultimi giorni ha sollevato polemiche e un’inchiesta interna del Viminale.
La signora può rientrare in Italia, informa una nota di palazzo Chigi, che sottolinea come l’esecutivo sia stato tenuto all’oscuro di tutto, compreso “il ministro dell’Interno”, cioè Angelino Alfano, indicato invece nei giorni scorsi come uno dei registi dell’operazione.
Un penoso tentativo di salvare il suo vice.
Al momento, comunque, la consorte del principale oppositore del dittatore Nazarbayev si trova in patria agli arresti domiciliari.
”A seguito della revoca del provvedimento di espulsione, che verrà  immediatamente resa nota alle autorità  kazake attraverso i canali diplomatici, la signora Alma Shalabayeva potrà  rientrare in Italia, dove potrà  chiarire la propria posizione”, si legge nel comunicato di Palazzo Chigi.
Il governo, prosegue la nota, “colti i profili d iprotezione internazionale che il caso ha sollevato, si è immediatamente attivato per verificare le condizioni di soggiorno in Kazakistan della signora e della figlia”.
Il governo affida inoltre al Capo della polizia, Alessandro Pansa, un’indagine sullo svolgimento della procedura di espulsione, gestita dalla Questura di Roma.
La donna e la figlia Alua, di sei anni, sono state caricate su un’aereo noleggiato dall’ambasciata kazaka il 31 maggio a Ciampino: una procedura lampo risolta in tre giorni, condotta da una cinquantina di agenti della Digos e della Squadra mobile di Roma, in base a informazioni fornite dall’Ufficio stranieri.
I legali della signora Shalabayeva accolgono naturalmente con favore “il ripristino dei diritti violati“.
L’avvocato Riccardo Olivo chiede ora che la signora Shalabayeva ritorni il più presto in Italia ed auspico che il governo kazako dia corso alla richiesta del nostro governo”. Mentre Andrian Yelemessov, ambasciatore del Kazakistan in Italia, afferma di non aver “ricevuto alcuna richiesta da parte italiana” e ha ancora il coraggio di sostenere la “correttezza delle procedure che hanno portato all’espulsione”.
La Farnesina, per contro, fa sapere per vie informali di aver già  contattato il diplomatico.
L’improvvisa decisione del governo fa riferimento al recente intervento alla Camera del premier Enrico Letta, durante la question time: dall’indagine disposta “risulta inequivocabilmente che l’esistenza e l’andamento delle procedure di espulsione non erano state comunicate ai vertici del governo: nè al Presidente del Consiglio, nè al Ministro dell’interno e neanche al Ministro degli affari esteri o al Ministro della giustizia”. Governo assolto in toto, dunque, compreso il ministro dell’Interno Angelino Alfano, indicato nei giorni scorsi come una sorta di dominus dell’operazione, e finora rimasto silente.
Nell’indagine interna già  avviata su input di Letta sono stati già  sentiti i funzionari della Questura di Roma direttamente coinvolti nell’operazione: i responsabili dell’Ufficio Stranieri, Maurizio Improta, della Digos, Lamberto Giannini, e della Squadra mobile, Renato Cortese.
I quali avrebbero riferito di aver agito in piena autonomia, senza ordini superiori, l’opposto di quanto avrebbero detto ieri.
Il governo pare ammettere anche alcuni retroscena in merito a carte mancanti nel fascicolo dell’espulsione. “All’esito della presentazione del ricorso avverso tale provvedimento, sono stati acquisiti in giudizio e conseguentemente dalla pubblica autorità  italiana, documenti, sconosciuti all’atto dell’espulsione, dai quali sono emersi nuovi elementi di fatto e di diritto che, unitariamente considerati, hanno consentito di riesaminare i presupposti alla base del provvedimento di espulsione pur convalidato dall’autorità  giudiziaria”.
Nuove carte che “consentono ora, e anzi impongono, una rivalutazione dei relativi presupposti”.
La versione di Letta non accontenta l’opposizione.
Come già  aveva fatto il Movimento Cinque Stelle questa mattina, il leader di Sel Nichi Vendola chiede le dimissioni del ministro Alfano e annuncia una mozione di sfiducia.
La nota di Palazzo Chigi, “che riconosce gravi e colpevoli mancanze da parte di apparati dello Stato, in qualunque altro Paese civile, si sarebbe conclusa in ben altro modo: con le dimissioni del ministro dell’Interno. Non ci si può ipocritamente lavare la coscienza con due parolette. Aspettiamo ora dal titolare del Viminale il passo conseguente”.
Mentre il deputato Claudio Fava parla di una “extraordinary rendition” la cui responsabilità  ricade comunque sul ministro dell’Interno: “Se Alfano sapeva dovrà  spiegare in nome e per conto di chi sono stati disposti l’arresto e la consegna della signora Shalabayeva alle autorità  kazake, contravvenendo precise norme di legge e di diritto internazionale. Ancor peggio se nulla il ministro ha saputo: sarebbe la prova di una sua inaudita inadeguatezza politica”.
Gli stessi Cinque Stelle tornano alla carica con il senatore Mario Giarrusso: “Alfano o è complice di quanto accaduto o, come ha detto lui, è un incompetente che non sa cosa stava succedendo al ministero degli Interni. E’ una cosa gravissima. In ogni caso, in un momento così grave della nostra storia, non possiamo avere un ministro che ha acconsentito che una donna innocente ed una bambina venissero deportate in una dittatura. Non è possibile che vi sia un ministro non in grado di capire cosa succede nel suo dicastero”.
Giarrusso sottolinea che “Alfano si è sottratto alle sue responsabilità  non venendo a riferire in Parlamento su questa vicenda”, come gli era stato chiesto da più parti. Incombenza assunta poi dal presidente del consiglio Letta nela question time che ha condotto all’epilogo (momentaneo) della vicenda.
Anche il Senato “ha deciso di approfondire, non appena sarà  conclusa l’indagine preannunciata dal presidente del Consiglio Letta, le modalità  e la dinamica complessiva di un episodio che ha contorni inquietanti”, scrivono in una nota congiunta Anna Finocchiaro, presidente della Commissione Affari Costituzionali, e Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Affari esteri del Senato.
“È giusto fare pulizia ma soprattutto trasparenza, perchè la vicenda non potrà  concludersi scaricando responsabilità  di comodo sugli ultimi anelli della catena di comando”.
Sul fronte del centrodestra, tra i primi a reagire c’è proprio il capogruppo Pdl al Senato Renato Schifani, anche lui indicato da indiscrezioni come parte in causa nella vicenda. “La sinistra di Vendola e il Movimento 5Stelle non sbraitino e non strumentalizzino”, replica.
“Il ministro Alfano, il presidente Letta e gli altri ministri non hanno alcuna responsabilità  nè politica nè tantomeno operativa”.
Se lo dice lui che è stato citato dai media come uno dei registi dell’operazione “sequestro”, possiamo stare tranquilli.
Da rilevare un aspetto non secondario: in Europa una destra normale avrebbe difeso la legalità , in Italia la pseudo destra anomala sta con un torturatore di dissidenti, come denunciato da Amnesty International.
E si lascia a Sel e Cinquestelle il monopolio delle richiesta di dimissioni di Alfano, quelle che avrebbe dovuto chiedere una destra civile.
Rivendichiamo con orgoglio di essere stati tra i pochi   a destra a denunciare il sequestro di persona e a chiedere giustizia.
Ora chiediamo a Letta di partire per il Kazakistan e riportare in Italia Alma e sua figlia: se avessero bisogno di un ostaggio gli lasci i   pegno Alfano e Schifani.
Della loro mancanza in Italia non se ne accorgerebbe nessuno.

