Luglio 5th, 2013 Riccardo Fucile
IL GOVERNO HA PROMESSO 200.000 POSTI DI LAVORO MA SONO CIFRE GONFIATE CHE COMPRENDONO ANCHE I TIROCINI FORMATIVI… DIMENTICATE LE PARTITE IVA, PENALIZZATO CHI STUDIA…E LE STAFFETTE GENERAZIONALI SAREBBERO POCO RISOLUTIVE
Duecentomila posti di lavoro per i giovani, tre miliardi di euro stanziati, due punti percentuali in meno di disoccupazione.
Dall’approvazione del del sull’occupazione fino ai giorni scorsi, il governo Letta ha diffuso una significativa serie di numeri e dati trionfali sui piani del suo esecutivo.
Eppure, nonostante tutte queste cifre, i conti non tornano.
«Ora le imprese non hanno più alibi per non assumere», ha spiegato Enrico Letta presentando le sue misure. Tutto questo dopo una battaglia (di slogan) secondo cui l’unico modo di creare posti di lavoro per i giovani era la “staffetta generazionale” e i contratti di solidarietà per i più anziani: mandarne a casa una parte, convertirli part-time, diminuire loro lo stipendio in modo da fare entrare in azienda qualche ragazzo.
Un clima di “terrore generazionale” poi sfumato nel nulla: staffetta e contratti di solidarietà espansivi sono troppo onerosi per lo Stato.
E allora via al miliardo e mezzo per l’occupazione giovanile, e poi all’altro miliardo e mezzo dell’Unione Europea.
Partiamo dalle cifre.
Il primo miliardo e mezzo di stanziamenti c’è, ma è ripartito nei prossimi cinque anni.
Trecento milioni nel 2013, 100 milioni nel 2014, 150 milioni nel 2015 e così via.
Di questi, 500 milioni sono destinati solo al mezzogiorno.
Gli stanziamenti, poi, non sono tutti diretti all’occupazione, ma anche a tirocini e stage formativi. Ovvero a quegli strumenti con cui i giovani precari vanno avanti da anni in attesa di un lavoro, per poi passare da un contratto precario all’altro.
Proprio sui contratti Letta è intervenuto eliminando i vincoli temporali per il rinnovo imposti dalla Riforma Fornero.
Per il sindacalista Sergio Bellavita (Fiom e Rete 28 aprile) si tratta di «Uno scandalo, cancellano proprio quelle due cose contro il precariato inserite nella riforma Fornero».
Ma torniamo ai numeri. Si è detto 200mila posti di lavoro per i giovani: non è vero.
Centomila potrebbero diventare i nuovi posti di lavoro – dati ben lontani dalla realtà per l’economista Tito Boeri – e i restanti 100mila sarebbero tirocini e percorsi formativi.
Il ministro Giovannini ha parlato di riduzione del 2 per cento dei giovani disoccupati, ma la statistica di riferimento è quella dei giovani fino ai 24 anni, in cui la disoccupazione è conteggiata al 25 per cento, dato ben lontano da quel 41 per cento di disoccupazione giovanile reale, che prende l’arco di vita fino ai 29 anni. In un paese in cui, tra la maturità a 19 anni (nel resto d’Europa avviene un anno prima) e le lauree 3 + 2 l’età naturale per il conseguimento del titolo arriva proprio ai 24 anni. Insomma, non si interviene su chi cerca lavoro ma sui “Neet”, quelli che non cercano lavoro e non studiano.
Passiamo ora lo youth guarantee, il progetto dell’Unione Europea per favorire l’occupazione giovanile.
«Abbiamo triplicato i fondi europei per l’occupazione giovanile, portiamo a casa un miliardo a mezzo», ha insistito il premier.
Ma anche qui i fondi, fino a pochi giorni prima, dovevano essere un miliardo e 80 milioni, diventati poi un miliardo e 580 milioni.
Non si capisce a quale matematica si affidi questo governo parlando di cifra triplicata. –
Sugli 8 miliardi di copertura europea, inoltre, per il biennio 2014/2015 solo sei sono anticipabili, per cui è improbabile che si recuperi interamente il miliardo e mezzo italiano.
