Luglio 25th, 2013 Riccardo Fucile
SI DELINEA L’APPOGGIO DEI POTERI FORTI ALLA CANDIDATURA DI RENZI, IL PRESUNTO LEADER DELLA SINISTRA DEL FUTURO
Il titolo del convegno è ambizioso: “Il rilancio parte da sinistra”.
A organizzarlo è l’associazione no profit Eunomia guidata dall’ex vicesindaco di Firenze e oggi deputato Pd, Dario Nardella che il 30 luglio riunirà all’Istituto Luigi Sturzo di Roma anche alcuni punti di riferimento dell’enclave di Matteo Renzi.
Dalla segretaria generale dell’istituto, Flavia Piccoli Nardelli, all’ex Mc Kinsey e oggi deputato Pd Yoram Gutgeld, considerato il guru economico del sindaco di Firenze.
Gli ospiti sono stati selezionati dal responsabile delle relazioni esterne dell’associazione Eunomia, Marco Carrai, più volte definito il Gianni Letta renziano.
Costruttore cattolico, ciellino (suo cugino Paolo è l’ex presidente della Compagnia delle opere in Toscana), esperto di fund rasing (la famosa cena milanese con Davide Serra fu una sua idea), si devono a lui i rapporti del sindaco con certi ambienti Usa perchè Carrai è ottimo amico di Micheal Ledeen, intellettuale conservatore membro della Foundation for Defense of Democracies di Washington.
Quando Renzi pranza con Tony Blair al luxury hotel St Regis di Londra, a tavola c’è anche «Marchino».
Carrai è consigliere d’amministrazione del Gabinetto Vieusseux, consigliere dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze e di recente anche presidente di Aeroporto di Firenze.
Ma soprattutto è stato nominato qualche anno fa amministratore delegato della Firenze Parcheggi in quota al Monte mussariano.
E proprio da Siena il 30 luglio arriverà uno degli ospiti più attesi del convegno renziano: il presidente del Monte dei Paschi, Alessandro Profumo.
Che sia un endorsement al sindaco di Firenze in vista di una possibile exit strategy politica se la partita sul rilancio di Mps finisse male? Chissà .
Di certo Profumo non era passato inosservato quando lo scorso 13 giugno era arrivato a Firenze per partecipare all’assemblea della Confindustria fiorentina in auto insieme all’amministratore delegato di Fiat Sergio Marchionne per poi sedersi in platea a due passi dal sindaco.
Non solo. “Matteo Renzi mi piace ma non l’ho finanziato”, ha detto mercoledì sera il presidente del Monte dei Paschi a Nicola Porro che lo intervistava sulla Rai durante la trasmissione Virus. Un ricognizione sul Profumo banchiere con frequenti riferimenti alla politica.
L’ex numero uno di Unicredit che nell’ottobre 2007 era stato fotografato mentre andava a votare per le primarie del PD a Milano insieme alla moglie Sabina Ratti, candidata nella lista di Rosy Bindi nata a Sinalunga, due passi da Siena.
Quattro anni dopo, ottobre 2011, Profumo è seduto accanto alla stessa Bindi, ospite della convention dei “Democratici davvero”, quando annuncia la sua “assoluta disponibilità ” ad impegnarsi in politica.
Alla fine, chi avrebbe voluto farlo diventare il “papa nero” per la guida del partito si è dovuto accontentare di vederlo al timone del Montepaschi.
Salvatore di una banca uscita a pezzi dalla gestione passata e oggi appesa al paracadute statale dei Monti bond.
Con la corrente bindiana in declino, Profumo ora potrebbe aver deciso di sposare quella renziana.
Mercoledì sera a Nicola Porro che lo intervistava alla trasmissione Virus in Rai, Profumo ha confessato di avere votato Pd alle ultime elezioni e che “Matteo Renzi mi piace, anche se non l’ho finanziato”.
In un’altra intervista, rilasciata anni fa al Mattino di Napoli il banchiere aveva detto la sua sui modelli politici: bipolarista convinto, considera quello americano il modello più solido, da imitare.
“Reagan e la Thatcher non sono la mia passione, non mi riconosco nella loro politica, però ne colgo i grandi meriti. I miei modelli sono altri: penso a Bill Clinton e a Tony Blair”.