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IL CONDANNATO E “L’ESERCITO DI SILVIO”

Luglio 12th, 2013 Riccardo Fucile

QUANDO IL TOUR DEI FAN DI SILVIO INIZIA DALL’AZIENDA DI UN CONDANNATO PER ASSOCIAZIONE A DELINQUERE VUOL DIRE PROPRIO ANDARSELE A CERCARE

L’esercito di Silvio, la nuova formazione nata per sostenere il Cavaliere, ha iniziato il tour nazionale dalla Ecoin Srl di Catania, impresa dell’imprenditore Emanuele Caruso, condannato nel 2011 per associazione a delinquere.
Secondo gli inquirenti, Caruso avrebbe partecipato alla spartizione a tavolino di importanti appalti, fatto che lo stesso ha confermato sotto interrogatorio.
“Caruso – spiega il legale Vittorio Lo Presti a Reportime – ha partecipato ad alcune gare dando e ricevendo le buste, facendo cortesie e ricevendo la cortesia di scambiarsi le buste”.
Simone Furlan, fondatore dell’Esercito di Silvio, ai microfoni de La Zanzara, ha lanciato da Catania, in diretta, la richiesta di dimissioni del governo Letta, esaltando invece Caruso che, secondo i legali, sarebbe anche vittima della mafia.
Sorge spontanea una domanda: come si fa ad avere come interlocutore privilegiato un condannato per associazione a delinquere quando si è a capo di una associazione politica?