LA STAFFETTA GENERAZIONALE
Le misure del governo Letta sul lavoro sono figlie di un percorso che parte sul piede di guerra generazionale.
Fino a pochi giorni fa l’idea per creare nuovi posti era quella della staffetta generazionale: far fuoriuscire dalle aziende i dipendenti anziani, convertendoli part-time o mandandoli in pensione, per inserire giovani dipendenti.
Ma sono bastati pochi giorni per capire che un’impresa del genere non è realizzabile perchè troppo onerosa: lo Stato dovrebbe infatti pagare comunque i contributi pieni a queste persone. Che, inoltre, dovrebbero accettare su base volontaria.
Dopo che la proposta sembrava archiviata oggi il governo ci riprova: chi vuole andare in pensione dopo i 62 (con 35 di contributi) potrebbe farlo perdendo l’8 per cento della pensione. Per Fabio Mangiafico, funzionario Fiom di Milano: «La staffetta generazionale non è una soluzione miracolistica, sono diffidente. Un conto è applicarla nella grande industria tedesca, un altro pensare alla piccola e media impresa italiana».
Aggiunge: «E poi non si discute mai di quanto mette l’impresa, ma sempre dei lavoratori». Per Sergio Bellavita: «La “staffetta” fa ricadere il peso dei nuovi posti di lavoro sulle spalle dei lavoratori».
IL BONUS ASSUNZIONI
Le misure del dl sull’occupazione comprendono il famigerato bonus per le nuove assunzioni: un contributo di 650 euro (pari al 33 per cento del salario) per l’impresa che assume un giovane fra i 18 e 29 anni a tempo indeterminato. Il bonus dura 18 mesi per i nuovi assunti e 12 mesi per i contratti a termine trasformati in tempo indeterminato.
Sono tre le condizioni da rispettare: essere stati disoccupati per almeno sei mesi, avere familiari a carico, non aver studiato oltre la licenza media.
Una errata interpretazione dell’Ansa nel fine settimana ha creato l’equivoco: critiche pesanti sono piovute da più parti sul provvedimento perchè colpevole di incentivare i giovani ad abbandonare gli studi. In realtà , specificano dalla Presidenza del consiglio: “Le misure non si escludono a vicenda, è necessaria solo una delle tre condizioni per accedere al bonus”.
PRECARI
Eppure il messaggio è passato: chi studia sbaglia.
Chi ha oltre i 29 anni ed è senza lavoro può arrangiarsi. Chi di mese in mese salta da un lavoretto all’altro è da considerarsi occupato.
Neanche un accenno alle Partite Iva, che crescono in maniera esponenziale, con 550mila nuove aperture solo nel 2012.
Dall’altro canto si riducono i termini temporali tra un’assunzione (precaria) e la successiva.
La vituperata Riforma Fornero, infatti, aveva istituito il limite di 60 giorni per riassumere una persona il cui rapporto di lavoro iniziale avesse durata inferiore a 6 mesi, e 90 giorni se il rapporto superava i sei mesi.
Ora Letta e Giovannini riportano questi limiti a 10 e 20 giorni. Dice Bellavita: «Scandaloso, cancellano quelle due cose contro il precariato inserite nella riforma Fornero».
Aggiunge Mangiafico: «Rivedono quelle due garanzie per i contratti a termine, complimenti. Tolgono il maquillage dei precari dalla riforma Fornero».
CONTRATTI DI SOLIDARIETA
“Sono la strada maestra”, ha affermato nelle scorse settimane il ministro Giovannini.
Cesare Damiano, dal suo canto, ha ricordato come il modello “espansivo” dei contratti di solidarietà possa funzionare per realizzare la staffetta: i dipendenti vecchi prendono meno in busta paga e col surplus si assumono giovani.
Ma in realtà , in questa maniera, in Italia i contratti di solidarietà non sono mai stati utilizzati: «I contratti di solidarietà espansivi sono quelli che potrebbero venire utilizzati per la staffetta generazionale, a differenza di quelli difensivi.