E oggi chi è il suo modello di leader politico?, aveva incalzato il giornalista.
“Angela Merkel. Ha il mix giusto di passione e competenza, di pragmatismo e utopia del cambiamento”.
Angela, la nuova ”amica” di Renzi.
Camilla Conti
(da “L’Huffington post“)
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Luglio 25th, 2013 Riccardo Fucile
SULLA FIDUCIA NEI LEADER POLITICI PD ALLA VIGILIA DEL CONGRESSO, IL ROTTAMATORE FINISCE ROTTAMATO DAL GOVERNATORE DEL LAZIO.. E PIACE PIU’ CASALEGGIO DI GRILLO
Nella grande rincorsa dei sondaggi sulla fiducia ai leader politici c’è una sorpresa tutta
romana.
Se ci togli l’outsider e inafferrabile Giorgio Napolitano, che guida la classifica della fiducia politica in Italia con il 78 per cento.
E se non fai caso al premier Enrico Letta che a cavallo della maggioranza a due teste Pd-Pdl tiene il 50 per cento, godendo della fiducia di un italiano su due, ecco che l’Istituto Piepoli, nell’ultima rilevazione, colloca il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, avanti sul sindaco-rottamatore di Firenze che sarebbe attestato al 39 per cento.
Un sorpasso che, alla vigilia del congresso del partito, sposa ancora un po’ l’asticella dei pesi massimi sulla capitale.
Dove, attorno a Zingaretti, si muovono nomi che erano rimasti un po’ defilati, a partire da Goffredo Bettini, vero king maker dell’elezione a sindaco di Roma di Ignazio Marino.
«Per quanto riguarda lo schieramento di Centrosinistra — ha spiegato all’Ansa il vicepresidente dell’Istituto Piepoli Roberto Baldassarre – al primo posto troviamo Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio, a quota 40% che sembra risentire positivamente delle azioni operate sul territorio, seguito a stretto giro dal sindaco di Firenze Matteo Renzi a quota 39% che in parte paga le diatribe a livello nazionale legate ai movimenti interni del Partito Democratico come anche Guglielmo Epifani, segretario del PD (in terza posizione 32 per cento), seguito da Vasco Errani, presidente della Regione Emilia Romagna e bersaniano, a quota 31 per cento e da Nichi Vendola a quota 26 per cento che sembra riuscire a far fruttare al meglio il suo bacino di riferimento della Regione Puglia e del Sel anche a livello nazionale».
Fra le curiosità della rilevazione di Piepoli anche il sorpasso di Gianroberto Casaleggio (18 per cento) su Beppe Grillo, fermo al 16 per cento.
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Luglio 25th, 2013 Riccardo Fucile
IL DECRETO ANTIDEFICIT NE PREVEDEVA LA RIMOZIONE… MA E’ STATO DICHIARATO “INCOSTITUZIONALE”
«Stretta per i governatori con le mani bucate», titolava l’Ansa il 26 luglio del 2011.
Per il quarto governo di Silvio Berlusconi erano gli ultimi mesi di vita.
Mentre la lettera della Banca centrale europea che chiedeva all’Italia un altro pesante giro di vite stava per partire da Francoforte, la commissione bicamerale sul federalismo preparava una sorprendente quanto inedita ghigliottina politica per chi avesse male amministrato le Regioni.
Un decreto legislativo, frutto di un accordo fra i relatori Enrico La Loggia (Pdl) e Antonio Misiani (Pd) che prevedeva lo scioglimento immediato del consiglio regionale e la rimozione contestuale del governatore in caso di grave dissesto finanziario della sanità .
Un dissesto nel quale, naturalmente, la Corte dei conti avesse accertato la responsabilità gestionale del presidente della giunta regionale.
E la rimozione non avrebbe rappresentato che una parte della sanzione politica a carico del governatore. Forse addirittura la meno pesante.
Perchè il politico rimosso non avrebbe potuto candidarsi per dieci anni alla Regione, alla Provincia e al Comune, nè tantomeno al Parlamento nazionale o europeo.
Ma neppure aspirare, per un periodo così lungo, a un qualunque posticino di sottogoverno.