Antonio Condorelli
(da “il Corriere della Sera”)

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CASO KAZAKISTAN: ORA SPUNTANO SCHIFANI E I SERVIZI SEGRETI… LO SCANDALO DIVENTA INTERNAZIONALE

Luglio 12th, 2013 Riccardo Fucile

DELLA QUESTIONE ORA SI OCCUPA ANCHE LA COMMISSIONE EUROPEA PER I DIRITTI UMANI… DAGOSPIA IPOTIZZA UN ASSE SCHIFANI-ALFANO, IL RUOLO DEL SEN. FALANGA (PDL)

Mentre il caso Ablyazov approda al Parlamento Europeo, in Italia Dagospia attribuisce il ruolo di stratega dell’operazione all’ex presidente del Senato Renato Schifani, oltre che dell’attuale ministro degli Interni Angelino Alfano, chiamando in causa “la componente siculo-palermitana del Pdl, sopravvissuta (non a caso) a tutte le sconfitte elettorali”.
E un’interpellanza parlamentare chiama invece in causa sospette promozioni di funzionari della Questura di Roma all’indomani della vicenda.
Andiamo con ordine.
Come raccontato dal sito Dagospia, dietro l’operazione di rimpatrio di Alma Shalabayeva e della piccola Alua, moglie e figlia del dissidente kazako Ablyazov, potrebbe esserci lo zampino dei servizi segreti italiani, che si sarebbero mossi su indicazione dell’ex presidente del Senato in diretto contatto con il Viminale.
Senza che gli altri ministeri competenti, quello degli Esteri e quello della Giustizia, fossero informati della cosa.
Per questo il termine più indicato per l’intera operazione, non è più quello della semplice espulsione di una clandestina — con tutte le irritualità  del caso, tanto che gli avvocati della donna hanno definito il provvedimento “fortemente illegittimo” — ma quello di una extraordinary rendition.
Una rendition di una donna e di una bambina di sei anni per compiacere Nazarbayev: il dittatore del Kazakistan amico di Berlusconi che ha utilizzato il ritorno in patria della moglie e della figlia del suo acerrimo nemico Ablyazov come un vero e proprio trofeo per ricattare l’avversario.
Dagospia ha raccontato come l’Ufficio Immigrazione della Questura di Roma avrebbe agito sotto indicazioni del servizio segreto interno (Aisi), alla cui direzione è dal giugno dello scorso anno Arturo Esposito, il cui grande sponsor è stato l’ex presidente del Senato, Renato Schifani.
A indicare poi un interessamento nell’operazione di Schifani, sono anche alcune fonti parlamentari che hanno raccontato come, nella vicenda, il senatore del Pdl Ciro Falanga stia “parlando per voce di Schifani”.
Eletto per la prima volta nel 2001 con lista civetta collegata al Polo dal nome “Per l’abolizione dello scorporo e contro i ribaltoni”, Falanga il suo piccolo ribaltone l’ha fatto a fine legislatura (2005) passando con i Repubblicani Europei, tanto da partecipare poi a un vertice sulla legge elettorale con l’Unione di Romano Prodi. Eletto in Senato nel 2013 con il Pdl, Falanga oggi è vicepresidente della Commissione diritti umani. E martedì 9 luglio, sia all’audizione della Commissione con la ong Open Dialogue, sia nella successiva   conferenza stampa convocata dal presidente della commissione Luigi Manconi insieme agli avvocati, Falanga è intervenuto in maniera veemente per difendere l’operato della Questura.
“E’ stato istruito da Schifani”, hanno asserito diversi fonti nei corridoi di palazzo Madama.
Il caso però non potrà  più risolversi tra le mura italiane, eventualmente con il sacrificio del piccolo pesce di turno, perchè è oramai internazionale.
Nicole Kiil-Nielsen, eurodeputata verde eletta in Francia, il 24 giugno ha sollevato la questione nella sottocommissione Diritti umani del Parlamento Europeo con un’interrogazione urgente.
“I ministri italiani devono rispondere ai timori di collusione con il Kazakistan riguardo alla deportazione della moglie e della figlia di 6 anni di un dissidente — dice la nota di Kiil-Nielsen -. Le informazioni che finora abbiamo avuto sono una seria causa di preoccupazione. Il minimo che si possa pensare è che (la questione) riguardi abusi dei diritti fondamentali e del giusto processo che di certo non ci aspettiamo da uno stato membro della Ue come l’Italia”.