La normativa è del 1984 ma non è una situazione diffusa», spiega Michela Spera, dell’ufficio tecnico della Cgil.
Il modello utilizzato ad oggi corrisponde a quello difensivo, in cui si tagliano gli stipendi per evitare gli esuberi, che di solito vengono annunciati in precedenza: è questo il caso dell’ospedale San Raffaele di Milano e del call center Almaviva.
Ma perchè, mentre ieri i sindacati si battevano per applicare la solidarietà , sono oggi governo e imprese a chiederla?
«Cosa è cambiato? Che ci si fa meno problemi a ricorrere ai contratti di solidarietà perchè sono finiti i soldi per la cassa integrazione. Ma stiamo sempre pensando al breve periodo… », spiega Federico Bellono, funzionario Fiom di Torino.
Nel frattempo l’Istat ci ricorda che a maggio il tasso di disoccupazione è salito al 12,2 per cento, 0.2 punti percentuali in più rispetto ad aprile e 1.8 rispetto allo stesso mese del 2012.
E’ il nuovo massimo storico.
Michele Azzu
(da “l’Espresso”)
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Luglio 5th, 2013 Riccardo Fucile
VOTO DI SCAMBIO TRA POLITICA E MAFIA, L’ALTOLA’ DEL PDL
Il famoso 416-ter del codice penale. I berlusconiani, già nella scorsa legislatura, ne
bloccarono una nuova stesura per renderlo utile e contestabile.
Si apprestano a fare altrettanto anche in questa.
Il Pdl tenta di svuotare la riforma, di annacquarla, propone un testo che è addirittura un passo indietro rispetto alla norma del 1992, firmata da Scotti e Martelli, e uscita dalla penna di Falcone.
Gli avvocati berlusconiani non vogliono neppure sentir parlare di «promessa» di voti, che pure è l’attuale versione del codice, pretendono che si parli di «accordi». Impongono che, laddove si parla di «erogazione di denaro o altra utilità », questa sia «indebita» e comunque «economicamente valutabile ».
Chiedono un «procacciamento dimostrato» dei voti. Insomma, vogliono che i magistrati contestino il delitto di voto di scambio politico-mafioso solo se hanno la prova certa, quasi una fotografia, del passaggio di voti.
Il che è impossibile salvo mettere una telecamera nelle cabine.
Letta e Cancellieri, premier e Guardasigilli, hanno promesso un testo efficace.
Grasso, il presidente del Senato, ne ha presentato uno. Zanda, capogruppo al Senato, lo ha garantito. Ferranti, al vertice della commissione Giustizia della Camera, ha certificato il varo della nuova versione entro l’estate. Invece non sta andando così.
La riscrittura del reato, che il Pdl non ha voluto introdurre nella legge anti-corruzione, tarderà ancora.
Ecco che ieri in Transatlantico – giusto mentre Pd, Pdl e Scelta civica votavano assieme il ddl sulle carceri, arresti domiciliari fino a sei anni e messa in prova, contro Lega, M5S e Fratelli d’Italia, riuniti in un’opposizione sfrenata – si poteva assistere alle trattative che i due ralatori, sul voto di scambio, Davide Mattiello del Pd e il montiano Stefano Dambruoso, cercavano di intessere, testo alla mano, con i berlusconiani.
Martedì, in commissione, scadono gli emendamenti, ma le distanze sui testi sono tali da far saltare il voto e pure il dibattito in aula calendarizzato dal 15 luglio.
Prima di spiegare in cosa consiste la frenata del Pdl, bisogna citare la battuta, non smentita, che Fabrizio Cicchitto ha fatto durante la riunione del gruppo Pld a Montecitorio di mercoledì: «C’è un emendamento sulla mafiosità delle promesse di voto in campagna elettorale. Se passa, ci arresteranno tutti, da Roma in giù».
Di che si tratta?
L’attuale 416-ter dice così: «La pena del 416-bis si applica anche a chi ottiene la promessa di voti in cambio dell’erogazione di denaro».