Tutto questo valeva fino al 16 luglio scorso, quando la Consulta l’ha dichiarato costituzionalmente illegittimo.
La sentenza, chilometrica, è stata pubblicata tre giorni dopo. L’ha originata un ricorso presentato da tutte le Regioni a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta e Trentino Alto-Adige), dalle Province autonome di Trento e Bolzano nonchè dalle Regioni Calabria, Lazio, Umbria, Emilia Romagna e Campania. Obiettivo, demolire tanto quel decreto legislativo come pure la legge voluta dal governo di Mario Monti, uno degli ultimi provvedimenti approvati nella scorsa legislatura, anche per arginare scandali come quello dei fondi del consiglio regionale del Lazio
Il successo dell’offensiva, condotta al pari di quella che alla Consulta pochi giorni prima aveva salvato le Province anche da alcuni avvocati chiamati a far parte del comitato di saggi incaricato dal Parlamento di studiare le riforme costituzionali, non è stato certo schiacciante.
Ma i segni sono stati comunque profondi, compresa una limatura ai poteri della Corte dei conti, che erano stati rafforzati sul finire del 2012 dal provvedimento del governo Monti.
Oltre alla sanzione politica prevista per il governatore la Corte costituzionale ha fatto ad esempio saltare l’interdizione decennale da qualsiasi incarico in enti vigilati o partecipati da enti pubblici a carico dei direttori generali, dei direttori amministrativi e sanitari del servizio sanitario regionale, del dirigente dell’assessorato competente nonchè dei revisori dei conti coinvolti nel dissesto finanziario della sanità .
Per i revisori era prevista anche la comunicazione, da parte della Corte dei conti, all’ordine professionale di appartenenza.
Allo stesso modo è saltata la «relazione di fine legislatura regionale».
Ovvero, una specie di due diligence della situazione finanziaria della Regione, che il presidente uscente era tenuto a sottoporre all’esame di un «tavolo tecnico interistituzionale», organismo composto pariteticamente da esponenti ministeriali e regionali.
La relazione avrebbe dovuto chiarire le eventuali carenze nella gestione, denunciando le spese incompatibili con i vincoli di bilancio e rendendo pubblici i rilievi della Corte dei conti. Gli stessi magistrati contabili avrebbero poi dovuto esprimere una valutazione sulla due diligence, che sarebbe stata resa nota con la pubblicazione sul sito della Regione.
Bollata di incostituzionalità come la norma che consentiva alla Ragioneria di attivare «verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile» anche nei confronti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, nel caso di evidenti «situazioni di squilibrio finanziario», quali il «ripetuto utilizzo dell’anticipazione di tesoreria».
Oppure anomalie «nella gestione dei servizi». O anche «l’aumento non giustificato delle spese in favore dei gruppi consiliari e degli organi istituzionali»: una previsione introdotta dal provvedimento anti Batman.
Dulcis in fundo, la Consulta ha cancellato le sanzioni a carico delle Regioni autonome e delle Province di Trento e Bolzano per il mancato rispetto del patto di Stabilità interno.
Cose come il divieto di assumere o di indebitarsi per investire, ma anche l’obbligo di tagliare almeno del 30 per cento le indennità del governatore e degli assessori.
Il decreto antideficit ne prevedeva la rimozione.
«Incostituzionale»
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
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Luglio 25th, 2013 Riccardo Fucile
LA PROPOSTA DI FASSINA MENTRE CONFCOMMERCIO DENUNCIA: PRESSIONE FISCALE AL 54%, IL TOP IN EUROPA….ECONOMIA SOMMERSA DI 272 MILIARDI
Il peso dell’evasione e del sommerso economico zavorra il Paese a livelli record, come non
succede in nessun altra economia avanzata.
Secondo l’Ufficio studi della Confcommercio, il sommerso economico in Italia è infatti al 17,4% del Prodotto interno lordo (Pil) nel 2012-2013: sottrae al Fisco ogni anno un imponibile da 272 miliardi.
Una diretta conseguenza di questa situazione è che la pressione fiscale si scarica su una fetta minore della popolazione.