Luca Pisapia
(da “il Fatto Quotidiano“)

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NELLA BASE PD E’ RIVOLTA: “LIBERIAMOCI DALL’ABBRACCIO MORTALE DI SILVIO”

Luglio 12th, 2013 Riccardo Fucile

ELETTORI E MILITANTI CHIEDONO UNA SVOLTA …OCCUPY PD: “IL CONGRESSO ULTIMA SPIAGGIA”

“Aderisci al Pd online”: così i democratici inconsapevoli, sulla loro pagina ufficiale di Facebook, scatenano le perfide ironie degli (ex) elettori.
Medaglia d’oro a John Smith, che si chiede: “Ma mettendo questa tesserina nel decoder riceverò anche Mediaset Premium?”.
Seguono altre domande: “È compresa anche la gita ad Arcore?”, “Mi pagate?”, “Non avevate spazio per la L?”, “Ma che, so’ stronzo?”.
Poi qualche affermazione: “Andate a cagare”, “sparatevi”, “Pdl-live, siete fantastici”, “Emilio Fede vi fa una pippa, servi!”. E una proposta: “Facciamo un minuto di silenzio per l’idea geniale”.
Perchè il giorno dopo — davanti al partito “inginocchiato”, che si accoda ai diktat del Cavaliere votando “sì” alla sospensione dei lavori parlamentari — assimilato quello “spettacolo terribile ” (come l’ha definito un giovane deputato ancora disorientato), la domanda che sintetizza gli umori della base è questa: “Cos’è sta puzza di cadavere?”.
I militanti, da ieri, si dividono in due: quelli che si esprimono a insulti e quelli che non riescono neanche più a parlare, che vogliono solo dimenticare.
E basta fare un giro alla festa dell’Unità , a Roma, per notare che chi c’è (e sono pochi) è lì solo per “le salsicce, una birra, un giretto.
Il Pd? Non me lo dovete no-mi-na-re!”.
Alla fase dell’accettazione, invece, non si avvicinano neanche i giovani di “Occupy Pd”, che ieri si sono riuniti per programmare nuove invasioni delle sedi del partito.
E anche se le letture, in giro per l’Italia, sono diverse (per qualcuno il partito è morto martedì, per altri deve sopravvivere almeno fino al congresso), il denominatore comune è la frustrazione.
“Èstato un disastro totale. I nostri dirigenti sono dei pazzi scatenati”, dice Elly Schlein, volto e voce di un movimento che si fa sempre più agguerrito.
Ieri mattina, raccontano gli attivisti, “siamo andati al lavoro tranquilli, perchè i nostri avevano escluso l’ipotesi di seguire il Pdl. Invece nel pomeriggio l’hanno fatto davvero”. Le giustificazioni ufficiali, quelle che richiamano prassi parlamentari e tecnicismi, sono “fastidiose come zanzare”: secondo il torinese Daniele Diotti “c’era da prendere una decisione ovviamente politica, che non osino negarlo. Ormai è evidente che l’agenda del Pd la dettano i processi di Berlusconi, e ci minacciano pure di far cadere il governo: il 30 luglio è diventata la data del-l’Apocalisse anche per noi. Vipare possibile?”.
Il tenore dei ragionamenti è lo stesso, dal Nord alle isole.
Con la convinzione diffusa che abbandonare quel che resta del Pd, e creare un nuovo gruppo, non è un’opzione: “Se pensassimo che la base ragiona come quei porci dei dirigenti ce ne andremmo, ma non è così. Gli elettori sono furiosi e basiti da questa autoreferenzialità ”, dice Elly dalla cadenza romagnola.
E se le anime di Occupy Pd sono “sconvolte, incazzate” e si preparano “all’ultima battaglia ” (quella “per cambiare il partito al prossimo congresso”), gli elettori comuni sembrano sempre più disinteressati.
Al parco Schuster, davanti all’imponente basilica di San Paolo, c’è chi lancia occhiate furenti se solo orecchia il nome di qualche dirigente (“speriamo non si facciano vedere: come Franceschini, che ha colto l’occasione della pioggia per dare buca”).
Un signore, al tramonto, cerca un po’ di pace facendo il saluto al sole, mentre girando tra i chioschi, proprio alla festa dell’Unità , la risposta è sempre la stessa: “Di politica non voglio sentir parlare”.

Beatrice Borromeo
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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