Il testo su cui adesso trattano i relatori Dambruoso e Mattiello è questo: «Chiunque si accordi per il procacciamento di voti, in cambio della promessa o dell’erogazione di denaro o di altra utilità economicamente valutabile, è punita con la reclusione da 4 a 10 anni».
Niente da fare. Il Pdl fa muro.
Il capogruppo Enrico Costadice che non va bene. Dice no il presidente della commissione Affari costituzionali Francesco Paolo Sisto.
Tutti dicono che «l’ultima parola spetta ad Angelino ». Inteso Alfano.
Vogliono che quel «si accordi» venga espunto e sostituito con un ben più blando «accetti».
Non gli è bastato aver già fatto cambiare il testo, eliminando la prima versione «chiunque chiede o accetta la promessa di procacciamento di voti».
La tesi è chiara ed è tombale per il reato che non ha mai funzionato ed è sempre stato contestato dai magistrati, perchè comporta la prova provata della richiesta di voti, del voto effettivo, del denaro corrisposto in cambio.
Ma, dove la mafia detta legge, i rapporti tra un politico o aspirante tale e un capomafia o picciotto che sia, non vanno così.
La scenetta tipo è la seguente. S’incontrano un candidato sindaco e il mafioso. Il primo dice «certo che mi potresti dare una mano».
Il mafioso risponde «non ti preoccupare, ci pensiamo noi».
Il sindaco replica «se tutto va bene vedrai che ce ne sarà per tutti».
Dice il Pd: quell’aspirante sindaco sa di aver di fronte un mafioso,chiede voti, quindi commette un delitto e va perseguito.
Il Pdl, all’opposto, sostiene che non è affatto detto che il sindaco abbia la certezza di avere di fronte un mafioso, che si limita lecitamente a chiedere voti, la sua è solo una promessa di qualcosa in cambio di voti che non c’è la prova che siano stati dati, quindi non c’è il reato.
Ricostruzione diabolica e distruttiva.
Un modo per non incriminare nessuno e mettere nel nulla la riforma.
Per questo, in queste ore, lavora il Pdl.
La strategia è prendere tempo. Proprio come per le deleghe nel caso dei vice ministri. Alfano, all’Interno, si tiene ben stretta quella per la Pubblica sicurezza, che contiene il controllo della commissione per pentiti di mafia e testimoni, e non la dà al vice Filippo Bubbico.
Ugualmente, al Senato, il Pdl è guardingo sulla legge che istituisce la commissione Antimafia.
Il testo è passato ieri in commissione, non c’è un rafforzato richiamo, che in verità non è stato messo neppure alla Camera, sulle stragi politicomafiose.
E non è detto che il ddldiventi legge entro agosto.
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
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Luglio 5th, 2013 Riccardo Fucile
AVVERTIMENTO DI FRANCESCHINI: “ANDANDO AVANTI COSàŒ IL RISCHIO C’È”… IL RENZIANO RICHETTI: “SE MATTEO NON SI CANDIDA, IL PARTITO SI SFASCIA”
Che stiano ostacolando Matteo Renzi in tutti i modi è un fatto.
E se alla fine lui non si candiderà al congresso, il rischio che molti non si riconoscano più nel Partito Democratico è un fatto altrettanto concreto”.
Matteo Richetti, renziano della prima ora, la vede così.
E allora, la parola “scissione” lanciata nel dibattito organizzato ieri dai bersaniani da Dario Franceschini (che arriva per ultimo) prende forma e sostanza.
“In questi mesi siamo passati a riconoscerci non più come exMargherita ed ex Ds. Ma addirittura come comunisti e democristiani. Attenzione: è pericoloso”.
Poi “il monito”. O forse la minaccia. Un modo per dire a Bersani che così non va. “Non possiamo metterci in un clima di lacerazioni. Dobbiamo difendere il mescolamento che è l’antidoto a quel rischio che c’è, se non vogliamo essere ipocriti”.
Lui sarebbe tra i primi indiziati a veleggiare verso il centro con l’ex Rottamatore.
Al Nazareno quella di ieri sembra una direzione, con l’espulsione conclamata di una parte del partito, quella che fa capo a Renzi.