Ma per il viceministro dell’Economia, Stefano Fassina, “esiste un’evasione di sopravvivenza. Senza voler strizzare l’occhio a nessuno – dice al convegno Confcommercio – senza ambiguità nel contrastare l’evasione ci sono ragioni profonde e strutturali che spingono molti soggetti a comportamenti di cui farebbero volentieri a meno”.
Una priorità di Fassina resta “fermare l’aumento dell’Iva” e contemporaneament erivedere l’Imu.
La proposta è fatta: “Lasciando l’Imu sulla prima casa sugli immobili “di maggior valore”, pari al “15%” del totale, si possono recupere “2 miliardi per scongiurare l’aumento dell’iva”.
Quindi, si potrebbe eliminare l’Imu prima casa per “l’85% delle famiglie” e destinare le risorse derivanti dal restante 15%, o per lo stop al rialzo Iva o “in interventi fiscali sui redditi più bassi, a sostegno dei consumi, o a sostegno della cassa integrazione in deroga”.
Tornando allo studio Confcommercio sulla situazione fiscale, il sommerso in Italia risulta dunque più elevato che nella maggior parte delle economie avanzate: in Messico vale l’11,9% del Pil, in Spagna il 9,5%, nel Regno Unito il 6,7%, negli Stati Uniti il 5,3%, in Svezia e in Austria il 4,7%, in Francia il 3,9%, in Irlanda il 3,3%, il Belgio il 2,7%, in Canada il 2,2% e in Danimarca l’1,9%. In Australia, Olanda e Norvegia l’economia sommersa è sotto l’1% del Pil.
Secondo Confcommercio, la pressione fiscale effettiva, il gettito cioè osservato in percentuale di Pil emerso, si attesta quest’anno al 54%, al top fra le economie avanzate.
La pressione fiscale apparente, secondo calcoli prudenziali che non includono aumenti Iva ma solo quelli su Imu e Tares, è invece al 44,6% del Pil nel 2013.
La classifica anche in questo caso proietta il Belpaese al top tra le economie principali.
In Danimarca la pressione fiscale effettiva è al 51,1% del Pil, in Francia al 50,3%, in Belgio al 49,3%, in Austria al 46,8%, in Svezia al 46,7%, in Norvegia al 42,3%, in Olanda al 40,8%, nel Regno Unito al 40,4%, in Spagna al 36,7%, in Australia al 34,8%, in Canada al 31,9%.
Chiudono la classifica Irlanda (28,4%) Stati Uniti (27,9%) e Messico (26,2%).
Il nostro è poi uno dei Paesi in cui la pressione fiscale è cresciuta di più tra il 2000 e il 2013 (+2,7%), passando dal 41,9 al 44,6%.
In Portogallo il peso delle tasse nel periodo 2000-2013 è cresciuto del 3,2%, in Giappone del 2,6% e in Francia del 2,3%.
“Gli italiani sono un popolo di pagatori di tasse”, ha spiegato il direttore dell’Ufficio studi di Confcommercio, Mariano Bella, presentando i dati.
Secondo l’associazione “l’alto livello della pretesa fiscale” in Italia è “il primo incentivo all’evasione”.
Tra gli altri fattori determinanti il valore atteso della sanzione (efficienza della giustizia civile), la percezione dell’output pubblico e la facilità dell’adempimento spontaneo delle obbligazioni fiscali.
“Oltre una certa soglia – ha osservato Bella – l’aumento delle imposte genera una riduzione della crescita. L’eccesso di imposizione riduce le nostre possibilità “.
Dal convegno di Confcommercio il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, ha spiegato che la lotta all’evasione dovrebbe consentire il recupero di 12-13 miliardi nel 2013: “Ogni anno – ha detto – noi recuperiamo dai 2 ai 3 miliardi in più rispetto a quanto previsto dal bilancio preventivo. Quest’anno a metà anno siamo esattamente in linea con l’anno scorso e a fine anno dovremmo essere a 12-13 miliardi”.
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Luglio 25th, 2013 Riccardo Fucile
IL “GIORNALE” DI FAMIGLIA CANNONEGGIA SUI GIUDICI E LANCIA MESSAGGI AL QUIRINALE IN VISTA DEL 30 LUGLIO
Anche oggi il Giornale di Sallusti & Santanchè alias il Pitone e la Pitonessa farà il conto alla rovescia in prima pagina.