Pier Luigi Bersani chiama a raccolta le correnti per “Fare il Pd” (“Ma negli anni da segretario, che ha fatto?”, ironizza Lino Paganelli, anche lui renziano).
I “suoi” uomini ci sono tutti. Al banco della presidenza Alfredo D’Attorre, Maurizio Martina e Stefano Fassina.
In prima fila c’è il segretario, Guglielmo Epifani. E tra il pubblico i ministri Zanonato e la Carrozza.
Certo, l’idea del ricongiungimento con Massimo D’Alema non funziona.
Lui se ne sta defilato. Non interviene, resiste un’ora, poi se ne va. Bersani neanche lo sente. D’altra parte ha riunito la sua corrente l’altroieri sera per blindare Cuperlo (ma alcuni hanno obiettato che è troppo di sinistra).
Bersani punta su un altro nome: Roberto Speranza o lo stesso Epifani.
“Maurizio Martina: prima dalemiano, poi veltroniano, poi fassiniano, poi bersaniano, ora fassiniano, nel senso di Fassina”: la descrizione — polemica — che ben racconta il clima è di Gianni Cuperlo.
Che sta in un angolo, riflette se intervenire o meno, e alla fine lo fa: “Il congresso non passi da un accordo tra capi corrente che hanno già condizionato la nostra vita e anche qualche risultato”. Come dire: il candidato doc sono io.
Renzi e i suoi non si fanno vedere (a parte uno sventurato, Giacomo D’Arrigo, che ci capita per caso). Veltroni neanche. I Giovani turchi disertano. Passa il ministro Andrea Orlando.
“Mah, se avessero presentato una candidatura quest’incontro avrebbe avuto un senso. Così…”. Enrico Letta manda in rappresentanza Marco Meloni. Più che altro cortesia.
Resiste l’amicizia del premier con Bersani? “Sì, ma a patto che la pressione anti — Renzi non diventi eccessiva”.
Letta è un altro che in caso di scissione non potrebbe che pendere verso il centro.
In prima fila sono seduti Beppe Fioroni e Franco Marini. Ma l’iniziativa prende una piega imprevista da subito.
Alfredo Reichlin, il padre nobile, attacca: “Non sono qui per aggregarmi a un correntone contro Renzi. Non credo che la sinistra esista in natura, tanto meno il Pd. Facciamo solo chiacchiere su regole e nomi e non abbiamo ancora definito il tema del congresso, che dovrebbe essere dove va l’Italia. Se non risolviamo questa questione, un pezzo andrà a destra e uno a sinistra”.
Marini concorda: “Il rischio c’è”.
Bersani, rivitalizzato dalla battaglia interna, dice ancora una volta che non si può parlare di “partito protesi”.
Nel suo perfetto stile, Renzi appare in serata al Tg 5. “Se mi voglio candidare non devo certo chiedere il permesso a D’Alema”.
I suoi lo descrivono come stanco e sfibrato da questa ennesima guerra sulle regole.
La scissione? “In termini di appartenenze antiche di Dc ed ex Pci è una cosa che non ci appartiene”, dicono dal suo staff.
Ma il punto è un altro: se Renzi non si candida, (forse) finisce il Pd.
Tanto per parafrasare il D’Alema di qualche mese fa.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 5th, 2013 Riccardo Fucile
E’ QUESTA LA CIFRA PAGATA AL GURU AMERICANO CHE GLI HA CURATO LA CAMPAGNA ELETTORALE… LO HA CONSIGLIATO DI ESSERE PIU’ AGGRESSIVO FACENDOGLI CROLLARE I CONSENSI
David Axelrod, il guru americano della comunicazione ingaggiato da Mario Monti per
aiutarlo in campagna elettorale, è costato molto caro al professore: ben 450mila euro.
Una cifra astronomica – che ancora grava sulle casse di Scelta Civica – soprattutto se paragonata ai risultati ottenuti.
Data inizialmente sopra il 20, alla fine ha raccolto un ben più modesto 10 per cento.
Raccontano poi che Axelrod a Roma si sia visto solo un paio di volte e che fosse un pool di giovanotti arrivati freschi dagli States a suggerire le mosse della breve campagna.