Tutto in rosso, stile allarme. Ieri era -5. Oggi sarà -4.
Da qui al fatidico Trenta Luglio, il quotidiano della famiglia del Cavaliere (Paolo, Alessia e Luna Berlusconi nel cda) farà la parte del poliziotto cattivo nei confronti della Suprema Corte. Pressione. Tensione.
Questione di copie anche, in piena estate, dopo un’apertura dedicata, martedì 23 luglio, alle guerra delle sigarette.
Ma la bomba del Trenta Luglio, sulla conferma o meno della condanna di B. per i diritti tv Mediaset, è troppo delicata per ridursi a giochino editoriale di redazione.
In Transatlantico, a Montecitorio, i deputati del Pdl non parlano di questa attesa nemmeno sotto tortura. “Cazzi suoi”, questa la risposta di una nota parlamentare.
“Cazzi suoi”, nel senso che “il presidente deve fare la sua strategia processuale senza le nostre interferenze”.
Eppure , il Giornale interferisce eccome. “Prepariamoci all’ultimo ricatto”, questo il titolo sallustiano di ieri.
Che poi chiarisce, per fare finta di tenere fuori il Capo: “Berlusconi la pensa diversamente, sostiene che all’ultimo la sua innocenza sarà riconosciuta. Ammiro il suo incrollabile ottimismo e mi auguro che ancora una volta abbia ragione”.
Il direttore Pitone, in quanto compagno della Pitonessa Santanchè, guida spirituale dei falchi di B., è infatti pessimista sul Trenta Luglio.
Se ne frega delle disquisizioni giuridiche su rinvii o allungamenti causa prescrizione e va dritto al sodo.
Berlusconi, vada come vada, non dovrà uscire di scena: “Prepariamoci, se dovessi avere ragione io e non lui su ciò che succederà il 30, a dirlo forte e chiaro a chi ha costruito questo imbroglio”.
L’imbroglio è l’ossessione dei falchi. Sindrome da accerchiamento.
La loro tesi è che con il suo silenzio il Cavaliere si stia rendendo complice dei suoi aguzzini che vogliono accompagnarlo alla porta: Napolitano, Enrico Letta e lo Zio Gianni, il vicepremier Angelino Alfano, simbolo delle colombe traditrici.
Dal chiuso delle sue stanze il Cavaliere lascia fare.
Dieci giorni fa si lamentò in un’intervista a Paolo Guzzanti, proprio sul Giornale, “dei toni forti e dei titoli che gli facevano venire i brividi”.
Quei titoli non sono scomparsi e tutto sommato possono tornare comodi per aumentare la pressione.
Ognuno fa la sua parte. I falchi, le colombe, i legali.
Ecco la Santanchè, in una trasmissione tv: “Rispetto la decisione di Berlusconi di non parlare della sentenza e di lasciar lavorare il governo, ma se dovesse arrivare la condanna, non potrà decidere Berlusconi. Non credo che gli elettori staranno a pettinare le bambole. Sicuramente non ci sarà calma, siamo oltre il tema del governo saremo a un tema superiore, un problema di democrazia”.
Ancora una volta, tutto conduce al padre di tutti gli interrogativi: cosa succederà il Trenta Luglio qualora la condanna venisse confermata?
Le colombe ripetono il refrain opposto a quello dei falchi. “Si andrà avanti con le larghe intese”. Ossia l’imbroglio che non vogliono i Pitoni: “Se sarà condannato si leveranno minacce verso il Pdl: state buoni o risale lo spread”. In questa chiave va decifrato il pizzino spedito al Quirinale dal Giornale, rispolverando una vecchia storia dell’andreottiano Paolo Cirino Pomicino ai tempi della ma-xi-tangente Enimont: “Di Pietro voleva incastrare Napolitano (allora capo dei miglioristi, la corrente di destra del Pci-Pds, ndr), io negai”.
Una lisciatina ambivalente.
Da un lato c’è il segreto inconfessabile di B. e dei berlusconiani: che in nome della pacificazione, il capo dello Stato faccia una riservatissima moral suasion sulla Corte di cassazione.
L’unico salvacondotto possibile.
Dall’altro c’è poi la richiesta di elezioni anticipate, altro pallino degli ultrà del Cavaliere. Napolitano ieri ha ribadito il suo no (le urne prima del tempo “sono una delle patologie più dannose” della democrazia italiana) con un intervento sul Corriere della Sera, nello stesso giorno in cui il direttore Ferruccio de Bortoli verga un editoriale per sviluppare al contrario “l’imbroglio” di Sallusti.
Morale debortoliana in estrema sintesi: se la sentenza del Trenta Luglio farà cadere l’esecutivo c’è il rischio default.
La partita è questa e i giocatori iniziano a schierarsi in campo.
Il Cavaliere si prepara a un impegnativo fine settimana. Con Coppi e Ghedini, i suoi legali, dovrà decidere se fare o no un’istanza di rinvio per martedì prossimo.
Poi vedrà il film dedicato a lui da Francesco Giro, parlamentare del Pdl.
Titolo: “Il fiume della libertà ”. Possibile anche che sia trasmesso sulle reti Mediaset prima del Trenta Luglio.
Tutto fa pressione.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 25th, 2013 Riccardo Fucile
COSA NOSTRA AVREBBE GIA’ FATTO ARRIVARE A PALERMO 15 CHILI DI ESPLOSIVO… DI MATTEO RAPPRESENTA LA PUBBLICA ACCUSA NEL PROCESSO SULLA TRATTATIVA STATO-MAFIA
Il confidente, non mafioso, è considerato attendibile. 
E per questo il pm di Palermo Nino Di Matteo, pubblica accusa nel processo sulla Trattativa, avrà la scorta di primo livello.
Cosa nostra starebbe organizzando un attentato contro un magistrato e per ucciderlo sarebbero già arrivati nel capoluogo siciliani 15 chili di esplosivo.
La notizia è riportata da alcuni quotidiani, tra cui La Repubblica, che descrive come un mese fa agli investigatori un uomo legato al traffico di droga abbia svelato questo piano della mafia, anche se senza fare nome della toga finita nel mirino, ma il “candidato” più probabile è stato individuato in Di Matteo, già scortato, che ora avrà con lui tre carabinieri del Gis, il Gruppo intervento speciale.
Il confidente avrebbe riferito di un summit fra capimafia in cui sarebbe stato chiesto di accelerare l’esecuzione dell’attentato.
Al palazzo di giustizia la tensione è alle stelle.
Venti giorni fa qualcuno si è introdotto in casa di un altro pm, Roberto Tartaglia anch’egli pubblica accusa nel processo sulla trattativa Stato-mafia rubando una pen-drive: nella chiavetta Ubs c’erano verbali non ancora depositati.
L’attenzione è quindi massima intorno a tutti i magistrati che indagano sul presunto patto tra pezzi delle Istituzioni e Cosa nostra per fermare la stagione stragista.
In parallelo al processo trattativa c’è infatti un fascicolo d’inchiesta bis, il fascicolo madre in realtà che sta cercando di accertare eventuali responsabilità di ambienti deviati dei servizi segreti.
Ad aprile, erano già arrivate due lettere anonime che annunciavano un attentato nei confronti di Nino Di Matteo, “autorizzato” dal super latitante Matteo Messina Denaro e da alcuni suoi “amici romani”: “Amici romani di Matteo (Messina Denaro, ndr) hanno deciso di eliminare il pm Nino Di Matteo in questo momento di confusione istituzionale, per fermare questa deriva di ingovernabilità . Cosa Nostra ha dato il suo assenso, ma io non sono d’accordo” si leggeva in una delle missive e a scrivere è, a suo dire, uno dei membri del commando di morte, in grado di fornire una serie di notizie riservate e dettagliate sugli spostamenti quotidiani (e sui punti deboli della protezione) del pm che indaga sulla trattativa mafia-Stato.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 25th, 2013 Riccardo Fucile
L’EX RESPONSABILE PARTE IN MISSIONE: “VEDRO’ KIM JONG-UN”…”MA CHE BOMBA ATOMICA, IO NON L’HO MAI VISTA”
Può Antonio Razzi riuscire dove l’Onu e la diplomazia di mezzo mondo, finora, hanno potuto poco: mettere pace tra le due Coree, far rientrare la minaccia atomica?