Spronando l’ex premier ad essere “more tough” (più duro) verso gli avversari, ed in particolare con il Cavaliere.
La stessa ricetta consigliata a Obama nelle ultime presidenziali, dove riuscì a recuperare su Romney screditandone l’immagine.
Un’aggressività che nel caso di Monti non ha pagato. Anzi, molti ritengono che proprio i toni accesi del professore abbiano disorientato l’elettorato.
Sempre da Oltreoceano gli arrivò il suggerimento di mostrare il “volto umano”, portandolo a comparsate tv come quella da Daria Bignardi dove adottò il cucciolo Empy.
Anche i suoi collaboratori ritengono che senza il guru, oltre a risparmiare, il risultato avrebbe potuto essere diverso.
Ed ora che il professore è tornato a fare la voce grossa nel governo qualcuno teme che dietro la scelta ci sia ancora il retaggio del mago Usa
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Luglio 5th, 2013 Riccardo Fucile
GOVERNO E CAMERE RINVIANO TUTTO: IVA, CASA, TARES, TICKET E F-35
L’attesa è occupazione cara tanto agli uomini d’ozio che a quelli di negozio.
Tra questi ultimi,di cui qui ci si occupa, un posto a parte merita Giulio Andreotti, che ha codificato in un memorabile aforisma l’operosa immobilità di certi monocolori democristiani: “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”.
Non è affatto sorprendente, dunque, che un esecutivo di gente nata a quella scuola come Enrico Letta e Angelino Alfano rinnovi l’augusto esempio dei padri: tra un rinvio a ferragosto, uno a ottobre e uno a dicembre questo, più che di larghe intese, è diventato un governo di larghe attese.
La politica, però,vive anche di paradossi e tale è il fatto che la vita di questo governo di temporeggiatori sia funestata da una serie di mine lasciate nel terreno dal decisionista Mario Monti, assai bravo ad annunciare provvedimenti che ora si scoprono incostituzionali quando non inattuati.
Una breve panoramica.
RINVII
Il primo, ovvio, è il più famoso: l’abolizione dell’Imu sulla prima casa, sui terreni agricoli e (forse) sui capannoni.
Per ora non si paga fino a settembre, entro ferragosto è atteso il provvedimento che la cancella in tutto o in parte. O forse no?
Ieri, infatti, il buon Letta s’è accorto che trovare le coperture “è difficile”.
Si tratta, tutto compreso, di parecchi miliardi a cui il Fondo monetario internazionale ieri ci ha invitato a non rinunciare anche “per motivi di equità ed efficienza: una tassa sugli immobili, prime case comprese, esiste dovunque”.
Saccomanni ha concesso: “Ne terremo conto”. Provocando le ire del Pdl, con la Santanchè a minacciare “Se il ministro ascolta il Fmi allora si trovi un’altra maggioranza”.
Il secondo rinvio, famoso anch’esso, è quello dell’Iva: l’aumento di un punto dell’aliquota base è stato spostato all’autunno, ma come trovare i soldi per renderlo definitivo ancora non si sa.
Anche la Tares — la nuova, pesante tassa unica sui servizi comunali — è stata rimandata: al momento la mazzata dovrebbe arrivare a dicembre, ma non si sa in che forma (il ministro Saccomanni promette una riforma delle tasse locali).
Pure la Cassa integrazione in deroga, anche se non sembra, è stata rinviata: col miliardo stanziato da Letta si arriva in autunno e lì dovrebbe essere pronta la solita riforma degli ammortizzatori sociali.
Sui precari della P.A., invece, è arrivato il vero capolavoro del governo: i contratti — decine di migliaia — scadevano a inizio luglio e il governo ha consentito alle amministrazioni interessate di rinnovarli.
Peccato che non abbia indicato con quali soldi: si vedrà nella legge di stabilità di ottobre.
Stesso discorso che riguarda i ticket sanitari (due miliardi il gettito previsto) che dovrebbero scattare nel 2014: sappiamo già come toglierli, ha sostenuto ancora ieri il ministro Lorenzin. E come? “Non coi tagli lineari”. Ma come? Il Tesoro ci farà sapere.