«Ci sono spiragli di dialogo». Così il senatore del Pdl, ex Responsabile, segretario della commissione Esteri, ieri sera, lasciata l’Aula, è partito alla volta di Pyongyang. Si fermerà per una missione di tre giorni.
E in agenda c’è l’incontro con il leader Kim Jong-un.
«È meglio non parlarne troppo. Controllano tutto, anche cosa viene pubblicato in Italia. Non vorrei che, visto che a volte i giornalisti prendono per i fondelli, alla fine ci ripensassero…».
Giornalisti o meno, l’obiettivo in effetti appare ambizioso.
Tanto che il viceministro degli Esteri Lapo Pistelli, racconta Razzi, quando ha sentito i propositi della sua missione ha sorriso: «Se ci riesci, ti daranno il Nobel per la pace». «Ma non vado cercando queste cose», si schermisce il senatore, che giorni fa, presentando la sua trasferta coreana, ha chiarito: «Qualcuno ha ironizzato, ma forse ci voleva proprio Antonio Razzi per cercare di promuovere un progetto che nelle mie intenzioni dovrebbe portare, perchè no, a un ravvicinamento tra i due Paesi, e a una riunificazione, a distanza da quel lontano 1953 quando al termine della guerra si separarono. Far cadere quel “muro”, lungo il 38° parallelo, come si è riusciti a buttare giù quello delle due Germanie nel 1989, è ancora un sogno che potrebbe, però, diventare realtà ».
Certo, a fare il gioco dell’ironia (della sorte) ci si mette anche il cognome: si fa presto a ricordare le prove missilistiche che hanno fatto infuriare la comunità internazionale. Invece, spiega il senatore, con la Corea del Nord c’è un rapporto che viene da lontano. Basato su competenze («mi occupo della questione da tempo») ed esperienza («partecipo alle missioni in Corea da sei anni»).
Anche se questa volta è diverso: «Con Kim Jung-un non ho mai parlato a quattr’occhi».
Ma come, in un’intervista su Rete 8 ha raccontato di averlo incontrato, che «lui ha studiato a Berna e avete parlato in tedesco»?
«Ci siamo visti, ma non a quattr’occhi. Non sono riuscito a fargli il discorso che volevo, è un po’ difficile».
Ma con la diplomazia, assicura, i rapporti vanno avanti.
Razzi ha incontrato, qualche settimana fa, l’ambasciatore nordcoreano. «Il primo passo sarà organizzare un incontro tra i diplomatici di Nord e Sud Corea, a cena».
Il senatore crede nel dialogo. Non crede invece a tutto quello che viene raccontato. Già alle Iene aveva detto che «non è vero quello che dicono, che hanno la bomba atomica, che la stanno costruendo, assolutamente: io non l’ho vista l’atomica».
E ora aggiunge: «È un paese di persone socievoli e perbene: se perdi un portafoglio con 100 euro, lo ritrovi e ce ne sono 200. Ma vedrete, vi racconterò al ritorno…».
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Luglio 25th, 2013 Riccardo Fucile
INCOERENZA A CINQUESTELLE: PRENDONO I VOTI DI ARTIGIANI E PICCOLI IMPRENDITORI E POI CHIEDONO PIU’ TASSE CON IL DURT
La battuta più feroce è di Alberto Microsatira, un blogger molto attivo su Twitter: «In
Inghilterra tutti si chiedono come si chiamerà Royal Baby, da noi che nome prenderà la prossima tassa».
Il neonato Durt, al secolo «documento unico di regolarità tributaria», non è una tassa in senso letterale ma di fatto lo diventa perchè impone 21 adempimenti burocratici in più ad artigiani e piccoli imprenditori della filiera dell’edilizia e dei servizi di manutenzione.
Una ditta che ha partecipato a un appalto per essere pagata deve comunicare – si pensa ogni 30 giorni – all’Agenzia delle Entrate tutti i dati delle buste paga dei dipendenti e delle liquidazioni Iva che diventano mensili.
Solo dopo aver ricevuto il bollino blu del Fisco l’impresa può rivolgersi alla controparte e finalmente chiedere di essere pagata.