Non di soli rinvii governativi vivono le Larghe Attese, anche il Parlamento ha voluto fare la sua parte: dell’acquisto degli F-35 se ne parla tra sei mesi, intanto un’apposita commissione ci pensa un po’.
Della legge elettorale neanche a parlarne: si farà insieme alle riforme costituzionali, ma nel senso che si farà dopo.
SCORIE DEL PASSATO
A turbare le attese del povero Letta, però, ci pensa la polvere spinta sotto al tappeto dal governo Monti.
Ci sono i suicidi costituzionali tipo l’abolizione delle province bocciata dalla Consulta come il contributo di solidarietà imposto a stipendi pubblici e pensioni sopra i 90 mila euro.
Ci sono le spese non finanziate come le missioni militari all’estero a partire da settembre o la tutela degli esodati dimenticati da Elsa Fornero .
Poi c’è quella mina neanche tanto nascosta che si chiama vendita del patrimonio pubblico attraverso la Sgr creata da Monti: dovrebbe portare in cassa 15-20 miliardi l’anno da usare per ridurre il debito pubblico, ma per ora ha prodotto zero e le prospettive future non sono certo rosee.
E ancora c’è la spending review, che in realtà s’è rivelata la solita manovra di tagli lineari e ora Letta pensa di riesumare con lo stesso conducator, l’ex ministro Piero Giarda.
L’ultima larga attesa che vogliamo citare riguarda un provvedimento, per così dire, simbolico: l’asta per le frequenze tv che doveva portare un paio di miliardi alle casse dello Stato.
Il bando è in via di definizione, come l’anno scorso.
Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 5th, 2013 Riccardo Fucile
DA ORZO BIMBO A FIORUCCI, DA SPUMANTI A CHIANTI…I GRANDI GRUPPI MULTINAZIONALI LASCIANO CHIMICA E MECCANICA E INVESTONO NELL’AGROALIMENTARE
L’Italia è il primo esportatore mondiale in quantità di vino, pasta, kiwi, pesche, mele e pere
ma anche il principale produttori di pasta e ortofrutta.
Senza contare il record di longevità grazie alla dieta mediterranea, il top di presenze per il turismo enogastronomico e quello ambientale con 871 parchi ed aree protette che coprono il 10 per cento del territorio.
«In una fase di cancellazione delle distintività territoriali, la nostra agricoltura ha prosperato proprio saldandosi al capitale territoriale e inglobandone il valore aggiunto» ha affermato il presidente della Coldiretti Sergio Marini nel sottolineare che «gli assets su cui il nostro Paese può e deve puntare, sono di natura materiale e immateriale: patrimonio storico ed artistico, paesaggio, biodiversità , ricchissima articolazione territoriale, originalità e creatività , gusto e passione, intuito e buonsenso».
I GRUPPI
«I grandi gruppi multinazionali che fuggono dall’Italia della chimica e della meccanica investono invece nell’agroalimentare nazionale perchè, nonostante il crollo storico dei consumi interni, fa segnare il record nelle esportazioni grazie all’immagine conquistata con i primati nella sicurezza, nella tipicità e nella qualità » ha affermato il presidente della Coldiretti.
«Il passaggio di proprietà – ha denunciato Marini – ha spesso significato svuotamento finanziario delle società acquisite, delocalizzazione della produzione, chiusura di stabilimenti e perdita di occupazione. Si è iniziato con l’importare materie prime dall’estero per produrre prodotti tricolori. Poi si è passati ad acquisire direttamente marchi storici e il prossimo passo è la chiusura degli stabilimenti italiani per trasferirli all’estero.
IL PROCESSO
“Un processo – conclude il presidente di Coldiretti – di fronte al quale occorre accelerare nella costruzione di una filiera agricola tutta italiana che veda direttamente protagonisti gli agricoltori per garantire quel legame con il territorio che ha consentito ai grandi marchi di raggiungere traguardi prestigiosi».
(da “il Corriere della Sera”)
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