Il Durt viaggia dentro l’articolo 50 dell’ex decreto del Fare e un risultato lo ha ottenuto subito: ha fatto infuriare il portavoce di Rete Imprese Italia Ivan Malavasi e il presidente dei costruttori Paolo Buzzetti che ha addirittura minacciato di «scendere in piazza contro la nuova scandalosa norma».
Il Durt, dunque, è l’ennesimo laccio che finisce per legare le attività delle piccole imprese e costringerle a perdere tempo e soldi in adempimenti formali che se in una grande impresa sono delegati alle strutture ad hoc, nella piccola investono direttamente l’impegno del titolare.
La novità però è per così dire “politica” perchè sulla materia fiscale è sorto un inedito asse.
A inventare il Durt è stato un esponente del Movimento 5 Stelle, Giacomo Pisano, che è riuscito con un blitz delle commissioni Affari Costituzionali e Bilancio in seduta comune a far approvare il suo emendamento.
Con tanti saluti alla semplificazione e ai comizi veneti di Beppe Grillo che si era sbracciato per intascare il voto degli artigiani delusi.
Pisano però non ce l’avrebbe fatta senza l’aiuto del rappresentante del governo, il viceministro Stefano Fassina, uomo di punta del Pd. Alzando la mano in segno di approvazione Fassina ha fatto l’assist decisivo e ha permesso al grillino Pisano di mettere a segno la sua iniziativa.
A niente è valsa l’opposizione di Enrico Zanetti di Scelta civica, l’asse del “cambiamento” Pisano-Fassina l’ha avuta vinta portandosi dietro il Pd.
Ma così facendo i papà del Durt hanno messo nei guai il governo che ora sta tentando disperatamente di rimettere mano al testo, anche perchè l’articolo 50 introduce qualcosa che l’articolo 51 in teoria avrebbe dovuto in parte abolire.
La confusione la fa da padrona e così il governo del Fare e delle semplificazioni rischia di presentarsi come quello che aumenta gli adempimenti burocratici e discrimina di nuovo i Piccoli.
E sicuramente non è un gran successo.
Anche perchè il governo è il titolare di quella Pubblica amministrazione colpevole di un incredibile ritardo nei pagamenti alle imprese e solo adesso sta onorando le prime fatture.
Artigiani e medi imprenditori finora avevano guardato con favore all’esecutivo di Enrico Letta e avevano accettato persino la logica operativa del cacciavite, poche riforme e tanta manutenzione straordinaria.
Non pensavano però che con l’aiuto dei grillini il cacciavite di Letta finisse nei loro occhi.
Dario Di Vico
(da “il Corriere della Sera“)
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Luglio 25th, 2013 Riccardo Fucile
IL PROFESSORE CONDIVIDE MOLTE DENUNCE DEI GRILLINI, MA “HO SOLUZIONI COMPLETAMENTE DIVERSE DA LORO”
Usa l’ironia, ma il colpo va a segno.
L’ex presidente del Consiglio Mario Monti mette nel mirino Silvio Berlusconi e sulla possibilità di una restituzione dell’Imu pagata nel 2012 spiega: “In materia fiscale non c’è larghezza di mezzi oggi in Italia e su questo aveva avuto una grande intuizione in campagna elettorale il presidente Berlusconi quando addirittura voleva rimborsare l’Imu pagata nel 2012 e aveva detto: sapete che cosa? Se lo Stato non ha abbastanza soldi ce li metto io personalmente. Questa possibilità è ancora aperta”.
A Unomattina il leader di Scelta Civica racconta di aver suggerito al suo successore Enrico Letta di “preparare un contratto di coalizione per regolare la vita di questa coalizione, perchè la gente parla di mesi o di settimane, il Parlamento è stato eletto per cinque anni, non c’è ragione al mondo perchè dobbiamo autolimitarci”.
Ma sembra dare una sponda anche al Movimento Cinque Stelle: “Quello che dicono i grillini lo condivido largamente — dice il Professore — I grillini hanno ragione nel sottolineare molte carenza della politica, ma il vero costo della politica è il non decidere o prendere le decisione sbagliate. Ho la stessa critica dei grillini nei confronti della partitocrazia tuttora regnante in Italia. Ho però soluzioni completamente diverse dalle loro”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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